CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 luglio 2017, n. 17488
Tributi – TARSU – Rifiuti da imballaggi – Assimilazione ai rifiuti urbani – Regolamento comuncale – Mancata previsione dei criteri sia qualitativi che quantitativi – Inapplicabilità della disciplina regolamentare – Esclusione della tassazione di rifiuti
Ritenuto
che la CTR di Milano, con la sentenza n. 164/63/09, depositata il 9/6/2009, ha accolto l’appello proposto dalla S.H.I.L. s.r.I., avverso la sentenza della CTP di Bergamo che aveva respinto il ricorso proposto dalla contribuente avverso cartella di pagamento per tassa di smaltimento rifiuti (TARSU), relativa agli anni 2002, 2003 e 2004, emessa dal Comune di Calvenzano, sul presupposto che la contribuente non avesse adempiuto al pagamento di quanto dovuto per le superfici produttive nelle quali si producono rifiuti speciali, assimilati a quelli urbani a norma dello specifico regolamento comunale adottato in materia;
che il giudice di appello ha motivato la propria decisione nel senso che, trattandosi di rifiuti da imballaggi di cui era prevista l’assimilazione a quelli urbani ex art. 8 del Regolamento comunale per lo smaltimento e la raccolta dei rifiuti, avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, secondo la quale l’assimilazione ai rifiuti urbani è subordinata all’indicazione di criteri sia qualitativi che quantitativi, mentre l’Amministrazione comunale aveva fatto riferimento solo a parametri di natura esclusivamente qualitativa, con conseguente inapplicabilità della disciplina regolamentare ed esclusione della tassazione di rifiuti;
che il Comune ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, mentre la intimata non ha svolto attività difensiva;
Considerato
Che, con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce violazione falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 22 del 1997, giacché la CTR non ha considerato che il Regolamento comunale per lo smaltimento e la raccolta dei rifiuti ha provveduto ad a similare a quelli urbani i rifiuti speciali non pericolosi con determinate caratteristiche, acquisendo sui medesimi il diritto di privativa, ai sensi della lett. g), comma 2, art. 21, D.Lgs. n. 22 del 1997, indipendentemente dalla quantità dei rifiuti prodotti, e conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica se, non avendo il Comune di Calvenzano indicato nel provvedimento limiti quantitativi, l’assimilazione e quindi il diritto di privativa dell’ente sia presente nei confronti delle utenze non domestiche per i rifiuti speciali non pericolosi prodotti, indipendentemente dalle quantità smaltite;
che, con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 62, comma 1, D.Igs. n. 507 del 1993, giacché la CTR non ha considerato che il Comune non deve dimostrare, per l’applicazione della tassa sui rifiuti, che il soggetto passivo produca o conferisca rifiuti al servizio comunale, essendo sufficiente la mera detenzione dei locali, laddove l’ente territoriale abbia istituito un apposito servizio e l’utente abbia la possibilità di usufruirne, sicché la produzione ed auto-smaltimento di rifiuti di imballaggio secondario o terziario non determina l’esclusione dal pagamento del relativo corrispettivo, e conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica se, il presupposto della imposizione (TARSU) è la mera occupazione o detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, in presenza di produzione dei suddetti rifiuti di imballaggio, e se quindi è legittima la liquidazione della tassa rifiuti operata dal Comune con l’atto impugnato, con il quale ha ridotto la superficie di lavorazione del 50 per cento, in virtù delle previsioni del proprio Regolamento, ed in conformità con la facoltà di detassazione forfetizzata di cui all’art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993;
che i motivi di ricorso vanno disattesi per le ragioni di seguito precisate;
che le disposizioni relative allo smaltimento dei rifiuti hanno subito nel tempo numerose modifiche legislative e, per quanto qui d’interesse, venuta meno, per effetto della L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3, entrata in vigore il 22 maggio 1998, l’assimilazione automatica ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, è divenuto pienamente operante il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche, sicché a partire dall’annualità d’imposta 1997 assumono decisivo rilievo le indicazioni contenute nei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Cass. n. 22223/2016);
che, tanto premesso, la questione concernente la possibilità per i produttori di rifiuti assimilati, che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi, di sottrarsi alla privativa comunale, ai sensi della normativa dettata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, è stata risolta da questa Corte nel senso che << la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, previsto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali poiché l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità » (Cass. n. 30719/2011; n. 9631/2012; n. 18018/2013; n. 22223/2016);
che la sentenza impugnata è conforme al suindicato indirizzo giurisprudenziale in quanto la CTR ha annullato la cartella di pagamento emessa per il pagamento della TARSU, stante la illegittimità della deliberazione comunale che aveva disposto l’assimilazione dei rifiuti non pericolosi, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), dovendo essa contemplare “oltre alla qualità anche la quantità di tali rifiuti” e, dunque, per la mancata determinazione dei criteri quantitativi, in quanto il giudice tributario può disapplicare, facendo uso del potere concessole dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 7, gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione, anche d’ufficio, purché ovviamente investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente (Cass. S.U. n. 6265/2006; Cass. n. 5721/2007);
che l’ulteriore motivo di impugnazione, incentrato sulla violazione del D.P.R. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1), è inammissibile perché la censura non inerente alla ratio decidendi della pronuncia impugnata, che attiene esclusivamente alla questione della necessaria specificazione dei limiti quantificativi dell’assimilazione di cui qui si discute, e perciò alle ragioni cui fa riferimento il primo motivo di impugnazione; che, invero, la parte soccombente non ha interesse a richiedere, con il mezzo di impugnazione, un sindacato di legittimità in ordine a tale parte della decisione, siccome ininfluente ai fini della causa, e «Il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c. p. c. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto» (Cass. 4044/2009; S.U. n. 351972008);
che le spese di lite non necessitano di regolazione atteso che la parte vittoriosa non si è costituita;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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