CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 gennaio 2018, n. 639
Riscossione – Accertamento – Contabilizzazione cessione auto – Intermediazione – Fatturazione – Evasione d’imposta – Insussistenza
Ritenuto che
1. Con processo verbale di constatazione, notificato il 4.8.2000, la G.d.F. di Campobasso contestava alla A.Z. S.r.l. , società esercente l’attività di compravendita di auto nuove ed usate con sede in Campobasso, l’irregolare contabilizzazione di operazioni intercorse con la Concessionaria FIAT M. S.p.A., posto che la contribuente aveva effettuato, dalla M. automobili, acquisiti, negli anni 1998 e 1999, senza emissione di fattura. Le medesime autovetture venivano, poi, rivendute a clienti finali, con fattura rilasciata dalla M. S.p.A. laddove, per le transazioni avvenute la società A.Z. S.r.l. risultava aver emesso, nei confronti della M., fatture per provvigioni al fine di simulare l’esistenza di un rapporto di intermediazione. L’Ufficio notificava avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 1999 nei confronti della società A.Z. S.r.l. e nei confronti del socio A.Z., nonché nei confronti del socio M.T.C..
In seguito, rilevata con ulteriore processo verbale di constatazione del 24.2.2001 l’esistenza di altre operazioni, intercorse tra le due società, della stessa specie di quelle già contestate, l’Ufficio notificava un altro avviso con il quale veniva irrogata per l’anno di imposta 1999, la sanzione di euro 21.960. La società impugnava con vari ricorsi gli avvisi emessi nei suoi confronti, innanzi alla CTP di Campobasso che, previa riunione, li accoglieva. L’Ufficio proponeva appello innanzi alla CTR del Molise che rigettava il gravame. L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. La società A.Z. S.r.l. si è costituita con controricorso, illustrato con memorie.
Considerato che
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 111, comma 2, Cost. dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 14 e 59 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., ritenuto che la CTR avrebbe omesso di rilevare d’ufficio la nullità del giudizio di primo grado, per mancata integrazione del contraddittorio con i soci, respingendo nel merito l’appello.
Conclude formulando il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “Premesso che oggetto del presente ricorso per cassazione è una sentenza emessa all’esito di un appello in un giudizio avente ad oggetto avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società con cui veniva rideterminato il reddito prodotto da quest’ultima nell’anno di imposta 1999, e da questa impugnati con ricorso al giudice tributario; ciò premesso, dica codesta Suprema Corte che, ai sensi dell’articolo 111, comma 2, Cost., dell’articolo 101, c.p.c. e degli articoli 14 e 59, d.lgs. 546 del 1992, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c., è nulla la sentenza con la quale la CTR, decidendo l’appello, ometta di rilevare d’ufficio la nullità del giudizio di primo grado e della relativa sentenza per non essere stata pronunciata in contraddittorio con i soci, applicando la norma inesistente secondo cui in fattispecie come quelle in esame non sussista l’obbligo di integrazione del contraddittorio con i soci, e non applicando invece il principio sancito dalle Sezioni Unite per cui nei giudizi aventi ad oggetto accertamenti nei confronti della società o di uno dei soci vi è il litisconsorzio necessario della società e di tutti i soci, con l’obbligo di riunione dei giudizi eventualmente incardinati separatamente per gli accertamenti emessi nei confronti della società e quelli relativi ai singoli soci, e, qualora questa riunione non sia stata disposta (come nel caso in esame), con la nullità integrale, rilevabile anche d’ufficio, dell’intero giudizio, con rimessione al giudice del primo grado”
2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 53, comma 1 e 3 d.P.R. n. 633 del 1972 e 1 commi 2, 4, 5, del d.P.R. n. 441 del 1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. posto che la CTR ha erroneamente ritenuto che il rapporto tra i due soggetti di imposta fosse di intermediazione e che, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette e dell’IVA, non essendo avvenuta una vera e propria cessione, non vi sia stata alcuna evasione di imposta in ragione della regolare fatturazione dal parte della società venditrice (la M. S.p.A.) dell’intero prezzo di vendita ai terzi e da parte della società acquirente (la A.Z. s.r.I.) della regolare fatturazione per la mera provvigione. Si lamenta la violazione di legge atteso che il “rapporto di rappresentanza” deve risultare da atto pubblico, scrittura privata registrata o da lettera annotata in apposito registro, in data anteriore a quella in cui è avvenuto il passaggio dei beni, sicché non avendo la parte fornito la suddetta documentazione, la presunzione operata dall’Ufficio sia da ritenersi legittima. Si argomenta che la presunzione di acquisto di beni, prevista dall’art. 53, comma quarto, nell’ammettere, tra l’altro la prova contraria del contribuente di averli ricevuti in base da un rapporto di rappresentanza, limita la dimostrazione della sussistenza di tale rapporto alla sola prova documentale di determinati atti tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che la diversa opzione fatta propria dalla CTR, che pretenderebbe di sussumere la fattispecie de qua nell’ambito applicativo della disposizione dell’art. 1, comma 5, del d.P.R. n. 441, sarebbe errata e tale da comportare la cassazione della sentenza impugnata, atteso che la presunzione di cessione non può ritenersi superabile tramite le bolle di accompagnamento dei beni, trattandosi di documenti non indicati dall’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Conclude formulando il seguente quesito di diritto: “Dica questa Suprema Corte se in un fattispecie, come la presente, ove per superare la presunzione di cessione ex articolo 53 d.P.R. n. 633 del 1972 vengano allegati, a prova contraria, i documenti di trasporto di cui all’articolo 1, comma 5, del d.P.R. n. 441 del 1997, erri il giudice di merito che riconosca efficacia probatoria di tali documenti, pur se lo stesso non risulti incluso tra quelli indicati nell’articolo 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, come i soli idonei a dimostrare che la consegna dei beni a terzi sia avvenuta sulla base di un contratto di mandato e/o di uno degli altri contratti nella medesima disposizione indicati con carattere di tassatività non traslativi del diritto di proprietà.
3. Preliminarmente va esaminato la richiesta di parte ricorrente che chiede la riunione del presente procedimento con i ricorsi recanti i numeri R.G. 18886 del 2010 e 18888 del 2010, relativi agli avvisi di accertamento emessi per lo stesso anno di imposta nei confronti dei soci A.Z. e M.T.C.. La richiesta non può trovare accoglimento, tenuto conto che i suindicati procedimenti sono stati definiti con le sentenze di questa Corte n. 7491 del 2016 e 23053 del 2015.
4. Il primo motivo è infondato.
Nella ipotesi di società di capitali, come nella fattispecie, non vige il principio di diretta imputazione ai soci del reddito della società, valido per le società di persone, ai sensi del d.P.R. n. 917 del 1986, art. 5. Ciò comporta che nel giudizio di impugnazione di un atto impositivo emesso nei confronti della società non sussiste litisconsorzio necessario con i soci (Cass. n. 20507 del 2017; Cass. n. 426 del 2013).
5. Il secondo motivo è infondato.
a) Ai sensi dell’art. 3, comma 1 e art. 1, comma 4, del d.P.R. n. 441 del 1997, la rappresentanza deve risultare da atto pubblico, da scrittura privata registrata o da lettera annotata in apposito registro, in data anteriore a quella in cui è avvenuto il passaggio dei beni, presso l’Ufficio competente in relazione al domicilio fiscale del rappresentante o del rappresentato. I beni che si trovano nel luogo o in uno dei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività si presumono acquistati se il contribuente non dimostra, nei casi e nei modi indicati nel primo e nel comma 2, di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza o di lavorazione o ad uno degli altri titoli di cui al comma 1 o da atto registrato presso l’ufficio del registro. La norma secondo il consolidato orientamento di questa Corte realizza una “presunzione iuris tantum di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività” (Cass. n. 5572 del 2011; Cass. n. 17638 del 2008). Più esattamente le presunzioni che essa pone “sono presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette miste, che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi (Cass. n. 2845 del 2012).
b) Ciò premesso, va chiarito che l’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, è stato sostituito con decorrenza dal 7.1.1998, dalle disposizioni recate dal d.P.R. n. 441 del 1997, con cui è stato approvato il regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione di acquisto. L’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 pone una presunzione “iuris tantum” di cessione di beni acquistati, importati o prodotti, non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività. Tale presunzione è superabile, ai sensi della lett. b) del comma 1 del citato articolo, se l’interessato dimostri, attraverso documentazione indicate nel successivo comma 2, che i beni sono invece “stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti d’opera, appalto trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà”.
c) Non sono idonei a superare tale presunzione i documenti provenienti esclusivamente dalle ditte consegnatarie, ma che non hanno riscontro nei documenti del contribuente cedente (Cass. n. 17636 del 2008), pertanto la prova sussiste solo a mezzo di specifiche prove documentali previste dal terzo comma, tra cui rientra, in virtù dell’art. 1 del d.P.R. n. 441 del 1997, anche il documento di trasporto di cui all’art. 1, comma 3, d.P.R. n. 472 del 1996. (Cass. n. 26477 del 2014).
d) La disposizione di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 441 del 1997 ha valenza integrativa e ricognitiva della previgente disciplina dettata dall’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. n. 16838 del 2006). Il documento di trasporto è stato introdotto a seguito dell’abolizione della bolla di accompagnamento come previsto dall’entrata in vigore della normativa comunitaria (Sesta direttiva IVA, Direttiva 77/338/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul fatturato), che aveva di fatto esonerato dall’obbligo di emissione della bolla i trasporti tra gli Stati membri dell’Unione europea. Il documento di trasporto permette di vincere la presunzione di cui all’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972. Il quadro normativo è stato sul punto innovato dal d.P.R. 14 agosto 1996, n. 472 che, nell’esercizio della potestà regolamentare conferita dalla I. 30 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 147, lett. d) per provvedere alla soppressione dell’obbligo della bolla di accompagnamento delle merci viaggianti, al terzo comma dell’art. 1, dopo aver riepilogato le caratteristiche di contenuto del nuovo documento di trasporto previsto in caso di fatturazione differita dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 4, terzo periodo, lett. a) “il documento previsto dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 4, terzo periodo, lett. d) contiene l’indicazione della data, delle generalità del cedente, del cessionario e dell’eventuale incaricato del trasporto, nonché la descrizione della natura, della qualità e della quantità dei beni ceduti”.
Nella fattispecie, la società contribuente ha provveduto, a mezzo dei documenti di trasporto, a superare le presunzioni di cessione e di acquisto, poste dall’art. 53 cit., entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi (Cass. n. 17210 del 2006; Cass. n. 1976 del 2015).
4. La CTR si è uniformata ai suddetti principi, avendo precisato che “nella fattispecie risulta pacifico, in quanto documentalmente provato che la società A.Z. S.r.l. non ha venduto direttamente le autovetture in contestazione perché non titolare delle stesse essendo state invero queste alienate a terzi legalmente dalla società intestataria degli automezzi de quibus così come indicato dalle fatture di vendita emesse dalla società M. S.p.A. nonché nei documenti di trasporto attinenti ai suddetti beni, il tutto in applicazione delle disposizioni normative di cui al 5 comma lett. b) del d.P.R. 441 del 1997 nonché in virtù dell’art. 1, comma 3, del d.P.R. 472 del 1996”, con la conseguenza che nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata.
5. Il ricorso va dunque respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, con distrazione a favore del difensore, che si dichiara antistatario.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 5.600,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge, con distrazione a favore del difensore ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
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