CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 febbraio 2018, n. 3273
Accertamento – Reddito da lavoro autonomo – Maggiori redditi, maggiore valore della produzione e maggior volume d’affari – Professione di geometra – Verifica movimentazione bancarie – Legittimità
Rilevato
– che con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto da P.D.C., esercente la professione di geometra, e, riformando integralmente la sentenza di primo grado, in accoglimento dell’originario ricorso proposto dal contribuente, annullava l’avviso di accertamento di maggiori redditi, di un maggiore valore della produzione ed un maggior volume di affari, rispettivamente ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, relativamente all’anno di imposta 2008, emersi a seguito della verifica delle movimentazioni bancarie effettuate dal predetto professionista nel periodo di imposta considerato;
– che la Commissione di appello, richiamando il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 23041 del 2015, sosteneva che la presunzione di ricavi posti dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 non trovava applicazione nei confronti dei lavoratori autonomi e che l’applicazione dell’IRAP risultava nella specie illegittima «in quanto il contribuente è un lavoratore autonomo che opera con lavoro proprio e senza avvalersi di quell’organizzazione di persone e mezzi che costituisce il presupposto per la tassazione ai fini Irap»;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimato con controricorso;
– che regolarmente costituito il contraddittorio sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis cod. proc. civ., il Collegio, con motivazione semplificata,
Osserva
– che con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione ricorrente denuncia la violazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973, 51 del d.P.R. n. 633/1972 e 2967 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di appello escluso la presunzione legale posta dalle citate disposizioni fiscali a carico del libero professionista per i versamenti eseguiti sul proprio conto corrente bancario
– che è fondato il primo motivo di ricorso, con cui viene censurata la statuizione di merito che ha escluso l’operatività della presunzione legale posta dalle disposizioni censurate a carico del libero professionista per i versamenti eseguiti sul proprio conto corrente bancario;
– che al riguardo deve osservarsi che il giudice tributario d’appello ha statuito come se la Corte costituzionale con la sentenza n. 228 del 2014 avesse dichiarato totalmente illegittima la presunzione posta dalle norme tributarie censurate riguardo agli accertamenti sui redditi da lavoro autonomo basati sulle movimentazioni bancarie del professionista, la cui legittimità la Corte ha, invece, escluso limitatamente ai prelevamenti (sugli effetti della succitata pronuncia della Corte costituzionale cfr. Cass. sez. 5, 30 marzo 2016, n. 6093; v. anche Cass. n. 19029 del 2016 di questa Sottosezione);
– che, invero, questa Corte ha avuto modo di rilevare e precisare (v. sentenze n. 19807 e n. 19806 del 2017) che nella citata sentenza del Giudice delle leggi sembrava potersi rinvenire una discrasia tra motivazione e dispositivo, nella prima avendo fatto riferimento ai soli prelevamenti dai conti bancari e nella seconda, invece, avendo sancito in maniera perentoria l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata (art. 32, comma 1, num. 2, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), num. 1, legge 30 dicembre 2004 n. 311),<<limitatamente alle parole «o compensi»>>, che nell’architettura della citata disposizione è posta con riferimento ai prelevamenti ma anche agli <<importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni>>, che potrebbero far pensare ai versamenti); orbene, seppure la predetta sentenza sia stata in tal modo interpretata da alcune pronunce di questa Corte (tra cui Cass. n. 23041 del 2015, citata dalla CTR, nonché Cass. n. 16440, n. 12779 e n. 12781 del 2016, nonché, di questa Sottosezione, n. 24862 e n. 19970 del 2016), che hanno ritenuto essere venuta meno la presunzione di imputazione ai «compensi» dei lavoratori autonomi o dei professionisti intellettuali sia dei prelevamenti che dei versamenti operati sui conti bancari, questo Collegio ritiene che vada seguito e ribadito il diverso orientamento secondo cui «resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (cfr. Cass. Sez. 5^, n. 16697 del 2016; in senso analogo, Cass. Sez. 5, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 11776, n. 6093 del 2016; n. 23575, n. 18126, n. 18125, n. 16929, n. 13470, n. 12021 del 2015 nonché, più recentemente, n. 5152 e n. 5153 del 2017 oltre alle già citate sentenze n. 19807 e n. 19806 del 2017; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); orientamento maggiormente coerente con la sentenza della Corte costituzionale nella cui motivazione in maniera chiara (punti 4, 4.1 e 4.2 e conclusione tratta al punto 5) si afferma la contrarietà al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva della sola presunzione di ricavi operata con riferimento ai prelievi effettuati da un lavoratore autonomo, mentre nessun accenno viene fatto ai «versamenti» in conto;
– che, quindi, la pronuncia impugnata si pone in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che, alla stregua delle suddette considerazioni, attribuisce natura di presunzione legale ai versamenti sui conti correnti del professionista, in virtù del disposto dell’art. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600/1973, quale risultante a seguito della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale di detta norma ad opera della sopra citata pronuncia della Corte costituzionale, e dell’art. 51, comma 2, n. 2 del d.P.R. n. 633/1972, da considerarsi ricavi derivanti dall’attività professionale (v. anche Cass. n. 16697, n. 19029 e n. 7453 del 2016), con conseguente onere a carico dell’interessato di fornire la prova contraria, che deve essere rigorosa e specifica, che detti movimenti sono estranei al suo reddito o perché ad esso non riferibili o perché relativi ad atti non soggetti a tassazione (tra le molte, cfr. Cass., n. 20668 del 2014, n. 21303 del 2013, n. 2894 del 2013);
– che con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, in violazione degli artt. 1 e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 132, n. 4 c.p.c., 118 disp. art. c.p.c., 2, d.lgs. n. 446 del 1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., laddove la CTR ha ritenuto provato dal contribuente la non assoggettabilità all’IRAP per insussistenza di un’autonoma organizzazione lavorativa;
– che il motivo di ricorso è infondato e va rigettato giacché, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la pronuncia è assistita da motivazione non riconducibile alle ipotesi di mancanza assoluta o di motivazione apparente, in relazione alle quali il vizio motivazionale si converte in violazione di legge;
– che, precisato che secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità «ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017), nel caso in esame va esclusa la sussistenza di una di tale ipotesi, avendo la CTR, sia pure in maniera sintetica, esplicitato le ragioni che l’avevano indotta ad escludere la sussistenza dei presupposti applicativi dell’IRAP al professionista contribuente, avendo rilevato che lo stesso «opera con lavoro proprio e senza avvalersi di quell’organizzazione di persone e mezzi che costituisce il presupposto per la tassazione Irap» (circostanze, peraltro, neanche smentite dalla ricorrente secondo cui l’obbligo impositivo sussiste sub specie per il solo fatto che l’IRAP era stata dichiarata dallo stesso contribuente);
– che, conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla competente CTR, in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione.
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