CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 gennaio 2018, n. 318
Tributi – Residenza in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990 – Somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro – Rimborso IRPEF – Ammissibilità
Rilevato che
1. Con la sentenza impugnata la CTR sicula rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado di Catania che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso il diniego tacito opposto dall’amministrazione finanziaria al rimborso della quota pari al 90% delle imposte IRPEF versate per gli anni 1990, 1991 e 1992, richiesto dal contribuente, residente in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, ai sensi della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 17.
1.1. Rilevava il giudice di appello, sulla scorta dello jus superveniens costituito dalla legge n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, la sussistenza sub specie dei presupposti per il rimborso al contribuente, che era residente in una delle province colpite da quel sisma, non svolgeva attività d’impresa ed aveva avanzato tempestivamente (in data 31/12/2004) l’istanza di rimborso rispetto al termine biennale di cui all’art. 21, secondo comma, ultima parte, d.lgs. n. 546 del 1992, decorrente dal Io marzo 2008 (ovvero dalla data di entrata in vigore della legge n. 31 del 2008, di conversione del d.l. n. 248 del 2007, come espressamente previsto dall’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014). Riteneva, inoltre, di non condividere la tesi dell’amministrazione finanziaria, di spettanza del rimborso al solo datore di lavoro del contribuente, quale sostituto d’imposta, in ragione dell’ingiustificata disparità di trattamento che verrebbe a determinarsi tra contribuenti dipendenti (che assolvono l’obbligo contributivo mediante trattenute operate dal datore di lavoro) e quelli autonomi (che vi provvedono direttamente).
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre con tre motivi l’Agenzia delle entrate, cui replica il contribuente con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197) risulta regolarmente costituito il contraddittorio, a seguito del quale l’Agenzia ricorrente ha depositato memorie con richiesta di rimessione della causa alla pubblica udienza della Quinta Sezione civile cui demandare la verifica di applicabilità al caso di specie (e ad altri numerosi ricorsi pendenti su analoga questione) dello ius superveniens rappresentato dall’art. 16-octies, comma 1, della legge n. 123 del 2017, di conversione con modifiche del d.l. n. 91 del 2017.
4. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, 11 e 14 delle preleggi, 3, comma 1, della legge n. 212 del 2000, 3, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 e 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo di non condividere l’orientamento di questa Corte in ordine all’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla legge n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, anche ai contribuenti che all’entrata in vigore di tale disposizione di favore avevano integralmente versato le imposte relative agli anni 1990, 1991 e 1992. Osserva che la norma é chiara nel disporre la riduzione del carico fiscale esclusivamente per le imposte non versate; che ciò è confermato dalla sopravvenuta disposizione di cui all’art. 3-quater, comma 2, della legge n. 17 del 2007, di conversione del d.l. n. 300 del 2006, che, nel differire i termini per la definizione della posizione di quei contribuenti ai sensi dell’art. 9, comma 17, della legge 289 del 2002, prevede che la definizione si perfeziona con il versamento dell’intero ammontare dovuto per ciascun tributo; che trattasi di norma agevolativa e, come tale, di stretta interpretazione (art. 14 preleggi); che l’esigenza di evitare una disparità di trattamento in danno del contribuente più diligente, ravvisata da questa Corte nella sentenza n. 20641 del 2007, era stata esclusa anche dalla Corte costituzionale che più volte si era pronunciata affermando la compatibilità con il principio di uguaglianza di discipline di sanatoria differenziate in ragione dell’intervenuto pagamento o meno di contributi (ord. 303/1997; 143/1999, sent. 178/2000) o di imposte (sent. 32/1976; n. 33/1981 e ord. 539/1987; sent. 416/2000); che nella sentenza n. 416 del 2000 la Corte costituzionale aveva poi affermato la coessenzialità dell’incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati alla tecnica del condono (previdenziale o fiscale).
2. Il motivo di ricorso non supera lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione (Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017), atteso che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nella citata disposizione processuale, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (cfr. Cass. n. 3142 del 2011 e n. 19190 del 2017).
2.1. Invero, nel caso di specie le tesi sostenute dalla difesa erariale nel motivo in esame sono del tutto identiche a quelle esaminate e confutate da questa Corte già nella sentenza n. 20641 del 2007 (con riferimento a fattispecie del tutto analoga a quella qui vagliata) e poi ancora nella sentenza n. 11247 del 2010 (con riferimento ai contributi previdenziali dovuti dai soggetti colpiti dall’alluvione della città di Alessandria nel novembre 1994) e n. 3832 del 2012 (con riferimento ai soggetti colpiti dall’alluvione del Piemonte del 1994), nelle quali si è affermato che la definizione automatica della posizione fiscale prevista dalle disposizioni di favore emanate per i soggetti colpiti da particolari calamità naturali «può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10% del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”» (Cass. n. 20641 del 2007) «in coerenza con l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge e, in particolare, con i principi di ragionevolezza e uguaglianza da ritenere tanto più accentuati in quanto riferiti a vittime di calamità naturali» (Cass. n. 3832 del 2012). Analoga confutazione hanno avuto le argomentazioni svolte dalla difesa erariale con riferimento ai principi espressi dalla Corte costituzionale nelle pronunce dalla medesima citate nel ricorso ed innanzi richiamate, essendosi affermato (Cass. n. 18205 del 2016) che in quelle pronunce vengono definite “sine causa” i pagamenti di tributi precedentemente effettuati dal contribuente e, quindi, dovute al momento della “solutio”, ma divenuti indebiti a seguito di successivo intervento legislativo; che è situazione del tutto identica a quella in esame. Si è detto, inoltre, che il Giudice delle leggi ha differenziato la disciplina del condono – che essendo caratterizzata dalla «incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati» e non escludendo la “causa debendi” dei pagamenti anteriormente effettuati, non interferisce con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – dalle altre disposizioni di favore — nel cui ambito si ascrivono quella in esame – che sono estranee alla tecnica ed alle finalità del condono e che non rispondono «ad esigenze della finanza pubblica» (così in Corte cost., sent. n. 416 del 2000), ma piuttosto mirano a «realizzare un’uniformità di regolamentazione» di una disciplina sostanziale (come la Corte costituzionale ha ritenuto con riferimento alle agevolazioni per la prima casa, nel caso scrutinato nella sentenza sopra citata), oppure a prevedere misure di sostegno in favore di soggetti particolarmente bisognosi, come quelli danneggiati da calamità naturali (in tal senso Cass. n. 11247 del 2010), che è l’ipotesi che viene qui in rilievo.
3. Il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 9, comma 17, legge 289 del 2002, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, 12 e 14 delle preleggi e 112 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere spettante al contribuente il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro del medesimo, che aveva assolto gli obblighi tributari quale sostituto d’imposta, a costui spettando in via esclusiva il rimborso per come avrebbe dovuto desumersi sia dal riferimento testuale nella norma alle imposte «versate», sia dalla ratio dell’intervento legislativo diretto ad assicurare — siccome evidenziato dall’interpretazione fornita dal Governo nell’ordine del giorno n. 9/5310-bis C-R/65 della seduta del 28/12/2004, e poi ancora dalle risoluzioni dell’amministrazione finanziaria n. 23/E del 2005 e n. 247/E del 2008 — un sostegno economico alle imprese delle province colpite dagli eventi sismici e comunque riferito alle imposte autoliquidate dagli stessi contribuenti.
4. Il motivo è palesemente infondato alla stregua di Cass. n. 17472 e n. 17473 del 2017, secondo cui «tale interpretazione non trova invero univoco riferimento nel dato positivo, specie alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di cui sopra si è detto. Il riferimento testuale alle imposte “versate”, in particolare, non può assumere il significato scriminante che intende attribuirgli l’amministrazione, non rinvenendosi in materia ragione alcuna per derogare al principio fissato dall’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in forza del quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito) (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14406; Cass. 29/07/2015, n. 16105), rimanendo quest’ultimo, comunque, il contribuente/debitore principale e come tale beneficiario diretto del provvedimento agevolativo di che trattasi».
4.1. Va, quindi, ribadito il principio che il lavoratore, che si identifica con il contribuente, vanta e può esercitare il diritto al rimborso per le somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, restando del tutto indifferente ai fini della spettanza del beneficio la circostanza che la somma, oggetto di richiesta di rimborso, sia stata versata tramite ritenute operate dal sostituto d’imposta.
4.2. Principio che ha recentemente trovato l’avallo del Legislatore che con l’art. 16-octies, comma 1, lett. b), della legge n. 123 del 2017, di conversione con modifiche del d.l. n. 91 del 2017, ha modificato l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 specificando espressamente che tra «i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, […], che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni» e che «hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, […] al rimborso di quanto indebitamente versato», sono «compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite». E nel senso dell’effettiva spettanza del rimborso ai lavoratori dipendenti si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, emesso ai sensi del terzo periodo del novellato comma 665 dell’art. 1 della legge 190/2014, che prevede che «Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma».
4.3. Al riguardo va rilevato che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura «pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017» , la novella introdotta dalla legge n. 123 del 2017, art. 16- octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati «nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma» (primo periodo del comma 665 modificato dalla lettera a) del citato art. 16-ocities, comma 1), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che «in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi» (quinto periodo del comma 665 come introdotto dalla lettera b) del citato art. 16-ocities, comma 1), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento (quello indicato al precedente punto 2.2) che stabilisca «le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma», in precedenza riservando il citato comma 665 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un «decreto» con cui stabilire «i criteri di assegnazione dei predetti fondi».
4.4. Orbene, ritiene il Collegio che il delineato jus superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, per nulla incide sulla questione della quale è investita la corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, qual è il controricorrente, operando 1 limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza. Inoltre, costituisce jus receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incida sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (es. tra le tante Cassazione civile, sez. trib., 24/04/2015, n. 8373, in tema di IVA). Il che rende complessivamente tuttora operanti e pienamente attuali i principi di diritto già consolidatamente enunciati in materia da questa Corte e, dunque, “decidibile” l’odierno ricorso con rito camerale a mente degli artt. 375 e 380-bis cod. proc. civ., senza la necessità della celebrazione della pubblica udienza, pur sollecitata dalla difesa erariale.
5. Palesemente infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce la violazione degli artt. 9, comma 17, legge 289 del 2002, 21, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 546 del 1992, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, 12 e 14 delle preleggi nonché 112 cod. proc. civ. per avere la CTR errato nel ritenere tempestiva l’istanza di rimborso, avanzata in data 21/05/2008, cioè a distanza di oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002.
5.1. Quanto al termine per la presentazione dell’istanza, questa Corte nella già citata sentenza n. 18205 del 2016 ha affermato che lo jus superveniens costituito dall’art. 1, comma 665, ultima parte, della legge n. 190 del 2014, ha espressamente previsto che «Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza é calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248» e cioè dal 1° marzo 2008, cosicché l’istanza presentata dal contribuente in data 21/01/2008 è, all’evidenza, tempestiva.
6. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile e vanno rigettati gli altri, con condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
7. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta gli altri e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre al rimborso del 15 per cento dei compensi per spese forfetarie e agli accessori di legge.
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