CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2017, n. 30286
Professionista – Avvocato – Liquidazione compensi – Vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari – Insussistente
Ritenuto che
con ricorso affidato ad un unico motivo, B.M. (socio della già O. di B.M. & C. s.a.s.) ha impugnato la sentenza del Tribunale di Avellino, in data 26 novembre 2015, che, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Montoro Superiore e in accoglimento dell’appello proposto dalla medesima M. sul capo concernente la compensazione delle spese di lite, condannava, pro quota, Equitalia Sud S.p.A., il Comune di Amalfi, il Comune di Maiori e la Prefettura di Napoli al pagamento delle spese processuali del primo e del secondo grado di giudizio, liquidando le prime in euro 80,00 per esborsi e in euro 178,00 per compensi e le seconde in euro 125,00 per esborsi e in euro 165,00 per compensi, oltre accessori di legge;
che non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati Equitalia Sud S.p.A., Comune di Amalfi, Comune di Maiori e Prefettura di Napoli;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata al difensore della ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che
con l’unico mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 92 cod. proc. civ., 2, 4, 5 e 28 del d.m. n. 55 del 2014, per aver il Tribunale immotivatamente liquidato i compensi di avvocato, in primo e secondo grado, sotto i valori minimi, senza tener conto dell’importanza dell’attività svolta, con liquidazione di quelli del giudizio di appello in misura inferiore al primo grado; che il motivo è inammissibile;
che si deve al riguardo osservare che il regolamento di cui al d.m. n. 55 del 2014, emanato in forza dell’art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012 e in un assetto ordinamentale che già contemplava l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico (art. 9 del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 27 del 2012), disciplina i “parametri” dei compensi all’avvocato per la prestazione professionale resa (per quanto interessa ai fini della presente decisione) in ambito giudiziale. Tali “parametri”, indicati dal comma 1 dell’art. 4 del citato d.m., operano come fattori di concretizzazione della liquidazione del compenso professionale, che muove da valori medi (indicati nella tabelle allegata allo stesso d.m. n. 55 del 2014) su cui poter effettuare, poi, aumenti e diminuzioni secondo determinate percentuali (aumento fino all’80 per cento, diminuzione fino al 50 per cento; per la fase istruttoria, l’aumento è possibile fino al 100 per cento e la diminuzione fino al 70 per cento);
che, quindi, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari presente nel previgente sistema di liquidazione dei onorari professionali (art. 24 della legge n. 794 del 1942; cfr. anche Cass. n. 18167/2015, sebbene in riferimento al precedente d.m. n. 140 del 2012), i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le stesse soglie numeriche di riferimento previste dal d.m. n. 55 del 2014, con i relativi aumenti e diminuzioni, costituiscono criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale. Sicché, solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al d.m. n. 55 del 2014 il giudice è tenuto ad indicare i parametri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determinati in forza delle percentuali di aumento o diminuzione, ma in quest’ultimo caso fermo restando il limite di cui all’art. 2233, comma secondo, cod. civ., che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (in tale prospettiva, cfr. Cass. n. 25804/2015, Cass. n. 24492/2016 e Cass. n. 20790/2017);
che, pertanto, avverso la liquidazione dei compensi potrà denunciarsi in sede di legittimità la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., in quanto resa in base a motivazione solo apparente o, comunque, in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione (Cass., S.U., n. 8053/2014, Cass. n. 20648/2015, Cass. n. 7402/2017) ovvero per error in indicando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in ipotesi di violazione del limite di cui al citato art. 2233, secondo comma, cod. civ.;
che, nella specie, le censure della ricorrente non sono affatto orientate a far valere i vizi anzidetti, bensì sono prospettate nell’ottica i della vincolatività dei parametri e dei valori economici di cui al d.m. n. 55 del 2014, là dove, peraltro, esse riguardano una controversia dal valore esiguo (euro 892,92), senza che in ricorso si dia contezza specifica della difficoltà e importanza della lite (attinente a sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, contestate anzitutto per mancata notifica del verbale di accertamento), la quale in secondo grado è stata limitata alla sola statuizione sulla compensazione delle spese processuali di primo grado (e, quindi, dal valore ancor più circoscritto e dalla importanza e difficoltà ancor più attenuata);
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, non occorrendo provvedere alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.
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