CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2017, n. 20977
Assegno ordinario di invalidità – Capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini – Assunzione in quota obbligatoria – Riconoscimento dello stato invalidante – Non rileva
Considerato in fatto:
1. La Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza del Tribunale di Urbino, ha rigettato la domanda di F.G. volta ad ottenere l’assegno ordinario di invalidità ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 222 del 1984.
Secondo la Corte, precisato che non era in discussione il quadro clinico pluripatologico da cui era affetto il ricorrente e neppure la consistenza delle limitazioni funzionali, doveva tenersi conto, ai fini della valutazione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini, che il G. svolgeva attività lavorativa come operaio, a seguito di avviamento obbligatorio ex L. n. 68/1999, presso la società R.
La Corte ha, quindi, riferito che secondo il G. l’assunzione in quota obbligatoria non costituiva prova o indizio di capacità lavorativa e che egli stava svolgendo un lavoro in occupazioni non confacenti alle sue attitudini (a norma dell’art. 1 L. n. 222/1984) perché le sue potenzialità, in assenza di menomazioni fisiche, gli avrebbero consentito di svolgere un lavoro di maggior importanza e rilievo.
A riguardo la Corte ha osservato che il ricorrente, sebbene in possesso di diploma di geometra, aveva già svolto lavori saltuari anche manuali o di fatica; che pertanto non poteva non tenersi conto delle attitudini in concreto, considerato che le mansioni più recenti svolte nel lavoro di operaio semplice, quale addetto al cablaggio dei motori, non erano dissimili da quelle risalenti e che comunque non erano confacenti alle attitudini del soggetto.
La Corte, precisato che occorreva valutare la possibilità di una continuazione dell’impegno lavorativo e l’eventuale carattere usurante di questo anche con riferimento ad attività diverse, ha affermato che il giudice di primo grado non aveva fatto corretta applicazione dell’articolo 1 della legge n. 222 citata perché, nel riconoscere il diritto all’assegno, aveva, sia pure in maniera implicita, valutato la capacità lavorativa del G. in relazione alle astratte mansioni di operaio generico metalmeccanico, senza considerare l’assunzione obbligatoria presso società R., senza accertare se lo stesso svolgesse di fatto altre mansioni non usuranti e se lo stesso fosse addetto, come adduceva l’INAIL, a mansioni di operaio metalmeccanico al cablaggio dei motori, in mansioni cioè non usuranti, come del resto accertato dal CTU.
2. Il G. ricorre in Cassazione denunciando, con un primo motivo, violazione dell’art. 1 L. n. 222/1984 anche in relazione agli artt. 1 e 10 L. n. 68/1999.
In particolare, sotto un primo profilo, la Corte non aveva valutato la diversità esistente tra l’assegno di cui alla L. n. 222 citata e i presupposti ben diversi dell’avviamento obbligatorio di cui alla L. n. 68/1999 censurando, pertanto, la sentenza per aver ritenuto che l’avviamento obbligatorio impediva il riconoscimento dello stato invalidante per ottenere l’assegno.
In secondo luogo, la Corte non aveva accertato il carattere usurante dell’attività svolta presso la R.
Infine, rileva che la verifica dei presupposti di cui alla L. 222 citata andava condotta in relazione alle occupazioni confacenti in cui il soggetto avrebbe potuto essere impiegato, senza ed a prescindere dalle cautele e prescrizioni imposte dalla commissione medica per l’avviamento obbligatorio.
2.1. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione per non avere la Corte accertato il carattere usurante delle mansioni svolte dal G. fornendo sul punto una motivazione del tutto inadeguata senza neppure alcun richiamo alla CTU.
2.2. Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione per avere la Corte negato l’assegno pur rilevando che le patologie costituivano un fattore di limitazione delle possibilità prestazionali.
3. I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione,sono fondati.
La nozione di invalidità pensionabile ex lege 12 giugno 1984, n. 222 è ancorata alla riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato. Ai fini dell’accertamento della detta invalidità è dunque necessario considerare in concreto le condizioni del soggetto protetto, tenendo conto della età e della formazione professionale, in modo da valutare la sua possibilità di continuare nelle mansioni in concreto svolte o di svolgere attività diverse che costituiscano una naturale estrinsecazione delle sue attitudini, sempre che non si tratti di lavori usuranti, che affrettino ed accentuino il logoramento dell’organismo per essere sproporzionati alla residua efficienza fisiopsichica (cfr Cass 1186/2016, Ord. 6443/2017, 15265/2007).
Va, altresì, precisato,come più volte ribadito da questa Corte (cfr Cass. Ord. 6443/2017, sent. n. 1186/2016) che “Ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall’art. 1 della I. n. 222 del 1984, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve èssere verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute.
4. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, dopo aver rilevato che il G., sebbene in possesso di diploma di geometra, aveva già svolto lavori saltuari anche manuali o di fatica e che pertanto non poteva non tenersi conto delle attitudini in concreto considerato che le mansioni più recenti svolte quale operaio semplice addetto al cablaggio dei motori, non erano dissimili da quelle risalenti e che, comunque, non erano confacenti alle attitudini del soggetto, ha escluso, altresì, il carattere usurante dell’attività in concreto svolta dal G.
Se può condividersi l’affermazione della Corte, come osservato dalla Procura generale, nella parte in cui ha dato rilievo alla possibilità di svolgere mansioni diverse, ma pur sempre confacenti alle attitudini, è censurabile la sentenza impugnata là dove la Corte ha affermato, senza alcun vaglio critico di eventuali affermazioni contenute nella CTU, peraltro conclusasi in senso favorevole all’assicurato, e senza alcuna specifica motivazione, la compatibilità con il quadro patologico complessivo del ricorrente dell’impegno psico-fisico richiesto per lo svolgimento dell’attività di operaio addetto al cablaggio dei motori e, dunque, senza alcuna specifica motivazione circa il carattere non usurante della prestazione resa.
Come più volte affermato da questa Corte la qualificazione della “attività confacente alle attitudini dell’assicurato”, cui si riferisce l’art. 1 della legge n. 222 del 1984, come usurante o stressante è una qualificazione di tipo giuridico che la Corte territoriale avrebbe dovuto formulare autonomamente e giustificare con congrua motivazione.
La sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso, deve,pertanto, essere cassata.
Non sono, tuttavia, necessari ulteriori accertamenti in fatto potendo confermarsi la sentenza del Tribunale che adeguandosi alle conclusioni del CTU che aveva constatato una riduzione della capacità di lavoro del G. in occupazioni confacenti pari al 70%, ha riconosciuto la prestazione richiesta.
La sentenza del Tribunale va confermata anche nella parte in cui ha liquidato le spese processuali in favore del G.
Quanto alle spese del giudizio di secondo grado e del presente giudizio legittimità, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico dell’Inps soccombente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e provvedendo nel merito riconosce all’assicurato la richiesta prestazione così come attribuitagli con la sentenza del Tribunale; conferma la liquidazione delle spese come disposta in primo grado; condanna l’Inps a pagare le spese processuali del giudizio d’appello liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge; nonché le spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 1.200,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
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