CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3473
Tributi – IVA – Evasione – Frodi carosello – Operazioni soggettivamente inesistenti per interposizione di società cartiera – Assenza in capo all’interposto di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata – Elementi presuntivi validi – Inversione dell’onere di prova in capo al contribuente
Rilevato
– che con la sentenza in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale del Molise ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla A.S. s.r.l., già A.M. s.r.l., avverso l’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione l’IVA relativa ad alcune operazioni di acquisto intracomunitario di autovetture, in quanto ritenute soggettivamente inesistenti, effettuate cioè con l’interposizione fittizia di un operatore nazionale (ovvero la E. Import Export s.r.l.) che era risultato essere mera società “cartiera”, costituita cioè al solo scopo di realizzare una c.d. frode carosello;
– che i giudici di appello hanno ritenuto insufficienti ad escludere l’inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali gli elementi forniti dall’amministrazione finanziaria, quali: la mancanza di organizzazione, di dipendenti, di capacità finanziaria, di prezzi inferiori praticati, di mancato versamento dell’IVA da parte del cedente;
– che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non ha replicato la società intimata;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che è fondato e va accolto il mezzo di cassazione con cui la ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., ha censurato la statuizione di appello per avere la CTR escluso che quelli addotti dall’amministrazione finanziaria costituissero elementi presuntivi idonei a dimostrare, anche in maniera indiziaria, l’irregolarità delle prestazioni perché rese da soggetto diverso dal fatturante, che svolgeva funzione di mera “cartiera”, e a ribaltare, quindi, sulla società contribuente l’onere di provare la sussistenza delle operazioni contestate;
– che è orientamento giurisprudenziale, di matrice anche unionale, quello secondo cui «in tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta» (così, recentemente, Cass. n. 10120 del 2017), la mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta non potendo desumersi dalla regolarità formale delle scritture contabili o dalle evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. sent. n. 30148 del 2017, n. 967 del 2016, n. 428 del 2015);
– che, d’altro canto, in punto di onere probatorio spettante all’amministrazione finanziaria la Corte europea ha più volte ribadito che spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto (Corte giustizia 06/12/2012; 31/01/2013, nonché 22/10/2015, C-277/14), ma «non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione possa assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel d.P.R. n. 917 dei 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass. 21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C- 285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11)» (così in Cass. n. 17290 del 2017), quindi, «non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente» (cfr., ex multis, Cass. n. 10414 del 2011; n. 23560 del 2012, n. 17818 del 2016, n. 8091 del 2017); in buona sostanza, elementi indiziari che, «avuto riguardo alle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore “eiusdem generis ac professionis” a sospettare della regolarità della operazione (dovendo in tal caso considerarsi il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere” come “partecipante a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni”: id. 6.7.2006, Kittei e Recolta, punto 56 e 57. Cfr. Corte cass. V sez. 20.12.2012 n. 23560» (in termini, Cass. n. 17818 del 2016; v. oltre alla già citata Cass. n. 10120 del 2017, anche Cass. n. 967 del 2016 secondo cui «possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione»);
– che in presenza di tali elementi indiziari «si riversa sul contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori, ovvero, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione» (Cass. da ultimo cit.);
– che, diversamente da quanto sostenuto dalla CTR molisana, l’Amministrazione finanziaria nel caso qui vagliato ha fornito idonei elementi probatori della natura di “cartiera” della società cedente, quali la mancanza di organizzazione, di dipendenti e di capacità finanziaria dell’emittente della fattura, oltre all’inferiorità dei prezzi praticati rispetto a quelli di mercato ed il mancato versamento dell’IVA da parte del cedente, con la conseguenza che spettava alla società contribuente fornire la prova di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;
– che, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla CTR molisana che, in diversa composizione, provvederà a rivalutare la vicenda processuale e a regolamentare anche le spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione.
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