CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 maggio 2017, n. 11513
Tributi – Accertamento a seguito di indagini bancarie – Conti correnti intestati ai soci
Fatti di causa
La G.L.M. srl propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso)e del Ministero delle Finanze (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Regionale della Liguria n. 1135/05/2015, depositata in data 3/11/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, a seguito di indagini bancarie, per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2006, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della contribuente (riconoscendo maggiori costi).
In particolare, i giudici d’appello hanno accolto il gravame dell’Agenzia delle Entrate, confermando integralmente l’atto impositivo, ed hanno respinto il gravame incidentale della contribuente, precisando l’irrilevanza della circostanza che “alcuni dei conti correnti oggetto di indagine fossero intestati ai soci e non direttamente alla società contribuente”.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, va dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la C.T.R. della Liguria, introdotto con ricorso proposto dal contribuente nei soli confronti dell’Ufficio locale della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione del rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 comma 3 c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
2. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omessa motivazione della sentenza su un punto decisivo e/o fatto rilevante ex art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione ad alcuni dei motivi di appello incidentale sollevati (in particolare, in ordine alla violazione dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000 ed alla violazione del divieto di doppia imposizione).
3. Il motivo è inammissibile, sia per difetto di autosufficienza, occorrendo che, nel ricorso per cassazione, ove sia denunciato un error in procedendo, siano “riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate” (Cass. 11738/2016; Cass. 19410/2015), sia perché non viene, in ogni caso, neppure nel corpo del motivo (Cass. 25386/2015), dedotta una nullità della decisione impugnata, per omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in violazione dell’art. 112 c.p.c., ma soltanto un’omessa motivazione “su punto e/o fatto rilevante” (cfr. Cass. 329/2016: “L’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., giacché queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa Cass. 7871/2012).
3. Il secondo ed il terzo motivo, con i quali si lamenta la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000 e degli artt. 27 del TUIR e 67 del DPR 600/1973, sono infondati, in quanto le questioni suddette non risultano trattate dalla C.T.R., nella decisione impugnata, cosicché non ricorre il vizio di violazione di legge denunciato.
4. Il quarto motivo, con il quale si lamenta in relazione alla negatoria, presente nella decisione impugnata, di un riconoscimento forfetario dei costi occulti, corrispondenti a ricavi occulti accertati, la violazione, ex art. 360 “n. 1″ c.p.c. di Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E”, è, del pari, infondato, avendo una Circolare dell’Amministrazione finanziaria carattere meramente interno e non vincolante per i terzi (Cass. 27832/2012).
5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, nel rapporto ricorrente/Agenzia delle Entrate, seguono la soccombenza.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, nel rapporto ricorrente/Ministero, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi € 2.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dall’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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