CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2018, n. 3518
Redditi d’impresa – Accertamento – Riscossione – Cessione di azienda – Plusvalenza
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendone solo parzialmente l’appello, ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento nella parte in cui aveva rettificato il reddito d’impresa di A.M. recuperando a tassazione una plusvalenza, per quanto ancora rileva, di lire 1.500.000 conseguita nell’anno 1998.
L’ufficio aveva infatti accertato che la contribuente, a seguito della vendita della sua azienda, una farmacia, alla snc Farmacia M.I. dei dottori I. e M.T.I., aveva realizzato una plusvalenza relativa all’avviamento commerciale per lire 1.500.000, regolata con la costituzione di una rendita vitalizia, convenendo le parti che, in luogo del pagamento, i due soci, figli della contribuente cedente, assumevano appunto l’obbligo di corrisponderle una rendita vitalizia annua di lire 276.000.000.
Il giudice d’appello ha posto in evidenza che la rendita vitalizia non costituisce un pagamento differito, né può essere scambiata per un reinvestimento contestuale, mancando del presupposto principale costituito dalla determinazione certa del corrispettivo; ed ha in proposito, tra l’altro, rinviato “al principio sancito dalle norme tributarie in ordine all’effettivo possesso del reddito ossia della certezza dei ricavi e dei proventi consacrata dall’art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986”.
La contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 86, 109, comma 2, lettera a), e 52 del nuovo testo del d.P.R. n. 917 del 1986”, l’amministrazione ricorrente censura in quanto erronea la decisione, ed assume che per l’IRPEF, ai fini della determinazione del reddito d’impresa sarebbe configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale, ai sensi dell’art. 86, nuovo testo, del tuir, anche nel caso di cessione a titolo oneroso di un’azienda il cui corrispettivo sia rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia, occorrendo considerare ai fini dell’imputazione del corrispettivo, il memento di stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 109 (nuovo testo), tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, e prescindendo da clausole estranee al tipo contrattuale, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha affermato che “in tana di imposte sui redditi, è configurabile una plusvalenza tassabile anche nel caso di cessione di azienda (nella specie una farmacia) con costituzione di una rendita vitalizia a favore del cedente, ai sensi dell’art. 1872 cod. civ., posto che essa può costituire il corrispettivo di un’alienazione patrimoniale che, pur assicurando una utilità aleatoria quanto all’ammontare concreto delle erogazioni che verranno eseguite, ha un valore economico agevolmente accertabile con riferimento a calcoli attuariali, secondo criteri riconosciuti dall’ordinamento giuridico; né può essere considerato di ostacolo alla tassazione il rischio di doppia imposizione, essendo la rendita vitalizia assimilabile a fini fiscali al reddito da lavoratore dipendente, in quanto il divieto di doppia imposizione scatta al memento della concreta liquidazione della seconda imposta e solo nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di avere diritto a ricevere il doppio pagamento” (Cass. n. 5886 del 2013); “la rendita vitalizia è assimilabile, ai fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente e l’art. 48 bis, lett. c) della legge 27 luglio 1967, n. 685, vigente “ratione temporis”, nel sottoporre a tassazione la quota di rendita individua forfettariamente nel 60 percento la componente reddituale della stessa, sicché il capitale tassato al memento del trasferimento è escluso dall’imposta” (Cass. n. 27179 del 2014).
Si è in particolare chiarito che “ai fini dell’imputazione del corrispettivo occorre considerare il momento di stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 75 del tuir, tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo…, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale” (Cass. n. 10801 del 2007, n. 387 del 2016).
Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre vanno compensate fra le parti le spese per i gradi di merito, considerata l’epoca di formazione del primo orientamento di riferimento in materia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 8.000, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara compensate fra le parti le spese per i gradi di merito.
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