CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2017, n. 23812
Accertamento – Accantonamento a fondo rischi – Plusvalenza – Tassazione
Premesso
– che, in controversia relativa a ripresa a tassazione ai fini IRPEG ed IRAP di un accantonamento a fondo rischi dell’importo di complessivi 327.591,00 Euro, per le «presumibili spese per personale dipendente in occasione di rinnovi contrattuali», effettuato negli anni di imposta 1993, 1994 e 1995 dalla I.V.N. s.r.I., successivamente incorporata dalla F. s.p.a. e da quest’ultima utilizzato nell’anno di imposta 2003, la Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 29 del 10 aprile 2010 rigettava l’appello proposto dalla società contribuente ritenendo corretto sottoporre a tassazione la plusvalenza utilizzata dalla contribuente in quanto gli accantonamenti al fondo in questione costituivano contropartita di un costo non ammesso dalle norme fiscali, come si desumeva dalla documentazione prodotta dalla contribuente, né i controlli dovevano essere effettuati negli anni precedenti;
– che avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui non replica l’intimata.
Considerato
– che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione agli artt. 70, 73 e 75 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), nella numerazione ante riforma 2004 (ora artt. 105, 107 e 109 stesso decreto), sostenendo che l’amministrazione finanziaria era decaduta dal potere di procedere all’accertamento in quanto gli accantonamenti, in forza delle citate disposizioni del TUIR, non costituivano passività fiscalmente deducibili negli anni in cui erano stati appostati nel fondo, ovvero negli anni 1993, 1994 e 1995, cosicché la rettifica doveva essere effettuata dall’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 43 d.P.R. citato, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nella specie quindi entro il 31/12/2009;
– che con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non avere la CTR adeguatamente giustificato le ragioni per le quali aveva ritenuto che non appariva fondata l’eccezione secondo la quale l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto effettuare i controlli negli anni precedenti;
– che con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 (ora art. 88) TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986) e, sul presupposto che nella fattispecie non era contestato che l’accantonamento di somme a fondo rischi era giustificato dalle presumibili spese per personale dipendente in occasione di rinnovi contrattuali» e che, quindi, «trattavasi di fondi indeducibili di competenza degli esercizi 1992, 1993, 1994», sosteneva che aveva errato la CTR nel ritenere legittima la ripresa a tassazione, atteso che in base alla predetta disposizione l’eliminazione di un costo non riconosciuto fiscalmente nei precedenti esercizi non produce alcuna sopravvenienza attiva tassabile;
– che con il quarto motivo deduce che la CTR aveva violato e falsamente applicato l’art. 2697 cod. civ. attribuendo l’onere di provare che gli accantonamenti erano stati precedentemente assoggettati a tassazione alla società contribuente anziché all’amministrazione finanziaria, trattandosi di componenti positivi di reddito;
– che con il quinto motivo la società ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sostenendo che la CTR aveva omesso di pronunciare sulla domanda con cui aveva censurato la ripresa a tassazione ai fini IRAP;
– che la questione posta dal ricorso in esame è quella relativa al trattamento fiscale degli accantonamenti indeducibili di fondi rischi che il codice civile individua nel “passivo” dello stato patrimoniale, al raggruppamento B, “fondi per rischi ed oneri”, comprendente i “fondi per trattamento di quiescenza ed obblighi simili”, “per imposte” e, al n. 3, “altri fondi” (art. 2424 cod. civ.), e nel conto economico alle voci B.12 e B.13, riferite rispettivamente agli “accantonamenti per rischi” e ai costi per “altri accantonamenti” (art. 2425 cod. civ.), stabilendo l’art. 2424-bis, terzo comma, cod. civ. che «gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza»; di tali fondi si è occupata anche la Commissione congiunta istituita dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDC) e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri (CNR), i cui principi contabili rinvenibili nel documento n. 19 del 26 settembre 1996, redatto in materia di “fondi per rischi ed oneri, il fondo T.F.R. e i debiti” sono conformi ai principi contabili sia nazionali (OIC n. 19) che internazionali (IAS n. 10), distinguendo due tipi di accantonamenti a fondi, ovvero quelli per “oneri”, cioè per «spese e perdite di gestione “certe”, in quanto i rispettivi fatti generatori si sono verificati nell’esercizio di competenza, ma il cui esatto ammontare rimane ancora indeterminato, pur potendo tuttavia essere oggetto di attendibile stima previsionale» e quelli per “rischi”, ovvero «di “passività potenziali”, che il principio contabile definisce come correlate a “situazioni già esistenti, ma con esito pendente in quanti si risolveranno in futuro: si intende cioè una situazione, una condizione od una fattispecie, esistenti alla data di bilancio, caratterizzate da uno stato di incertezza, le quali al verificarsi o meno di uno o più eventi futuri, potranno concretizzarsi per l’impresa in una perdita o in un utile» (Cass. n. 5976 del 2015);
– che sul piano fiscale vengono in rilievo le disposizioni contenute nel TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), in cui gli accantonamenti ad appositi fondi rischi ed oneri sono disciplinati dagli artt. 70, 72 e 73 (ora artt. 105, 107 e 109), statuendo il comma 4 dell‘art. 72 (ora 107) TUIR che «non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo», cosicché eventuali stanziamenti a fondi diversi da quelli previsti dalle citate disposizioni, costituiscono accantonamenti fiscalmente non riconosciuti e quindi indeducibili, con la conseguenza che, da un lato, le quote accantonate costituiscono variazioni in aumento del risultato civilistico rilevante ai fini della determinazione del reddito d’impresa imponibile, ex art. 52 (ora art. 56) TUIR, mentre, dall’altro lato, l’utilizzo del fondo dovrà essere ricompreso tra le variazioni in diminuzione del risultato di periodo in cui tale utilizzo si è manifestato, mentre se viene azzerato (come nel caso di specie), l’accantonamento del fondo costituisce una sopravvenienza attiva, ex art. 55, ora art. 88, TUIR e, quindi, un componente positivo di reddito;
– che, pertanto, alla stregua di quanto detto sopra e diversamente da quanto sostiene la ricorrente, il fondo in questione, essendo istituito in previsione di una «”passività” priva dei requisiti di certezza e determinabilità indicati dalla norma tributaria – che può assumere invece rilevanza ai fini della redazione del bilancio civilistico , ipotesi che ricorre nel caso in cui la obbligazione pur “certa” nell’an- essendosi perfezionato il titolo costitutivo – risulti ex ante “indeterminabile” nel quantum (essendo ad esempio la determinazione del corrispettivo rimessa alla effettiva quantità dei beni o servizi in concreto somministrati in un determinato periodo), ovvero la stessa insorgenza della obbligazione appaia incerta (ad esempio in caso di contestazione giudiziale della esistenza o della validità del titolo costitutivo della stessa) o ancora la obbligazione assunta sia subordinata, quanto alla efficacia, ad un evento futuro ed incerto non rimesso alla mera volontà del debitore (condizione sospensiva)» (Cass. n. 5976/15 cit.), è soggetto alla disciplina dell’art. 75 (ora art. 109), comma 1, seconda parte, del TUIR che, derogando al principio di competenza di cui alla prima parte della citata disposizione (secondo cui i componenti negativi e positivi di reddito concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza), stabilisce che i componenti di reddito «di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni»;
– che l’incertezza che connotava l’utilizzo del fondo in esame e che si è risolta soltanto con il suo azzeramento da parte degli organi societari per essere «venuti meno i presupposti che avevano consigliato una postazione del passivo di tale natura» (così nell’avviso di accertamento, riportato a pag. 2 del ricorso) comporta l’assoggettabilità a tassazione al momento della sua utilizzazione, nella specie effettuata non per sostenere il costo per il quale il fondo era stato istituito, ma quale sopravvenienza attiva;
– che, alla stregua delle superiori considerazioni, il primo e terzo motivo di ricorso (con cui sono stati dedotti errores in iudicando) vanno rigettati perché infondati, restando assorbiti il secondo (con cui è dedotto il vizio motivazionale) ed il quarto (con cui è dedotta la violazione delle regole che presiedono l’onere probatorio);
– che, con riferimento al quarto motivo di ricorso, deve osservarsi che la statuizione di appello involge entrambe le riprese a tassazione, quella effettuata ai fini IRPEG e quella ai fini IRAP, non rinvenendosi nella stessa alcuna distinzione tra l’una e l’altra imposta, cosicché il lamentato difetto di pronuncia sulla domanda avanzata dalla società contribuente in relazione alla ripresa ai fini IRAP è palesemente infondata;
– che in mancanza di costituzione dell’intimata non vi è ragione di provvedere sulle spese processuali;
P.Q.M.
Rigetta il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
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