CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2017, n. 29617
Tributi – Imposte sui redditi – Verifiche di conti correnti bancari – Accertamento induttivo – Inversione dell’onere della prova a carico del contribuente –
Fatti di causa
Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di G.R.C. dell’avviso di accertamento, emesso ai sensi dell’art. 32 d.p.r. n. 600/1973 e relativo a maggiore IRPEF per l’anno d’imposta 2008, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dal contribuente, confermando la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso introduttivo, aveva ridotto il reddito accertato, ritenendo che il contribuente avesse fornito la prova della non imponibilità delle somme relativamente a sei versamenti bancari.
Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso, prospettante violazione di legge, è infondato. Sulla questione controversa, costituita dall’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente) anche alle verifiche fiscali (quale quella in esame) conseguenti ad accertamenti bancari ovvero ” a tavolino”, questa Corte è intervenuta ripetutamente affermando che la suddetta disposizione trova applicazione, come da espressa previsione legislativa, solo nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria proceda ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” (v.tra le altre Cass. n. 3142/2014; id n. 13588/2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184/2013). A suffragare tale orientamento sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 24823/15) le quali hanno statuito il seguente principio: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica previsione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbero potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si rilevi non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto». Il principio è stato, di recente ribadito anche da Cass. n. 10249 del 26/04/2017 la quale ha puntualizzato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di riferire “de plano” ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, posto che il citato art. 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facoltà, non di obbligo, dell’amministrazione tributaria».
2. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione di legge (art. 32 d.p.r. 600/1973) perpetrata dalla C.T.R. per non avere scrutinato le singole giustificazioni addotte dall’esponente, è infondato.
2.1. La Commissione tributaria regionale ha, infatti, correttamente applicato i principi affermati in materia da questa Corte in tema di prova a carico del contribuente ( cfr. Cass. n. 15857 del 29/07/2016: << In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili»); mentre di contro, il motivo di ricorso, nei termini in cui è formulato, appare tendere inammissibilmente ad una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella effettuata dal Giudice di merito.
3. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di questo giudizio liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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