CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2017, n. 30187
Riscossione – Cartelle – Vendita quota di comproprietà di fabbricato ad uso abitativo – Divergenza – Valore attribuito alla quota alienata e quello invece attribuito dalle parti – Tassazione – Valutazione
Rilevato che
1. L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 10/20/13 dell’8 febbraio 2013 con la quale la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di liquidazione, e relative cartelle, notificati a F. srl ed agli eredi di M.G. con riguardo all’atto 13 dicembre 2007 con il quale quest’ultimo aveva venduto a F. Srl la quota di comproprietà di 634/1000 di un fabbricato ad uso abitativo in Bologna, per il corrispettivo di euro 1.614.900,00.
La commissione tributaria regionale, per quanto qui rileva, ha ritenuto che l’evidente divergenza tra il valore attribuito alla quota così alienata, e quello invece attribuito dalle parti (euro 1.714.900,00) alla ben minor quota di comproprietà (366/1000) del medesimo immobile contestualmente venduto dal G. a tal D.C., non fosse suscettibile di ripresa a tassazione. Ciò perché le due porzioni immobiliari, ancorché ubicate nello stesso sito, presentavano caratteri quantitativi e qualitativi differenti; posto che la quota venduta al C. (il cui prezzo era stato determinato con contratto preliminare del 9 novembre 2007) era stata fatta oggetto di sensibili miglioramenti rispetto alla quota venduta alla F. srl (dedotta in un contratto preliminare risalente al 26 ottobre 2006, e sottoposto a condizione risolutiva dell’ottenimento delle concessioni edilizie di ristrutturazione ed ampliamento). Sicché il valore della quota venduta al C. non poteva fungere da valido elemento di comparazione per il valore attribuibile alla quota venduta alla F. srl.
F. srl e gli eredi G. resistono con controricorso e memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 43, 51 e 52 d.P.R. 131/86, nonché 1100 seguenti cod.civ. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che, ai sensi della normativa tributaria citata, rilevava il valore venale attribuibile all’immobile alla data del trasferimento, allorquando il valore attribuibile alla quota di comproprietà venduta a F. ben poteva trovare comparazione, trattandosi di quote indivise dello stesso immobile, nel valore attribuito dalle parti alla quota di comproprietà veduta al C.. Da qui derivava la legittimità dell’accertamento, il quale si era limitato a proporzionalmente attribuire alla quota F. lo stesso valore attribuito (dalle parti) alla quota C..
Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione e, comunque, ‘omesso esame di un fatto decisivo’ (secondo quanto disposto dalla nuova formulazione ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ.). Per avere la commissione tributaria regionale, da un lato, correttamente affermato l’irrilevanza estimativa dei valori stabiliti nei due contratti preliminari, salvo poi contraddittoriamente trarre argomento di congruità del valore dichiarato dalle parti proprio nel divario quantitativo e qualitativo asseritamente intervenuto, tra le due quote, nell’arco temporale intercorso tra il preliminare e l’atto definitivo. In ogni caso, la commissione tributaria regionale aveva omesso di considerare che si verteva, nella specie, di quote di un immobile indiviso le quali non potevano che rappresentare proporzionalmente un medesimo valore.
2.2 E’ fondato, con effetto assorbente della seconda censura, il primo motivo di ricorso.
In base all’articolo 43, primo comma, lettera a) d.P.R. 131/86, per i contratti traslativi di diritti reali la base imponibile ai fini dell’imposta di registro è costituita dal valore venale del bene al momento dell’atto sottoposto a registrazione. Tale valore può essere determinato, con riguardo ai beni immobili, con metodo comparativo riferito ad analoghi atti traslativi intercorsi nel triennio precedente; con ricorso altresì ad ogni altro elemento utile di valutazione (art. 51 3^ co. d.P.R. 131/86).
L’avviso di accertamento in oggetto, contrariamente a quanto affermato dalla commissione tributaria regionale, poteva dunque legittimamente avvalersi – quale atto di comparazione – del trasferimento della quota Cusumano, e del valore dalle parti ad essa attribuito.
Tale metodologia risultava anzi del tutto razionale e confacente ad una fattispecie nella quale la quota oggetto di rettifica veniva venduta contestualmente all’altra, insistendo del resto (a parte taluni cespiti secondari ed accessori non oggetto di accertamento) su un medesimo compendio immobiliare indiviso.
Si trattava, pertanto, di un elemento di comparazione addirittura privilegiato per l’identità della parte venditrice, dell’immobile e del momento traslativo.
La decisione qui censurata si pone dunque in conflitto con la disciplina legislativa di determinazione del valore venale dell’immobile dedotto dell’atto traslativo assoggettato a registro; segnatamente là dove ha posto a sostegno dell’illegittimità dell’avviso di rettifica elementi di diversificazione valutativa fors’anche esistenti al momento dei contratti preliminari (sempre con riguardo all’intero immobile), ma non più tali al momento dell’atto definitivo di trasferimento (unico momento da assumere, come detto, a discrimine temporale dirimente per l’applicazione dell’imposta); allorquando lo stato di fatto e di diritto nel quale l’immobile veniva venduto non ammetteva scissioni sulla base, non già di porzioni distinte, ma soltanto di quote indivise.
Si tratta infatti di una diversificazione valutativa che non può essere condivisa non soltanto sul piano strettamente temporale, ma anche su quello dell’oggetto del trasferimento. Nel senso che il giudice di merito ha evidenziato la differenza tra la porzione dedotta nel preliminare C. e quella dedotta nel preliminare F., assumendo che quest’ultimo (antecedente di oltre un anno) era stato stipulato allorquando la porzione immobiliare risultava priva dei permessi di costruire (tanto da venire sottoposto a condizione risolutiva del loro rilascio); e, inoltre, quando ancora non erano state realizzate né opere incrementative di ristrutturazione, né interventi di urbanizzazione primaria e secondaria (realizzazioni, queste, invece tutte presenti nel momento in cui venne stipulata la promessa di vendita C.).
Questo ragionamento non dà però conto del fatto che – come è pacifico in causa – le due quote ebbero ad oggetto un immobile indiviso: “diritto di comproprietà del fabbricato di vecchia costruzione ad uso abitativo, da cielo a terra, disposto su quattro livelli (interrato, terra, primo e sottotetto) sito in via (…)” a Bologna; come tale identificato con gli stessi estremi catastali.
Su tale presupposto, un’eventuale divergenza di valore poteva concepirsi con riguardo alla differente appetibilità commerciale suscitata da tale immobile in occasione dei due – distanziati – contratti preliminari; non anche, però, con riferimento alla data dell’atto definitivo di vendita. Allorquando il valore delle due quote non poteva che esprimere la ripartizione del medesimo ed unitario valore venale dell’intero immobile. Sicché la diversificazione operata dal giudice di merito non poteva giustificarsi sulla base di una diversa connotazione fattuale ed estimativa di porzioni distinte quanto, al più, in ragione del diverso apprezzamento attribuibile all’ (intero) immobile alle date dei contratti preliminari; dunque, in un momento che si è visto essere irrilevante ai fini della determinazione della base imponibile. Né doveva risultare influente, ai fini di causa, che il prezzo indicato nel definitivo non potesse che rispecchiare, nel rapporto interno tra le parti stipulanti, quello già indicato nel preliminare; posto che l’amministrazione finanziaria, soggetto terzo rispetto a quel rapporto, era comunque tenuta a commisurare l’imposta al prezzo dichiarato dalle parti solo se, ed in quanto, effettivamente corrispondente al valore venale del bene al momento del trasferimento.
Da ciò deriva che del tutto legittimo era il criterio posto dall’amministrazione finanziaria a motivato fondamento dell’avviso di rettifica e liquidazione, così indicato: “si è preso a riferimento lo stesso atto, in considerazione del fatto che per l’acquisto deI diritto di comproprietà nella misura di 366/1000 è stato dichiarato un corrispettivo di euro 1.714.900,00, mentre per l’acquisto del diritto di comproprietà nella misura di 634/1000, è stato dichiarato un corrispettivo inferiore, pari ad euro 1.614.900,00 benché, rispetto al primo, quest’ultimo diritto sia superiore di oltre il 40%”.
Si trattava infatti di un criterio conforme a quanto disposto dagli articoli 51 e 52 d.P.R. 131/86, dal momento che – alla data della vendita – l’incremento di valore derivante dal interventi edilizi di miglioramento e di ampliamento di superficie non potevano che riverberarsi, stante il carattere indiviso delle quote di comproprietà trasferite, sull’immobile considerato nella sua unitarietà; così da poter essere correttamente ripartito sulle due vendite sulla base del solo criterio proporzionale di quota-parte.
Il ricorso va dunque accolto, con la cassazione della sentenza impugnata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto dei ricorsi introduttivi riuniti della parte contribuente.
Le spese del presente giudizio di legittimità vengono poste a carico dei controricorrenti in ragione di soccombenza; compensate le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
– accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., respinge i ricorsi introduttivi riuniti di parte contribuente;
– pone le spese del presente giudizio di legittimità a carico di quest’ultima, liquidate in euro 7.800,00 oltre spese prenotate a debito; compensa le spese del giudizio di merito.