CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 gennaio 2017, n. 543
Consorzi – I soci pagano la riparazione dell’auto personale del Presidente – Legittima la delibera dell’assemblea che pone a carico dei consorziati le spese sostenute dal Presidente del consiglio di amministrazione per riparare l’autovettura personale con cui ha avuto un incidente nell’esercizio delle sue funzioni
Fatto e ragioni della decisione
1) Con atto di citazione notificato il 9.6.2001, P. R. e la figlia N. I. R. convenivano, dinanzi al Tribunale di Civitavecchia, il Consorzio Poggio delle Ginestre, di cui esse attrici erano partecipi, per ottenere la declaratoria di nullità della delibera consortile del 23.2.1997.
Esponevano che nel bilancio del 1996 era stata posta a carico dei consorziati la spesa per la riparazione dell’autovettura Renault Clio (tg. …) di proprietà del Presidente del Cda del Consorzio, D. R.; sostenevano l’estraneità della spesa al bilancio del Consorzio.
Il Consorzio, costituendosi in giudizio, replicava che il ristoro del danno patito dal Presidente nell’espletamento del suo incarico era stato deliberato ai sensi dell’art. 1720, comma 2, c.c.; eccepiva la tardività dell’impugnazione ai sensi dell’art. 1109 c.c.
Il Tribunale di Civitavecchia, sezione distaccata di Bracciano, con sentenza n.3 del 13.1.2007, rigettava la domanda per tardività dell’impugnazione rispetto al termine di 30 gg. stabilito a pena di decadenza dall’art. 1109 c.c.
P. R. e N. I. R. proponevano appello, con atto notificato il 27.10.2007.
Deducevano che la deliberazione impugnata era da ritenersi radicalmente nulla in ragione del suo oggetto, risultando estranea alle competenze dell’assemblea la tutela dei beni non già comuni ma personali del Presidente, con conseguente inapplicabilità del termine di decadenza previsto per le deliberazioni annullabili. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4258 del 12.9.2012, ha rigettato l’appello, affermando che “rientra nelle attribuzioni dell’assemblea consortile la valutazione, in sede di approvazione del consuntivo, della inerenza di una determinata spesa alla gestione dei beni e servizi comuni”; “ove si contesti, poi, che tale valutazione sia effettivamente orientata al perseguimento degli scopi del consorzio e si prospetti, quindi, una deviazione dell’atto di gestione dalla finalità sua propria, si configura un vizio di eccesso di potere, suscettibile come tale di essere denunciato solo nei termini previsti per l’impugnazione delle deliberazioni annullabili, secondo la nozione invalsa nella giurisprudenza”.
2) N. I. R., in proprio e quale unica erede della defunta P. R., ha proposto ricorso per cassazione, articolato su un unico motivo.
Il resistente ha resistito con controricorso.
Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Ha proposto il rigetto del ricorso.
Parte resistente ha depositato memoria adesiva.
2.1) La ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1421 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.”.
Espone che la Corte di Appello avrebbe errato nella qualificazione del vizio inficiante la deliberazione consortile, ritenendo sussistente un vizio di eccesso di potere, suscettibile di determinare l’annullamento della delibera e, in quanto tale, non meritevole di accoglimento per tardività della domanda.
La R. sostiene che la delibera “è radicalmente nulla per contrarietà alla legge ed ai contratti associativi, nonché per impossibilità dell’oggetto, risultando estranea alle competenze, anche lato sensu, dell’organo collegiale e diretta a realizzare fini estranei alla comunità consortile, che sono la tutela e l’amministrazione delle cose comuni”.
Pertanto la relativa azione dovrebbe ritenersi svincolata dal termine breve di decadenza dall’impugnazione.
La parte controricorrente resiste deducendo che “l’assemblea consortile ha ritenuto di farsi carico degli oneri della riparazione della vettura del Presidente a mente dell’art. 1720 cpv. c.c., che prevede che il mandante (l’Assemblea) debba tenere indenne il mandatario (il Presidente del Consorzio) dei danni da questi patiti a causa dell’incarico; e poiché deve ritenersi pacifico che i danni della cui riparazione si tratta il Presidente e mandatario ebbe a subire a causa dell’incarico conferitogli ed in occasione dell’espletamento dello stesso, appare evidente che l’assemblea con la delibera impugnata ha apprezzato che la spesa fosse inerente alla gestione del Consorzio in quanto connessa al contratto di mandato in essere con il Presidente”.
3) Il ricorso risulta infondato.
Secondo un costante orientamento, il sindacato dell’Autorità giudiziaria sulle delibere di assemblee di soci non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei soci, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o statutarie, deve comprendere anche l’eccesso o abuso di potere, ravvisabile quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve stabilire solo che essa sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante” (Cass. 5889/01). Posto quindi che rientra nella competenza dell’assemblea decidere se farsi carico, a norma dell’art. 1720 c.c., dei danni patiti dal mandatario a causa dell’incarico, va rilevato che nel caso di specie l’assemblea ha stabilito che la spesa fosse inerente alla gestione del Consorzio, ritenendola evidentemente connessa al contratto di mandato posto in essere con il Presidente.
Al fine di contestare la validità della delibera, e, in particolare, la sussistenza dell’eccesso di potere, la R. avrebbe dovuto dimostrare che la delibera, anche se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, era “arbitrariamente e fraudolentemente preordinata al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di interessi divergenti da quelli della società ovvero volutamente lesivi degli interessi degli altri soci”, ossia che la delibera non aveva una propria e autonoma giustificazione sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudolenta in danno della minoranza costituiva l’unica ragione della delibera (Cass. 6361/03; Cass. 4923/95; Cass. 2958/93; Cass. 3628/86).
Tale gravità non è stata dimostrata, né il vizio di eccesso di potere contestato. La ricorrente si è limitata a denunciare il fatto che la vettura del Presidente del Consorzio non era un bene comune e, sulla base di questo assunto, ha ritenuto che la spesa compiuta sul bene non fosse inerente alla gestione del Consorzio in questione.
Il fatto che il bene sia di proprietà esclusiva del Presidente non è dirimente rispetto alla controversia, in quanto non esclude che il R. abbia utilizzato lo stesso nell’esercizio dell’incarico ricoperto.
In proposito dallo stesso ricorso emerge che il Consorzio riconobbe la spesa perché derivata dall’esercizio delle funzioni dell’amministratore.
In memoria parte resistente ha precisato, ma il rilievo era superfluo, che il danno si era verificato in occasione di un intervento notturno dell’amministratore presso l’impianto di pompaggio dell’acqua, entrato in avaria in orario notturno a causa di forti piogge.
Pertanto la delibera contestata dal ricorrente risulta assunta sulla base del principio di inerenza alla gestione del Consorzio, e, come correttamente motivato dal Giudice di Appello, anche laddove si contesti che la valutazione di tale inerenza sia effettivamente orientata al perseguimento degli scopi del Consorzio e si prospetti, quindi, una deviazione dell’atto di gestione dalla finalità sua propria, “si configura un vizio di eccesso di potere, suscettibile come tale di essere denunciato solo nei termini previsti per l’impugnazione delle deliberazioni annullabili”.
Ne consegue che parte ricorrente ha impugnato la delibera oltre il termine di legge previsto e che il ricorso, come esposto nella relazione preliminare, non merita accoglimento.
Discende da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 2.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all’art.13 comma 1 quater del d.p.r 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge n. 228/12 per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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