CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 gennaio 2018, n. 641
Accertamento – Art. 39, D.P.R. n. 600/1973 – Insussistenza del divieto di doppia presunzione – Dipendenti non regolarmente assunti – Retribuzione non contabilizzata – Presunzione di maggiore redditività d’impresa
Ritenuto che
L’Agenzia delle entrate notificava alla società T. Costruzioni s.r.l. un avviso di accertamento per maggior reddito societario ed IRAP ed omesse ritenute su redditi di lavoro dipendente (mod. 770), un avviso di rettifica per IVA, ed al socio T.R. un avviso di accertamento per conseguente maggior reddito di partecipazione, tutti relativi all’anno di imposta 2002 per assunzione di lavoratori irregolari, con conseguente applicazione della sanzione, ai sensi dell’art. 3, c.3, del d.l. 12/2002, conv. nella I. n. 73 del 2002.
I contribuenti impugnavano gli atti innanzi alla CTP di Como che, previa riunione dei relativi ricorsi, accoglieva parzialmente le domande, riconoscendo che il numero dei lavoratori irregolari corrispondeva a due, e quantificando la durata del lavoro irregolare posto a base delle rettifiche del reddito e dell’IVA limitatamente al periodo 22 febbraio 2002 – 11 giugno 2002. I contribuenti proponevano appello, che la CTR della Lombardia respingeva.
La società T. Costruzioni s.r.l. (in precedenza sino al 10 dicembre 2002 T. S.n.C. di T.R. & C) ed il socio T.R. propongono ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c., depositando anche memoria difensiva.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa pronunzia (art. 360, n. 4, c.p.c.), in violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che il giudice di secondo grado avrebbe completamente omesso l’esame delle domande relative alla invalidità delle rettifiche induttive e alla infondatezza della contestata violazione dell’obbligo di effettuare ritenute e nullità per mancata indicazione dell’aliquota.
1.1 In disparte l’inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, lo stesso è infondato, non ravvisandosi nella sentenza impugnata il dedotto vizio motivazionale, atteso che il giudice di appello ha argomentato in motivazione, sia pure sinteticamente, in ordine agli accertamenti induttivi effettuati dall’Ufficio e sulle relative conseguenze sanzionatorie. Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. “ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo della domanda, intendendosi per capo della domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisce un bene all’attore ed al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass. n. 28308 del 2017, conf. 7653 del 2012).
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa pronunzia su violazione dell’obbligo del sostituto di imposta di effettuare e versare le ritenute d’acconto Irpef su un presunto reddito di lavoro dipendente pari a complessivi euro 17.378, 00 corrisposto a tre lavoratori per il periodo 1 gennaio -11 gennaio 2002, atteso che, indipendentemente dalle rettifiche induttive operate in base ad un criterio forfetario per determinare la sanzione per lavoro irregolare, l’obbligo del sostituto d’imposta, ex art. 23 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di effettuare e versare le ritenute sulle retribuzioni pagate ai dipendenti, nasce solo per redditi di lavoro effettivamente corrisposti e non presunti per l’unico e specifico fine di determinare la misura di una sanzione amministrativa. Inoltre, la sentenza impugnata nulla ha motivato sulla lamentata violazione dell’obbligo dell’ufficio fiscale di indicare, a pena di nullità, ex art. 42 comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, l’aliquota applicata, mentre l’atto impositivo si limita ad indicare “Si applica l’aliquota IRPEF 2002”.
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c. (art. 3, comma 3, d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. in I. n. 73 del 2002; dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 55 d.P.R. 633 del 1972; dell’art. 2697 c.c. in ordine all’onere della prova; dell’art. 23 d.P.R. n. 600 del 1973). Si assume che il fatto accertato dell’utilizzo di due lavoratori non in regola non autorizzava in alcun modo a presumere una sottofatturazione di ricavi nella misura determinata dal Fisco senza alcuna verifica dell’incidenza del costo del lavoro rispetto al ciclo economico dell’impresa e a determinare, per l’effetto, come i costi sostenuti per il lavoro irregolare abbiano inciso in quella misura sull’attività dell’impresa senza alcuna comparazione o valutazione con l’incidenza degli altri fattori della produzione (materiali, consumo di energia, ecc.).
4. Per ragioni di priorità logica va esaminato il terzo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.
L’art. 39, primo comma, lett. b) e d) del d.P.R. n. 600 del 1973 consente l’accertamento induttivo allorquando, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, vi siano elementi desumibili da altre verifiche che inducano a ritenere l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione. Il relativo onere probatorio incombe sull’Amministrazione, pur potendo essere assolto mediante la prova presuntiva (come da inciso finale della lettera d) del citato art. 39).
Va, inoltre, premesso che questa Corte (Cass. n. 2593 del 2011 e Cass. n. 5731 del 2012) ha avuto occasione di chiarire che non sussiste il divieto di doppia presunzione qualora dal fatto noto costituito dalla presenza di dipendenti non regolarmente assunti (e per i quali emerga la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata) si tragga la presunzione di maggiore redditività dell’impresa, trattandosi di una presunzione relativa ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, per superare la quale è onere del contribuente offrire la prova contraria.
Nel caso di specie, l’unico elemento tratto dalla verifica consiste nell’assunzione di lavoro irregolare, mentre parte ricorrente lamenta che il giudice di appello abbia omesso di tenere conto della documentazione e degli elementi di prova dedotti, sia in primo che in secondo grado, diretti a provare la durata limitata del rapporto di lavoro irregolare dei lavoratori G.M. e A.T..
Ne consegue che, a fronte delle specifiche contestazioni della società contribuente, la sentenza impugnata appare carente sul piano motivazionale. Ciò in quanto la fondatezza del ragionamento induttivo dell’Amministrazione finanziaria doveva essere vagliata dalla CTR nei suoi consequenziali, non invertiti, termini logici ed economici di riferimento. Invero, nel complessivo giudizio di effettiva capacità dimostrativa della presunzione ex articoli 2727 – 2729 c.c., tutti gli elementi della fattispecie concreta, che l’Ufficio deve aver indicato nell’ambito del suo accertamento non vengono illustrati in alcun modo nella motivazione della sentenza impugnata. In tale contesto, il giudice di appello non ha minimamente esaminato gli elementi offerti dalla società contribuente per dimostrare i fatti estintivi della pretesa tributaria, sicché dalla piana lettura della sentenza impugnata emerge il dedotto vizio motivazionale, atteso che il giudice di appello ha apoditticamente concluso, che “si tratta all’evidenza di lavoro nero si da non potersi presumere che si sia svolto per solo tre giorni mancando la prova, certamente a carico del contribuente, che i lavoratori extracomunitari, abbiano effettivamente lavorato solo per tale brevissimo periodo”. Da tali affermazioni non è desumibile il criterio logico dal quale il giudicante ha tratto il proprio convincimento, atteso che si è omesso di chiarire, alla luce della realtà aziendale, le ragioni di tale valutazione, non illustrando, in alcun modo, gli elementi fattuali e l’iter logico che hanno condotto a ritenere la violazione contestata dotata di quei caratteri di gravità e sufficienza tali da far ritenere l’intera contabilità complessivamente ed essenzialmente inattendibile e giustificare l’accertamento induttivo e quindi gli impugnati atti impositivi.
4. In ragione dei rilievi espressi, va accolto il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, rigettato il primo, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, la quale, facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, sottoporrà la fattispecie presuntiva a nuova valutazione, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in diversa composizione per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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