Tributi – IRES, IRAP ed IVA – Accertamento fiscale – Rettifica del reddito d’impresa – Art. 32, comma 1°, n. 2, DPR 600/1973
In fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della G.Z. srl, già O.D.S. srl, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia Sez. Staccata di Lecce n. 1554/22/2014, depositata in data 7/07/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRES, IRAP ed IVA, dovute in relazione all’anno di imposta 2005, a seguito di rettifica del reddito d’impresa, previa acquisizione, ex art. 32, comma 1°, n. 2, DPR 600/1973, delle movimentazioni bancarie sui conti correnti intestati alla società ed al socio amministratore, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, delle Entrate, che a fronte di un accertamento basato unicamente “sull’analisi delle movimentazioni finanziarie” e su “considerazioni logiche personali e ricostruzioni di matematiche”, in ordine all’esistenza di “redditi evasi”, prive di valenza probatoria, la contribuente era stata in grado di ricostruire “ogni singola operazione finanziaria”, sia in sede contenziosa che amministrativa, spiegando “i beneficiari di ogni singola operazione bancaria; i proventi rinvenimento da rendite immobiliari impiegati dalla società; i proventi da vincita versati nei propri conti bancari ed utilizzati con le movimentazioni contestate: gli atti notori di privati che hanno confermato la corretta utilizzazione dei movimenti bancari contestati, a beneficio della società”.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
In diritto
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. operato la necessaria “analitica valutazione dei citati documenti in relazione agli elementi posti a fondamento dell’atto impositivo”.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia poi, sempre ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 DPR 600/1973 e 2697 c.c., avendo i giudici della C.T.R. erroneamente ritenuto che “l’accertamento di movimentazioni bancarie non giustificate non costituisca prova idonea a giustificare la presunzione di maggiori ricavi” e che fosse “onere dell’Ufficio fornire prova certa circa l’imputazione e ricavi delle citate movimentazioni”, operando un’illegittima inversione dell’onere probatorio.
2. La prima censura è infondata.
La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007).
Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di non potere confermare, nella sua entità, i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio, ritenendo che la contribuente avesse fornito specifica e puntuale prova contraria di ogni singola contestata movimentazione bancaria/finanziaria.
Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, proprio criticando la congruità del criterio di rideterminazione dei maggiori ricavi non dichiarati, operato dall’Ufficio.
I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo m esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui all’art. 36 d.lgs. 546/1992 (cfr. Cass. 5315/2015).
3. Anche la seconda censura è infondata.
Questa Corte (Cass. 13819/2007) ha già chiarito, con riguardo all’onere per il contribuente di provare, in modo puntuale e specifico, l’effettiva riconducibilità di ogni incasso ai versamenti bancari contestati, che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi ed al fine di superare la presunzione, posta a carico dei contribuente dall’art. 32, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto”.
Ancora è stato affermato (Cass. 7666/2008) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa posta dell’art. 32, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova (cfr. Cass. 2752/2009: Cass. 21420/2012; Cass. 25984/2013).
Ora, con accertamento di merito, incensurabile in questa sede di legittimità, in difetto di vizi nell’iter logico della motivazione, i giudici d’appello hanno ritenuto che le giustificazioni fornite dalla contribuente, in ordine ad una serie di versamenti, e effettuati anche sul conto personale del socio amministratore, valutati sia analiticamente sia nel loro complesso, fossero pienamente credibili, quanto alla provenienza dei ricavi da redditi, da vendite immobiliari o vincite o altro.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, poiché il disposto dell’art. 13 comma 1 quater, D.P.R. 115/02 non si applica all’Agenzia delle Entrate (Cass. SSUU 9938/2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario spese generali, nella misura del 15%.