CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 gennaio 2017, n. 377
Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Indici di capacità contributiva – Valore dei beni posseduti e spese per incrementi patrimoniali
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c., all’esito della quale i ricorrenti hanno depositato memoria, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 511/11/14, depositata il 12 dicembre 2014, non notificata, la CTR del Friuli Venezia Giulia ha rigettato l’appello proposto dai signori L. B. e G. P. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Udine, per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Udine, che aveva parzialmente accolto i ricorsi proposti dalla B. e rigettato l’impugnazione del P., avverso gli avvisi di accertamento per Irpef ed addizionale regionale aventi rispettivamente come destinatari la prima per gli anni 2004-2006 ed il P. per gli anni 2004 e 2005, con i quali, con metodo sintetico, l’Ufficio aveva determinato per entrambi negli anni di riferimento un maggior reddito imponibile, derivante dalla sommatoria del valore di beni rispettivamente posseduti, indice di capacità contributiva e dalla quota relativa alle spese per incrementi patrimoniali.
Avverso la pronuncia della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano nullità dei gradi di giudizio di merito e delle relative sentenze, alla stregua della sentenza della Corte costituzionale 17 marzo 2015, n. 37 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16/2012, convertito in legge n. 44/2012, sostenendo che, essendo stati gli atti impositivi sottoscritti da direttore incaricato, ma carente di qualifica dirigenziale, gli avvisi di accertamento dovevano reputarsi nulli.
Il motivo è inammissibile, perché introduce un tema che non risulta essere mai stato oggetto del doppio grado di merito del giudizio quale motivo d’impugnazione da parte dei contribuenti (nel senso che la relativa questione, in difetto di tempestiva deduzione in sede d’impugnativa dell’atto impositivo, non possa essere rilevata d’ufficio, cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448), donde l’inammissibilità della sua proposizione, carente del resto anche nell’indicazione della norma che si assume violata (art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973), per la prima volta in sede di legittimità.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , lamentando che la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente escluso che i contribuenti, onerati della prova contraria idonea al superamento della presunzione relativa posta dall’art. 38, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, nel testo applicabile ratione temporis, non potessero far valere circostanze esterne ai periodi d’imposta accertati.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Va esaminato prioritariamente il terzo motivo.
Esso è inammissibile.
In realtà, come è agevole rilevare dal contenuto del ricorso, i ricorrenti non solo riconducono impropriamente alla previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di documenti, laddove per “fatto”, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053) deve intendersi un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non integrando di per sé l’omesso esame di elementi istruttori il vizio di omesso esame quando il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice; ma – in ciò incorrendo il ricorso in evidente difetto di autosufficienza – i ricorrenti non indicano neppure, riferendosi genericamente alla “documentazione prodotta”, di quali documenti si tratti ed il luogo ed il modo della relativa produzione in giudizio, peraltro assolutamente contestata dall’Amministrazione finanziaria, che, a pag. 14 del controricorso, ha evidenziato come i contribuenti abbiano allegato i soli avvisi di accertamento ai rispettivi ricorsi proposti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.
Quanto sopra comporta la definitività dell’accertamento compiuto dal giudice tributario, restando preclusa la censura di cui al secondo motivo in punto di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, su cui i ricorrenti hanno in particolare insistito con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4100,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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