CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 gennaio 2017, n. 385
TARSU – Avviso di accertamento – Notifica
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 3426, depositata il 14 aprile 2015, non notificata, la CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – ha rigettato l’appello proposto dalla C.G. & C. S.p.A. (di seguito società) nei confronti del Comune di Salerno per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Salerno, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento per TARSU per l’anno 2006.
Avverso detta pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il Comune intimato resiste con controricorso.
Con il primo motivo, articolato in un duplice ordine di censure, la ricorrente denuncia in primo luogo la violazione dell’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., quanto al mancato rilievo da parte della decisione impugnata dell’eccepita decadenza dell’Amministrazione dalla pretesa impositiva, per l’anno in oggetto, sulla base dell’applicazione del principio di scissione del momento perfezionativo della notifica tra notificante e destinatario della notifica, atteso che l’avviso di accertamento è stato spedito pacificamente con raccomandata AR in data 30/12/2011, sebbene ricevuto dalla società destinataria in data 4/1/2012, principio che, a dire della ricorrente, non troverebbe applicazione nella fattispecie in esame, non vertendosi in tema di notifica di atti processuali e dovendosi applicare il principio in virtù del quale, in ragione della natura recettizia dell’atto, lo stesso non potrebbe produrre effetti se non dal momento in cui pervenga nella sfera di conoscenza del destinatario.
Relativamente al secondo profilo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2948, n. 4 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per non avere la sentenza impugnata rilevato che alla data del 4 gennaio 2012 era in ogni caso decorso il termine quinquennale di prescrizione per l’esazione del tributo, atteso il carattere indubbiamente recettizio dell’atto cui ricollegare l’effetto interruttivo della prescrizione. Il motivo è manifestamente infondato.
In relazione al primo profilo va osservato che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo il quale “in tema di avviso di accertamento notificato a mezzo posta, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza che grava sull’Amministratone finanziaria, occorre avere riguardo alla data di spedizione dell’atto e non a quella di ricezione dello stesso da parte del contribuente, atteso che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato si applica in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante e, quindi, anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria” (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 22 settembre 2015, n. 18643; Cass. sez. 6-5, ord. 21 ottobre 2014, n. 22320; Cass. sez. 5, 10 giugno 2008, n. 15298; Cass. sez. 5, 29 gennaio 2004, n. 1647).
No parte ricorrente ha prospettato elementi idonei a giustificare un mutamento del succitato indirizzo ormai consolidato.
Quanto sopra osservato – avuto riguardo alla specifica fattispecie oggetto di esame da parte di questa Corte, in cui l’avviso di accertamento è stato originato da infedele denuncia contestata dall’Amministrazione alla contribuente con l’atto impositivo, con conseguente liquidazione del maggior tributo ritenuto dovuto in relazione alla più ampia superficie dei locali accertata – porta a qualificare, in piena armonia con il dato normativo di cui all’art. 1, comma 161 della legge n. 296/2006 il termine quinquennale ivi previsto (31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento avrebbero dovuto essere effettuati) per la notifica degli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio esclusivamente come termine di decadenza.
Risulta, pertanto, non pertinente l’invocata violazione dell’art. 2948, n. 4 c.c. in relazione all’eccepita, da parte della contribuente, prescrizione quinquennale del tributo, che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 22 luglio 2015, n. 20213; Cass. sez. 6-5, ord. 14 maggio 2013, n. 11497; Cass. sez. 5, 23 febbraio 2010, n. 4283) riferisce alle ipotesi della prestazione che il contribuente è tenuto a corrispondere periodicamente in virtù dell’originaria dichiarazione o delle variazioni intervenute e successivamente regolarmente comunicate all’ente impositore, che non richiede alcun previo accertamento (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22248). Se dunque, in astratto, è vero quanto sostenuto dalla contribuente in ordine alla qualificazione come recettizio dell’atto interruttivo della prescrizione – non vertendosi, peraltro, per quanto qui in rilievo, in caso in cui detta interruzione possa avvenire unicamente per mezzo del compimento di atto di natura processuale (cfr. Cass. sez. unite 9 dicembre 2015, n. 24822) – nondimeno le considerazioni in proposito ribadite ed ulteriormente sviluppate in memoria dalla ricorrente non possono trovare applicazione nella fattispecie in esame, nella quale il termine quinquennale, non ancora decorso al momento della spedizione dell’avviso di accertamento, è da qualificare, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, solo come termine di decadenza.
La manifesta infondatezza del primo motivo determina analoga sorte del consequenziale secondo motivo, col quale, sul medesimo presupposto innanzi rappresentato, la società ricorrente ha lamentato, questa volta, l’omesso accertamento da parte della decisione impugnata dell’eccepita decadenza del Comune di Salerno dalla pretesa impositiva, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 12, comma 2, del regolamento generale delle entrate del Comune di Salerno, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Infine è inammissibile il terzo motivo con il quale la ricorrente lamenta, sempre in relazione alla dedotta natura recettizia dell’avviso di accertamento, il vizio di omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., trattandosi in primo luogo di motivazione in diritto, e non in punto di accertamento di fatto (essendo sul punto, i fatti relativi alle date di spedizione e ricezione dell’atto assolutamente pacifici) ed in secondo luogo risultando comunque la censura formulata in relazione alla previgente formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., trattandosi di controversia avente ad oggetto ricorso per cassazione avverso sentenza della CTR depositata in data 14/4/2015, per la quale trova applicazione l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nel testo sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 134/2012, in relazione al quale, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053) non è più consentito il sindacato della Corte se non nei casi di anomalia motivazionale talmente grave da risolversi in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusi quindi i casi di motivazione insufficiente o contraddittoria.
Il ricorso va dunque rigettato, in quanto manifestamente infondato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore del Comune di Salerno delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4100,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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