CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 luglio 2017, n. 17498
Tributi locali – TARSU – Albergo – Parametri tariffari – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento
Rilevato che
Par. 1.1 II Comune di Palermo propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4658/35/15 dell’11 novembre 2015 con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittima la cartella di pagamento notificata alla Des Palmes Gestioni Alberghiere srl (poi Acqua Marcia Turismo spa), per Tarsu 2012 su stabili alberghieri.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – la delibera di determinazione delle tariffe Tarsu n. 121/10 (prorogata per l’anno 2012) era stata adottata dalla Giunta Municipale in mancanza di un atto regolamentare a contenuto generale di spettanza del Consiglio Comunale; ciò contrastava con quanto stabilito dall’articolo 49 dello statuto comunale, secondo cui la Giunta Municipale non poteva procedere a variazioni delle tariffe e delle aliquote dei tributi comunali, se non entro i limiti indicati dalla legge o dal Consiglio Comunale; il vizio di incompetenza della Giunta, del resto, era già stato accertato dal Tar Sicilia che, con sentenza n. 1550/09, aveva annullato analoga delibera di Giunta relativa all’anno 2006; – in ogni caso, pur ammettendosi il diritto del Comune di diversificare per regolamento i contribuenti in base a categorie e sottocategorie omogenee che tenessero conto dei differenti coefficienti di produttività di rifiuti (anche nel raffronto tra destinazione alberghiera e destinazione abitativa), tale diritto doveva purtuttavia venire esercitato attraverso un’adeguata motivazione che indicasse i parametri tariffari utilizzati e, inoltre, i criteri di diversificazione della produzione di rifiuti, negli stabili alberghieri, tra aree di pernottamento e parcheggio, ed aree di ristorazione; – pur considerando che l’articolo 68 d.lgs. 507/93 attribuiva ai comuni “in linea di massima” di adottare tariffe differenziate tra case di abitazione ed esercizi alberghieri, tuttavia tale differenziazione necessitava di idonea giustificazione, visto anche il notevole divario qui imposto dal Comune.
Par. 1.2 Resiste con controricorso e memoria la Acqua Marcia Turismo spa, la quale chiede: – dichiararsi inammissibile il ricorso del Comune perché recante procura in calce rilasciata non dal “sindaco” di Palermo, unico soggetto legittimato a rappresentare l’ente, bensì da altro soggetto qualificatosi come “vicesindaco”, ma senza indicazione di atto di delega sindacale o di conferimento di poteri; – rimessione pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex articolo 267 TFUE, per interpretazione del diritto comunitario (art. 15 dir. 2006/12/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, e 14 dir. 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio) con riferimento alla disciplina nazionale di cui agli articoli 65, 68 e 69 d.lgs. 507/93; segnatamente, per violazione del principio comunitario “chi inquina paga” (mancata determinazione dei parametri e coefficienti di imposizione in rapporto al volume dei rifiuti prodotti); – rigettarsi, nel merito, il ricorso; – in subordine, sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 68 d.lgs. 507/93, in relazione agli articoli 3, 23 e 53 Cost..
Par. 2.1 Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso per difetto o irritualità della procura difensiva.
Rileva, in proposito, l’orientamento recentemente espresso, esattamente in termini, da Cass. 11962/16, secondo cui: “in tema di rappresentanza processuale del Comune, la causa di impedimento del sindaco a firmare direttamente la procura alle liti si presume esistente in virtù della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, restando a carico dell’interessato l’onere di dedurre e di provare l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sostitutivi; sicché è valida la procura conferita dal vice sindaco ancorché sia stata omessa l’indicazione delle ragioni di assenza o impedimento del sindaco”.
Né potrebbe fondatamente dubitarsi, per il solo fatto che la procura difensiva sia stata rilasciata dal vice-sindaco “in precaria assenza del sindaco”, che l’attività così esercitata (come quella, processuale, posta successivamente in essere sulla base della stessa procura) sia in toto riferibile al sindaco nella sua veste di rappresentante legale dell’amministrazione comunale; a nome della quale il ricorso è stato pacificamente proposto.
Par. 2.2 Parimenti infondata è l’istanza di rimessione pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex articolo 267 TFUE, per interpretazione del diritto dell’Unione.
Ricorre, in proposito, l’orientamento già manifestato da questa corte (Cass. 2202/11) e riferibile anche ai dubbi qui palesati dalla controricorrente, secondo cui.- “in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel d.lgs 15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”.
Tale pronuncia ha preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio eurounitario del “chi inquina paga”, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16.7.09 in causa C- 254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla Ta.r.s.u., nonché di norme di un regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati).
Ebbene, nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia rispetto al principio evincibile dall’art.15 lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall’art. 11 della direttiva 75/442), la CG ebbe ad affermare (come recepito da Cass. cit.), che: – è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; – nella materia le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”.
Sicché, in definitiva, “il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442. Il limite posto dalla Corte di Giustizia alla discrezionalità delle autorità nazionali costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale non sono ammessi regimi d’imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria. La Corte richiama, a titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C – 28/95, Leur Bloemr punti da 41 a 45″.
Questo indirizzo ha poi ottenuto ulteriori, ed anche recenti, conferme di legittimità, nel senso che: “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’art. 62, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dal comma 2 del citato art 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (Cass. ord.19469/14; in termini, Cass. 3772/13); e che: “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, per quelle aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione, atteso che il principio, secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale” (Cass. ord.17622/16).
Quanto così stabilito rende, al contempo, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionali sollevati dalla controricorrente, atteso che – da un lato – la disciplina dei presupposti costitutivi dell’imposizione deriva dalla legge statale e non dalla disciplina secondaria dell’ente locale (viceversa mirata sull’individuazione della tariffa in rapporto ai costi economici di smaltimento), e che – dall’altro – è sempre ammessa la possibilità, per il contribuente, di fornire la prova dei requisiti della esenzione, ovvero riduzione dell’imposta, in ragione della effettiva destinazione delle superfici e della loro assente o minore produttività di rifiuti; così da ricondurre il rapporto impositivo alla concretezza della fattispecie, ed escludere la paventata disparità di trattamento tra categorie o sottocategorie di contribuzione.
Par. 3.1 Con il primo motivo di ricorso il Comune di Palermo lamenta – ex art.360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 49 dello statuto comunale, nonché degli articoli 4 legge 142/90, recepita con l’art. 1, lett. a) LR Sicilia 48/91, e 13 co.l LR 7/92.
Per avere la commissione tributaria regionale affermato l’incompetenza della Giunta Comunale nella variazione delle tariffe Tarsu per l’anno in questione, nonostante che: – l’articolo 1 lett.a) della legge regionale 48/91 (di recepimento dell’articolo 4 legge 142/90) stabilisse che “lo statuto, nell’ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi”; – l’articolo 49 dello statuto del Comune di Palermo attribuisse appunto alla Giunta Comunale la competenza a procedere alla “variazione delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali”; – l’art. 13 co.l LR 7/92 demandasse al sindaco tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non fossero specificamente attribuiti alla competenza di altri organi; – varie pronunce del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana avessero confermato la competenza in materia della Giunta, invece che del Consiglio Comunale.
In ogni caso, il Consiglio Comunale – con deliberazione n. 342/10 – aveva fissato i limiti di approvazione delle nuove tariffe, da parte della Giunta Municipale, per l’anno 2010; poi prorogate per il 2012.
Par. 3.2 II motivo è fondato.
Non vi sono ragioni per discostarsi da quanto di recente stabilito – esattamente in termini – da questa corte di legittimità con ordinanza n.913/16 (richiamante Cass. 8336/15, relativa a TARSU applicata da Comune siciliano; nonché Cass. 360/14), secondo cui: – in tema di TARSU, nella vigenza dell’art. 32, comma 2, lett. g), della legge 8 giugno 1990, n. 142, la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione di beni e servizi (nella specie, tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri, e locali adibiti a uso abitazione) è di competenza della Giunta e non del Consiglio Comunale, atteso che il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione; e, inoltre, che i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali all’individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria; – nella Regione Sicilia, dotata di competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali (art. 14 e 15 Statuto Regionale approvato con r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455), trova applicazione la riserva contenuta nell’art.4 1.142/1990, recepita a livello regionale dall’art. 1 lett. a) LR n.48/1991, secondo la quale lo statuto, nell’ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente e, in particolare, determina le attribuzioni degli organi; – orbene, pur dovendosi rilevare che il T.U. enti locali (d.lgs.n.267/2000, abrogativo della l. n. 142/90) non è stato recepito nella Regione Siciliana (Cass.nn.10230/12, 11396/11; 18563/09), è decisiva la circostanza che, ai sensi dell’art.49 dello Statuto del Comune di Palermo, la Giunta, all’interno delle competenze ad essa riservate, mantiene quella di adottare variazioni delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali e dei corrispettivi dei servizi a domanda individuale, entro i limiti indicati dalla legge o dal Consiglio Comunale; – alla medesima conclusione si perviene considerando altresì il contenuto precettivo di cui all’art. 13 LR 7/1992, secondo il quale la competenza del sindaco riguarda tutti gli atti che dalla legge o dallo statuto non siano stati specificamente attribuiti alla competenza di altri organi.
Tutto ciò depone per l’effettiva sussistenza, nella sentenza impugnata, della violazione normativa denunciata.
Par. 4.1 Con il secondo motivo di ricorso il Comune di Palermo lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 68 e 69 d.lgs. 507/93.
Premesso che la pretesa impositiva si basava su un Regolamento Tarsu (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 37/97) richiamato nella formazione del ruolo in oggetto e recante tutti i parametri di legge, dovrebbe qui ribadirsi l’orientamento consolidato di questa corte; secondo cui la previsione regolamentare di una tariffa Tarsu alberghiera, anche di molto superiore a quella applicata alle case di civile abitazione, deve ritenersi del tutto legittima, posto che la maggior capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero, rispetto ad uno di civile abitazione, costituisce dato di comune esperienza (Cass.302/10 ed altre).
Par. 4.2 Anche questo motivo è fondato.
Va, pure in proposito, richiamata la giurisprudenza di questa Corte (ord. 913/16 cit., con ulteriori richiami), secondo cui, in tema di TARSU, “è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime. Infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n 22. Senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore” (Cass.n.4797/14, Cass.n. 8336/15).
Si tratta di principio già affermato anche in relazione alle tariffe applicate proprio dal Comune di Palermo alle strutture alberghiere; in ordine alle quali si è aggiunto che gli “elementi di riscontro della legittimità della delibera non vanno, d’altronde, riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (Cass. ord. 11655/09; così Cass. ord. 15861/11).
Rileva infine, a disattendere quanto affermato sul punto dal giudice di appello, che: “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili” (Cass. n. 7044/14; così Cass. 22804/06).
Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art.384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.
Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità in materia, si ritiene che le spese del giudizio di merito debbano essere compensate; con addebito alla società contribuente delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente;
pone le spese del presente giudizio di legittimità a carico di quest’ultima, liquidate in euro 5.600,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di merito.
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