CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2017, n. 14770
Lavoro subordinato – Reperibilità “passiva” – Equiparazione al lavoro effettivo – Diritto al riposo compensativo – Non sussiste
Rilevato
che con sentenza in data 17.5.2012 la Corte di Appello di Genova, confermando la pronuncia del Tribunale di Massa, ha respinto le domande proposte nei confronti della Azienda Unità Sanitaria Locale 1 di Massa e Carrara dai litisconsorti indicati in epigrafe, « inquadrati in varie categorie previste dalla contrattazione collettiva del comparto sanità o dirigenti medici » i quali, avendo svolto il servizio di pronta disponibilità anche in giorni festivi, avevano chiesto: il riconoscimento del diritto a fruire in ogni caso del riposo compensativo; il risarcimento del danno subito per la mancata fruizione del riposo; la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario da calcolarsi, in caso di chiamata effettiva alla quale non aveva fatto seguito la concessione del giorno di riposo, su tutte le ore di lavoro prestate dopo la settimana giornata sino al giorno di effettivo godimento del riposo settimanale;
che avverso tale sentenza B.B. e gli altri litisconsorti sopra indicati hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese la Azienda USL 1 di Massa e Carrara con tempestivo controricorso;
che il P.G. in data 7 febbraio 2017 ha concluso per l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso e per l’accoglimento del terzo:
che è stata depositata memoria dai ricorrenti e dalla Azienda USL Toscana Nord Ovest, succeduta per fusione alla Azienda USL 1 di Massa Carrara.
Considerato
1. che con i primi due motivi i ricorrenti denunciano, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione di plurime disposizioni di legge e di contratto (art. 1 d.lgs 8.4.2003 n. 66; artt. 36 e 97 Cost.; artt. 7 del CCNL Integrativo 20.9.2001 per il personale non dirigente del comparto sanità e dell’art. 17 del CCNL 3.11.2005 per l’area della dirigenza medica) nonché della direttiva 2003/88/CE e deducono, in sintesi, che la reperibilità deve essere equiparata al lavoro effettivo, essendo tale qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia obbligato a rimanere a disposizione del datore di lavoro, sicché al dipendente va in ogni caso concesso il riposo compensativo, a prescindere da una sua manifestazione di volontà in tal senso;
2. che i motivi devono ritenersi manifestamente infondati perché la sentenza impugnata, nell’escludere che il servizio di reperibilità «passiva» possa essere equiparato al lavoro effettivo e nell’interpretare le disposizioni contrattuali che vengono in rilievo, si è attenuta al principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, con plurime pronunce, ha escluso l’invocata equiparazione e ha evidenziato che dalla prestazione del servizio non deriva, quale effetto automatico, il diritto del dipendente a fruire del riposo compensativo, rimesso, invece, alla sua scelta discrezionale (Cass. 4.4.2016 n. 6491; Cass. 18.3.2016 n. 5465; Cass. n. 9316/2014; Cass. n. 11730/2013; Cass. n. 4688/2011; Cass. n. 27477/2008; Cass. n. 18812/2008);
2.1. che le sentenze nn. 5465 e 6491 del 2016 hanno interpretato le disposizioni contrattuali che qui vengono in rilievo, di contenuto analogo, evidenziando che con riferimento al servizio che non abbia comportato la chiamata del dipendente, le parti collettive hanno previsto la concessione di un riposo compensativo «senza riduzione del debito orario settimanale», ossia di una giornata di riposo la cui fruizione lascia globalmente immutata l’ordinaria prestazione oraria settimanale e, quindi, impone una variazione in aumento della durata della attività lavorativa da prestare negli altri giorni della settimana;
2.2. che, pertanto, l’obbligo del datore di lavoro di concedere la giornata di riposo, rimodulando conseguentemente l’orario settimanale, sorge solo qualora il dipendente ne faccia espressa richiesta, la quale trova la sua ratio nella maggiore gravosità della prestazione che, in caso di fruizione del riposo compensativo, deve essere resa negli altri giorni lavorativi;
2.3. che i motivi di ricorso non prospettano argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sono integralmente condivise dal Collegio;
3. che la terza e la quarta critica, formulate ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., addebitano alla sentenza impugnata di avere respinto le diverse domande di maggiorazione del trattamento retributivo e di risarcimento del danno per la mancata fruizione del riposo settimanale derivata dalla chiamata in servizio, sulla base di una errata interpretazione delle disposizioni contrattuali (artt. 7, 39 e 40 del CCNL 20.9.2001 per il personale non dirigente del comparto sanità; art. 34 del CCNL 7.4.1999 per il medesimo comparto; art. 17 del CCNL 3.11.2005 per l’area della dirigenza medico-veterinaria del servizio sanitario nazionale), contrastante con il principio della inderogabilità del riposo settimanale previsto dall’art. 36 cost., dagli artt. 1 e 9 del d.lgs 8.4.2003 n. 66, dagli artt. 2 e 5 della direttiva 2003/88/CE;
3.1. che ad avviso dei ricorrenti, ove nel corso del servizio di reperibilità si renda necessaria la prestazione effettiva, la azienda sanitaria non può limitarsi a corrispondere la maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nella giornata festiva, ma deve anche garantire il riposo settimanale, che è irrinunciabile e si pone su un piano diverso e distinto da quello della quantificazione del trattamento retributivo previsto dalle parti collettive per la prestazione resa a seguito della chiamata nonché dal riposo compensativo che può essere richiesto in luogo della prevista maggiorazione;
3.2. che la questione posta è stata già affrontata da questa Corte con le richiamate decisioni nn. 5465 e 6491 del 2016 con le quali si è esclusa la nullità della disciplina dettata dalle parti collettive (ritenuta, invece, dal Tribunale per violazione della direttiva comunitaria, del d.lgs n. 66/2003 e dell’art. 36 Cost.), evidenziando che l’art. 7 del CCNL 20.9.2001 e l’art. 17 del CCNL 3.11.2005, nella parte in cui escludono la riduzione del debito orario complessivo, si riferiscono unicamente alla reperibilità passiva;
3.3. che le pronunce citate hanno anche sottolineato che la previsione di un compenso maggiorato per l’attività prestata in giorno festivo non incide, neppure indirettamente, sulla disciplina della durata complessiva settimanale dell’attività lavorativa e sul diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dalla azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Carta costituzionale oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE;
3.4. che a detto orientamento il Collegio intende dare continuità perché i CCNL per il personale dirigente e non dirigente del servizio sanitario nazionale (art. 20 CCNL 1.1.1995 per il personale non dirigente e art. 22 CCNL 5.12.1996 per la dirigenza medica e veterinaria) affermano con chiarezza che « il riposo settimanale non è rinunciabile e non può essere monetizzato»;
3.5. che, peraltro, il divieto di monetizzazione e di attribuzione di trattamenti retributivi non previsti dalla contrattazione collettiva nonché la disciplina dell’orario di lavoro dettata per il personale dirigenziale e non dirigenziale del servizio sanitario nazionale escludono che possa essere ritenuto «straordinario» il lavoro prestato nei giorni successivi a quello nel quale doveva essere goduto il riposo settimanale, sicché è corretta la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la domanda volta a ottenere, a titolo retributivo, la maggiorazione stipendiale;
3.6. che la Corte territoriale ha anche escluso il diritto al risarcimento del danno, valorizzando la mancanza di prova in ordine all’esistenza dei pregiudizi lamentati, e così provvedendo si è discostata dal principio di diritto affermato da questa Corte (Cass. 1.12.2016 n. 24563; Cass. 16.8.2015 n. 16665; Cass. 25.10.2013 n. 24180; Cass. S.U. 7.1.2013 n. 142) secondo cui la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto perché « l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno….»;
4. che la sentenza impugnata, in via conclusiva, nell’escludere il diritto al risarcimento del danno per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di reperibilità attiva, non ha correttamente interpretato le disposizioni contrattuali rilevanti e si è posta in contrasto con i principi di diritto sopra indicati;
4.1 che pertanto la decisione deve essere in parte qua cassata con rinvio alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione, che procederà a un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto richiamati ai punti da 3.1 a 3.6 e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità; che non sussistono la condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione.
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