CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2017, n. 29588
Cartella esattoriale – Contributi previdenziali omessi – Associazione in partecipazione – Causa del contratto – Partecipazione al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite – Prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale – Accertamento di rapporto di lavoro subordinato
Rilevato
Che, con sentenza depositata il 23.12.2011, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza del Tribunale di Livorno di rigetto dell’opposizione a cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per contributi omessi in danno di tre associate in partecipazione ritenute lavoratrici sue dipendenti;
che avverso tale pronuncia ha interposto ricorso per cassazione in proprio e n.q. di socia accomandataria della cessata “L.F. di G.S. & C. s.a.s.”, proponendo tre motivi di censura, illustrati con memoria;
che I’INPS ha resistito con controricorso;
Considerato
Che l’eccezione di difetto di capacità processuale attiva e passiva della Soc. L.F. di G.S. & C. S.a.s., sollevata solo con la memoria illustrativa con riferimento alla circostanza che la cartella impugnata fu emessa contro la società e non contro i soci e fu notificata il 19.11.2004 su ruolo reso esecutivo il 13 settembre 2004 nonostante la società fosse stata cancellata dal registro delle imprese dal 24 luglio 2002, è inammissibile perché estranea al contenuto dei motivi di ricorso, fondata su fatti mai dedotti nei gradi di merito che si pretende di provare con richiamo a documento prodotto in primo grado e non depositato unitamente al ricorso ai sensi dell’art. 369 n. 4) cod.proc.civ. a pena di improcedibilità;
che, in particolare, questa Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (Cass. 3471/2016; 26332/2016);
che, peraltro, è la stessa ricorrente a dare atto, addebitando la circostanza a mero errore materiale di cui non fornisce prova, che la sentenza risulta emessa nei confronti della sola G.S. e che la cartella oggetto d’opposizione fu notificata anche alla stessa in proprio; che, dunque, la odierna ricorrente risulta essere stata l’unica parte del giudizio di cognizione sulla pretesa contributiva per cui, anche a prescindere dall’evidente inammissibilità dell’eccezione, va confermato l’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. 17883/2015; 23600/2009, 5763/2002), per il quale l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti al rapporto contributivo, con la conseguenza che l’ente previdenziale convenuto ben può chiedere, oltre che il rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente al pagamento del credito di cui alla cartella, senza che ne risulti mutata la domanda e tale diritto resta fermo ove anche la cartella presenti un qualche vizio formale, residuando pur sempre anche in tale ipotesi in favore dell’Istituto, che non può valersi della cartella quale titolo esecutivo, la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie per l’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare del credito.; che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito fondato la propria decisione sulle testimonianze delle presunte lavoratrici senza tener conto della loro incapacità a testimoniare;
che il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ, denuncia l’omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo, nuovamente, alla incapacità a testimoniare delle asserite lavoratrici;
che con il terzo motivo viene denunciata insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla natura giuridica, dipendente o autonoma, dei rapporti di lavoro oggetto di causa, posto che le dichiarazioni rese dalle affermate lavoratrici avevano comunque dimostrato la natura autonoma dei rapporti di lavoro mancando il rapporto gerarchico, l’orario di lavoro, il potere disciplinare e le direttive dell’imprenditore; che, il primo ed il secondo motivo da trattarsi congiuntamente in quanto entrambi dipendenti dall’asserita illegittimità della prova testimoniale delle asserite dipendenti, sono infondati giacché la ricorrente non indica con precisione quando e dove ha sollevato l’eccezione di incapacità a testimoniare e questa Corte (Cass. 23896/2016; 21670/2013) ha più volte affermato che qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l’omessa motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullità della prova testimoniale (nella specie, per incapacità ex art. 246 c.p.c.), il ricorrente ha l’onere, anche in virtù dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p.c. subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo;
che il terzo motivo è pure infondato posto che costituisce principio consolidato quello secondo cui il contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato trova la propria causa nella partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite, di talché, ove sia resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, la collaborazione ricade nella causa tipica del rapporto di lavoro subordinato, in ragione del generale favor accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni”» (cfr. Cass. n. 1817 del 2013); che, con riguardo al vizio di motivazione denunciato, è orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui in tanto si può censurare una sentenza di merito di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 2, d.lgs. n. 40/2006, e anteriore alla novella di cui all’art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con I. n. 134/2012) in quanto il fatto su cui la motivazione è stata omessa o è stata resa in modo insufficiente o contraddittorio sia autonomamente decisivo, ossia potenzialmente tale da portare la controversia ad una soluzione diversa, l’indagine di questa Corte dovendo spingersi fino a stabilire se in concreto sussista codesta sua efficacia potenziale (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017);
che nella specie parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui considerazione da parte del giudice avrebbe di per sé condotto ad un diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi a evidenziare talune circostanze (e precisamente il nomen iuris attribuito al contratto e le concrete modalità di attuazione del rapporto che vedevano la presenza della madre della ricorrente (T.G.) quale soggetto titolato ad impartire ordini alle dipendenti, per come emerse dalle prove testimoniali assunte nel corso del processo) che non potrebbero non essere valutate comparativamente con le altre che la Corte territoriale ha valorizzato ai fini del decidere (ciò che peraltro la Corte medesima ha puntualmente fatto, svalutando la decisività delle dichiarazioni rese dal consulente fiscale della ricorrente e qualificando come preposta all’attività commerciale la madre della stessa, ancorché pervenendo a conclusioni non condivise da parte ricorrente);
che, anche prima della modifica apportata all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non può essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento (cfr. da ult. ancora Cass. n. 7916 del 2017, cit.);
che, conclusivamente, il ricorso va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi € 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
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