CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3474
Tributi – Iva – Detrazione – Operazioni inesistenti – Prova dell’Amministrazione finanziaria – Presunzioni semplici – Requisito di gravità, precisione e concordanza – Rilevanza
– che è infondato il mezzo di cassazione con cui la società ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 54, 56 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., ha censurato la statuizione di appello per avere la CTR ritenuto che quelli addotti dall’amministrazione finanziaria costituissero elementi presuntivi idonei a dimostrare, anche in maniera indiziaria, l’irregolarità delle prestazioni perché soggettivamente inesistenti e a ribaltare, quindi, sulla società contribuente l’onere di provare la sussistenza delle operazioni contestate;
– che in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ed in particolare in ordine al riparto dell’onere probatorio, è principio giurisprudenziale assolutamente consolidato quello secondo cui spetta all’Amministrazione finanziaria, che contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, di provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, anche in via indiziaria, – quindi, “non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente” (cfr. Cass. n. 10414 del 12/05/2011; id. n. 23560 del 20/12/2012 e n. 17818 del 2016), “spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente” (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, “di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode”(cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015, n. 967 del 2016; più recentemente, Cass. n. 10120 e n. 30148 del 2017);
Rilevato
– che con la sentenza in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva invece accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione, con riferimento all’anno di imposta 2006, l’IVA relativa a dieci fatture emesse dalla ME.RI.CHE.P. s.r.l. per prestazioni pubblicitarie, in quanto ritenute soggettivamente inesistenti;
– che, secondo i giudici di appello, a fronte degli elementi probatori forniti dall’amministrazione finanziaria – quali: la mancanza, in capo alla società emittente le fatture contestate, di una sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione delle prestazioni fatturate; la circostanza che nell’anno 2006 esistevano “due società Me.Ri.Chep con il medesimo domicilio fiscale e che l’appellata avesse un contratto di sponsorizzazione dapprima con una società, salvo poi stipularne uno nuovo nel 2007 con l’altra”, la società contribuente non aveva fornito, come era suo onere, alcuna prova idonea a dimostrare la propria buona fede;
– che la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha replicato l’intimata con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che è infondato il mezzo di cassazione con cui la società ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 54, 56 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., ha censurato la statuizione di appello per avere la CTR ritenuto che quelli addotti dall’amministrazione finanziaria costituissero elementi presuntivi idonei a dimostrare, anche in maniera indiziaria, l’irregolarità delle prestazioni perché soggettivamente inesistenti e a ribaltare, quindi, sulla società contribuente l’onere di provare la sussistenza delle operazioni contestate;
– che in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ed in particolare in ordine al riparto dell’onere probatorio, è principio giurisprudenziale assolutamente consolidato quello secondo cui spetta all’Amministrazione finanziaria, che contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, di provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, anche in via indiziaria, – quindi, “non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente” (cfr. Cass. n. 10414 del 12/05/2011; id. n. 23560 del 20/12/2012 e n. 17818 del 2016), “spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente” (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, “di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode”(cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015, n. 967 del 2016; più recentemente, Cass. n. 10120 e n. 30148 del 2017);
– che tali principi muovono da quelli di matrice unionale, avendo la Corte europea più volte ribadito, in punto di onere probatorio spettante all’amministrazione finanziaria, che spetta a quest’ultima dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto (Corte giustizia 06/12/2012; 31/01/2013, nonché 22/10/2015, C-277/14), non potendosi però dubitare che “l’Amministrazione possa assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel d.P.R. n. 917 dei 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass. 21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C- 285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11)” (così in Cass. n. 17290 del 2017), quindi, “non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente” (cfr., ex multis, Cass. n. 10414 del 2011; n. 23560 del 2012, n. 17818 del 2016, n. 8091 del 2017); in buona sostanza, elementi indiziari che, “avuto riguardo alle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore “eiusdem generis ac professionis” a sospettare della regolarità della operazione (dovendo in tal caso considerarsi il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere” come “partecipante a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni”: id. 6.7.2006, Kittei e Recolta, punto 56 e 57. Cfr. Corte cass. V sez. 20.12.2012 n. 23560″ (in termini, Cass. n. 17818 del 2016; v. oltre alla già citata Cass. n. 10120 del 2017, anche Cass. n. 967 del 2016 secondo cui “possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione”);
– che in presenza di tali elementi indiziari “si riversa sul contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori, ovvero, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione” (Cass. da ultimo cit.);
– che, pertanto, al cospetto degli elementi probatori forniti dall’amministrazione finanziaria, come in premessa indicati (tra cui va ricordata, per la sua significatività, la mancanza, in capo alla società emittente le fatture contestate, di una sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione delle prestazioni fatturate), la CTR ha correttamente applicato le disposizioni censurate ed i principi giurisprudenziali sopra enunciati, con la conseguente inversione dell’onere probatorio, dando atto, con accertamento in fatto non censurato (con la conseguenza che là dove la ricorrente pretende una rivalutazione delle risultanze processuali, il motivo è anche inammissibile), che la società contribuente non aveva affatto adempiuto a detto onere;
– che pare opportuno precisare, avendovi la società ricorrente fatto riferimento nel ricorso, che nella specie è del tutto ininfluente la modifica legislativa di cui all’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, la quale riguarda la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità dell’IVA che costituisce l’oggetto dell’accertamento e, quindi, del presente giudizio (cfr. Cass. n. 19218 del 2012; v. anche Cass. n. 26461 del 2014 e n. 7896 del 2016);
– che, pertanto, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
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