CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2017, n. 30229
Pubblico impiego – Personale dipendente delle CCIAA – Indennità di anzianità – Differenze per mancata inclusione nella base di calcolo degli elementi accessori della retribuzione – Omnicomprensività dell’indennità di anzianità – Non sussiste
Rilevato che
1. con sentenza in data 14 novembre 2013 la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da M. P. C. avverso la sentenza del Tribunale di Rieti che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna della Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato di Rieti al pagamento della complessiva somma di € 27.054,52, pretesa a titolo di differenze sulla indennità di anzianità, calcolata dall’ente senza includere nella base di calcolo il premio incentivante, le indennità di comparto, di disagio e di vacanza contrattuale nonché la retribuzione accessoria;
2. avverso tale sentenza M. P. C. ha proposto ricorso affidato a sei motivi, ai quali ha opposto difese la Camera di Commercio di Rieti;
3. il P.G. in data 12.5.2017 ha concluso per l’accoglimento del sesto motivo e per il rigetto degli altri motivi di ricorso;
4. sono state depositate memorie entrambe le parti.
Considerato che
1. il primo motivo denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «falsa applicazione ed errata interpretazione dell’art.77 D.I. 12.7.1982, dell’art. 2, comma IX legge 335/1995 e dell’art. 12 legge 153/1969» e rileva che in forza del rinvio recettizio contenuto nell’art. 77 del Regolamento, che include nella base di calcolo dell’indennità di anzianità le voci stipendiali pensionabili e quiescibili, tutti i compensi percepiti nell’ultimo anno di servizio, purché pensionabili, concorrono a formare la retribuzione onnicomprensiva, da moltiplicare per gli anni di servizio prestato alle dipendenze della C.C.I.A.A.;
1.2. il secondo, il terzo ed il quarto motivo censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente interpretato la dichiarazione congiunta n. 3 allegata al CCNL Regioni ed Autonomie Locali del 14.9.2000, in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1367 cod. civ. (2° motivo), dell’art. 3 Cost. ( 3° motivo) e dell’art. 81 Cost. ( 4° motivo), perché le parti contrattuali avevano chiaramente inteso rinviare alle disposizioni normative che a quella data regolavano il trattamento di fine rapporto dei dipendenti camerali, anche in considerazione della diversa posizione di questi ultimi rispetto agli altri appartenenti al comparto Regioni e Autonomie Locali;
1.3. la quinta censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., addebita alla Corte territoriale di avere respinto l’impugnazione senza motivare sulle ragioni dell’asserita infondatezza della domanda, limitandosi a richiamare uno dei due orientamenti formatisi nella giurisprudenza di legittimità ed omettendo di dare conto del contrasto giurisprudenziale;
1.4. il sesto motivo denuncia «violazione dell’art. 156 c.p.c. e/o violazione dell’art. 92 c.p.c. – nullità della sentenza per contraddittorietà tra parte motiva e dispositivo in punto di spese del giudizio» e rileva che la Corte territoriale, dopo avere dato atto nella motivazione di un contrasto di giurisprudenza idoneo a giustificare l’integrale compensazione, in dispositivo ha condannato la ricorrente a rifondere alla C.C.I.A.A. le spese del grado, quantificate in € 1.980,00;
2. i primi cinque motivi di ricorso, da trattarsi unitariamente perché connessi, sono infondati perché la decisione impugnata è conforme all’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, a partire dalla sentenza n. 18288 del 2009, ha ritenuto infondate analoghe domande avanzate dagli ex dipendenti delle Camere di Commercio ( cfr. Cass. nn. 18382 e 20037 del 2009, Cass. n. 10654 del 2012, Cass. n.20753 del 2013, Cass. nn. 20527 e 20525 del 2014, Cass. n. 22377 del 2015 e più di recente Cass. nn. 5697, 4817, 4623 e 4324 del 2017);
3. secondo tale indirizzo « in tema di indennità di anzianità per il personale dipendente delle Camere di commercio assunto anteriormente al primo gennaio 1996, la cui unica fonte di disciplina è costituita, ex L. n. 335 del 1995, ex art. 2, comma 7, dalla contrattazione collettiva, alla stregua dell’interpretazione letterale e logico sistematica del CCNL Regioni e Autonomie locali del 14 settembre 2000 e, in particolare, dell’allegata dichiarazione congiunta n. 3, che ha confermato espressamente la perdurante vigenza del decreto interministeriale 12 luglio 1982 e successive modifiche, deve escludersi l’onnicomprensività dell’indennità di anzianità e il computo, nell’ultima retribuzione, delle voci retributive considerate pensionabili a fini diversi dalla citata L. n. 335, art. 2, comma 9, dovendosi ritenere una diversa interpretazione confliggente con i principi di parità di trattamento tra appartenenti al medesimo comparto e di armonizzazione ed equiparazione tra dipendenti pubblici e privati, oltreché idonea ad inficiare la disposizione contrattuale de qua per il maggiore e significativo onere di spesa che essa implicherebbe. » ( Cass. n. 18288/2009 cit.);
3.1. le pronunce sopra richiamate, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., hanno ritenuto infondati tutti gli argomenti sui quali la ricorrente ha fatto leva per sostenere una diversa interpretazione della dichiarazione congiunta n. 3 allegata al CCNL Regioni ed Autonomie Locali del 14.9.2000;
3.2. l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è condiviso dal Collegio, sicché non sussistono i presupposti richiesti dall’art. 374 cod. proc. civ. per la rimessione alle Sezioni Unite, in quanto il contrasto verificatosi dopo la pronuncia della richiamata sentenza n. 18288 del 2009 (che ha motivatamente dissentito da Cass. nn. 10437 e 11519 del 2006 e da Cass. n. 3189 del 2009) deve ritenersi definitivamente superato;
4. è invece fondato il sesto motivo perché, quanto al regolamento delle spese processuali, sussiste un insanabile contrasto fra dispositivo e motivazione;
4.1. detto contrasto determina la nullità in parte qua della sentenza impugnata, perché il principio in forza del quale nel rito del lavoro il dispositivo prevale sulle difformi statuizioni contenute nella motivazione diviene operante solo qualora la nullità non venga tempestivamente fatta valere in sede di impugnazione ( Cass. 8894 del 2010);
4.2. alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità – con conseguente cassazione – della sentenza impugnata la Corte può direttamente decidere la causa nel merito, ove non siano necessari, come nella fattispecie, accertamenti in fatto (Cass. n. 24914 del 2011);
4.3. il contrasto sorto nella giurisprudenza di questa Corte, solo recentemente superato dal consolidarsi di uno dei due orientamenti, giustifica la pronuncia di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio di appello;
4.4. per le medesime ragioni devono essere compensate le spese del giudizio di legittimità;
4.5. non sussistono la condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di appello.
Compensa integralmente anche le spese del presente giudizio di legittimità.
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