CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2017, n. 14965
Accertamento – Reddito da partecipazione – Impresa edile – Legale rappresentante e socio di società di fatto – Inammissibilità del ricorso
Fatti di causa
I.C. propone ricorso per cassazione, notificato nel settembre 2015, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 616/40/2012, depositata in data 13/11/2012, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento “RC101T201255/2007” emesso, a carico del contribuente, in qualità di legale rappresentante e socio della società di fatto “C.M. ed I.C.I., esercente attività di impresa edile, per maggiore IRPEF dovuta in relazione all’anno d’imposta 2.000, a titolo di reddito di partecipazione, a fronte della contestazione di ricavi non dichiarati della società di fatto, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Ragioni della decisione
1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per assenza di motivazione, in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 34 d.lgs. 546/1992.
2. Preliminarmente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Questa Corte ha, di recente, ribadito che “il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 de! 1992, ex art. 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, né requisito di efficacia” (v. Cass. 7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003).
E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. art. 153, comma 2, c.p.c., a seguito della l. 69/2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo Cass. 12544/2015; Cass. 8715/2014; Cass. 3277/2012).
Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria dì appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr. Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013, che, subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione dell’ “ignoranza del processo”, dovendo la parte fornire prova di “non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà
– e che sia in rapporto causate determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”.
Nella specie, il ricorrente, nel corpo del ricorso per cassazione, deduce che il difensore-domiciliatario in appello, Dr. C.M., era stato, nelle more di quel giudizio, sospeso dall’esercizio della professione dall’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di appartenenza e chiede, non essendo venuto a conoscenza della sentenza, di essere rimesso in termini.
Oltre a quanto sopra detto, va ribadito (Cass 20474/2011) che, nel giudizio tributario, l’elezione di domicilio è solo eventuale e può essere effettuata presso qualunque soggetto, non necessariamente presso il difensore, con la conseguenza che, anche ove effettuata presso quest’ultimo, essa non viene meno con l’estinzione del rapporto professionale o con la cancellazione dall’albo del domiciliatario, il quale conserva i poteri-doveri connessi alla funzione, salvo diverse determinazioni desumibili dall’atto di elezione. La notifica dell’avviso di trattazione ex art. 31d.lgs. 546/1992 e la comunicazione del dispositivo della sentenza, ex art. 37 comma 2 del decreto citato, effettuate dalla Segreteria della C.T.R. (come dedotto dalla controricorrente), nel domicilio eletto, conservavano pertanto validità ed efficacia (ma, in ogni caso, trattasi di circostanze non rilevanti ai fini della tempestività dell’impugnazione).
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso, per sua tardiva proposizione.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi € 3.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dall’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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