CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2018, n. 3802
Tributi – IVA – Imposta di registro – Accertamento – Notificazione – Cessione terreno edificabile
Fatti di causa
1.- Con sentenza n. 12/33/2010, depositata il 4 febbraio 2010 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Piemonte (hinc: «CTR») respingeva – compensando le spese di lite e condannando l’ente impositore alla restituzione delle somme versate a titolo di imposta di registro – sia l’appello principale proposto dall’imprenditore agricolo M. C. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, sia l’appello incidentale proposto da detta Agenzia nei confronti dell’appellante principale avverso la sentenza n. 153/04/2007 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Torino (hinc: «CTP») aveva rigettato (a sua volta compensando le spese di lite) il ricorso del contribuente proposto avverso l’avviso di accertamento n. R2101A100031, notificatogli il 6 marzo 2007, con cui l’Agenzia delle entrate – in riferimento alla cessione a soggetto IVA, da parte del C., con rogito dell’8 giugno 2000, di un terreno edificabile il cui pagamento era stato pattuito in varie rate, negli anni dal 2000 al 2002 – aveva richiesto il versamento, oltre sanzioni ed interessi, dell’intero importo dell’IVA (€ 64.293,20), in un’unica e complessiva soluzione, avuto riguardo all’anno 2000, senza procedere alla suddivisione del predetto importo per ciascuno dei tre anni, e ciò sul presupposto del precedente annullamento in autotutela dei tre accertamenti IVA per gli anni dal 2000 al 2002 (annullamento che si asseriva essere stato effettuato quando: 1.- era già intervenuta una sentenza confermativa della debenza dell’IVA per l’anno 2000, in luogo dell’imposta di registro versata dal contribuente, ed esonerativa di interessi e sanzioni; 2.- dovevano ancora essere fissate le udienze per la trattazione delle cause di impugnazione degli altri due avvisi concernenti il 2001 ed il 2002).
In punto di fatto, la CTR premetteva che: a) secondo la CTP, l’amministrazione finanziaria aveva correttamente esercitato il proprio potere discrezionale di autotutela; b) sempre secondo la CTP, le sanzioni e gli interessi non erano dovuti dal contribuente, perché il comportamento dell’amministrazione finanziaria «non risulta[va] esente da censura»; c) l’appellante principale aveva dedotto sia l’illegittimità dell’impugnato avviso (sostitutivo) relativo al 2000, perché emesso nella pendenza dei termini di impugnazione del precedente atto di annullamento dei tre avvisi poi sostituiti (relativi al 2000, al 2001 ed al 2002), sia (in subordine) l’illegittimità del precedente atto di annullamento in autotutela, perché emesso in funzione di “autotutela integrativa o modificativa” nonostante il difetto di sopravvenienze giustificatrici (ai sensi dell’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972), sia l’applicabilità nella fattispecie dell’imposta di registro in luogo dell’IVA, sia l’inesigibilità non solo delle sanzioni, ma anche della pretesa tributaria, data la ricorrenza dell’ipotesi di incertezza normativa (riconosciuta dalla stessa CTP) di cui all’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente; d) l’Agenzia, da un lato, aveva replicato che non v’era stata variazione dell’imponibile e della complessiva entità del debito tributario richiesto, ma era stato solo richiesto in un’unica soluzione (con ciò eliminando la precedente violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972) il versamento dell’imposta prima illegittimamente ripartito in tre annualità (con riferimento agli anni dei pagamenti rateali), dall’altro, aveva proposto appello incidentale in ordine alla pronuncia su sanzioni ed interessi.
Su queste premesse, la CTR, nel rigettare sia l’appello principale che quello incidentale e nel disporre la restituzione delle somme versate a titolo di imposta di registro, osservava che: a) il procedimento di autotutela, pur se temporalmente scisso, nella specie, in due fasi (annullamento dei precedenti tre avvisi; successiva emissione di un unico avviso sostitutivo degli avvisi annullati), era unitario e legittimo, a nulla rilevando la pendenza di giudizi avverso i precedenti avvisi; b) sussisteva il presupposto per l’annullamento in autotutela di atti illegittimi e non ricorreva l’ipotesi prospettata dal ricorrente di una “autotutela modificativa o integrativa” (per la quale sarebbe stata necessaria, invece, la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi), posto che nella specie non era stato modificato l’oggetto od il contenuto del rapporto tributario, ma l’amministrazione si era limitata a richiedere il pagamento in un’unica soluzione (anno 2000) di quanto in precedenza richiesto in tre rate (anni 2000, 2001 e 2002); c) la cessione del terreno edificabile era soggetta ad IVA perché non era stata dedotta o dimostrata l’estraneità del bene all’attività di impresa agricola del cedente; d) poiché la stessa amministrazione finanziaria, fino alla circolare 137/E del 7 maggio 2002, aveva sostenuto che nei casi di specie si dovesse applicare l’imposta di registro (assumendo che la vendita immobiliare non potrebbe mai rientrare nell’oggetto dell’impresa agricola), sussisteva una incertezza sulla portata delle norme tale da giustificare l’esonero da sanzioni ed interessi; e) ciò non escludeva l’obbligo del contribuente di pagare l’IVA, ma l’amministrazione finanziaria doveva restituire al contribuente stesso quanto da lui erroneamente versato a titolo di imposta di registro.
2.— Avverso la suddetta sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione notificato a mezzo posta il 3-9 marzo 2011 ed affidato a due motivi (R.G. n. 6291/2011).
3.— Nello stesso giudizio il C. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a tre motivi, notificati il 18-19 aprile 2011.
4.— Nel suddetto giudizio R.G. n. 6291/2011 è stata depositata copia del provvedimento della Direzione provinciale II di Torino dell’Agenzia delle entrate di «diniego della definizione della lite pendente», datato 21 agosto 2012, protocollo n. 2012/144615, con riferimento al «ricorso per cassazione n. 7001199 notificato in data 7/3/2011», riguardante la sentenza impugnata n. 12/33/2010, concernente «avv. acc. uni. PF n. R2101A100031- 2007 (2000)». Tale diniego della definizione della lite — che richiama la domanda di definizione trasmessa in via telematica il 19 marzo 2012 n. T7G 000480/2012 ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011 — è motivato con il valore della causa, eccedente il valore di € 20.000,00.
5.— Con sentenza n. 11/33/2010, depositata il 4 febbraio 2010 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Piemonte (hinc: «CTR») respingeva, compensando le spese di lite, l’appello proposto dal sopra menzionato imprenditore agricolo M. C. nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 154/04/2007 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Torino (hinc: «CTP») aveva rigettato (compensando a sua volta le spese di lite) il ricorso del contribuente proposto, «relativamente alla sola annualità 2000», avverso l’atto prot. n. 2894/2007 del 14 febbraio 2007, notificatogli il «19 aprile 2007» [recte: il 19 febbraio 2007], con cui l’Agenzia delle entrate – in riferimento alla sopraindicata cessione a soggetto IVA, da parte del C.. nel 2000 di un terreno edificabile il cui pagamento era stato pattuito in diverse rate, scadenti negli anni 2000, 2001 e 2002 – aveva annullato in autotutela tre precedenti avvisi di accertamento IVA per gli anni dal 2000 al 2002 (annullamento che si asseriva essere stato effettuato quando: 1.- era già intervenuta una sentenza confermativa della debenza dell’IVA per l’anno 2000, in luogo dell’imposta di registro versata dal contribuente, ed esonerativa di interessi e sanzioni; 2. – dovevano ancora essere fissate le udienze per la trattazione delle cause di impugnazione degli altri due avvisi concernenti il 2001 ed il 2002).
In punto di fatto, la CTR premetteva che: a) il contribuente aveva chiesto in primo grado «l’annullamento dell’atto nella parte avente ad oggetto l’avviso di rettifica relativo al l’anno 2000»; b) la CTP aveva dichiarato la propria competenza (in luogo di quella del TAR, indicata nell’atto impugnato) ed aveva ritenuto che l’amministrazione finanziaria, predisponendosi a richiedere il pagamento dell’IVA in un’unica soluzione, senza ripartirla in tre annualità, aveva correttamente esercitato il proprio potere di autotutela annullando i tre precedenti avvisi di accertamento IVA nulli, per i quali – appunto in quanto nulli – non operavano i limiti di cui agli artt. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 43 del d.P.R. n. 600 1973; c) il contribuente appellante aveva dedotto l’illegittimità dell’autotutela (da lui ricondotta ad un’autotutela “integrativa o modificativa”), in quanto, senza che fossero intervenute sopravvenienze, si era proceduto a modificare ed integrare gli originari avvisi di accertamento; d) l’appellata Agenzia delle entrate aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice tributario e la giurisdizione del giudice amministrativo e, nel merito, aveva obiettato di aver solo richiesto il versamento dell’IVA in un’unica soluzione, prima illegittimamente ripartito in tre annualità (con riferimento ai pagamenti rateali del prezzo di cessione), cosí eliminando la precedente violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972;
Su queste premesse, la CTR, nel rigettare l’appello, osservava che: a) sussistevano la giurisdizione tributaria e l’interesse del contribuente ad agire in ordine alla controversia (avente ad oggetto un annullamento di atti in autotutela), dato il carattere generale di detta giurisdizione e «atteso l’interesse del contribuente a mantenere in vigore l’originario avviso di accertamento riguardante l’anno 2000», tenuto conto che l’atto di annullamento impugnato conteneva la precisazione che, successivamente, si sarebbe emesso un unico avviso di accertamento in sostituzione dei tre precedenti e che, quindi, l’annullamento era «propedeutico» alla sostituzione; b) i tre avvisi annullati violavano l’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 (come lo stesso contribuente aveva sostenuto, sia pure con riguardo alle sole annualità 2001 e 2002) e, pertanto, sussisteva il presupposto per l’annullamento in autotutela di atti illegittimi, senza che ricorresse l’ipotesi prospettata dal ricorrente di un’autotutela modificativa o integrativa” (per la quale sarebbe stata necessaria, invece, la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi), non essendo mutato l’oggetto od il contenuto del rapporto tributario, ma essendo stato richiesto in un unico versamento, anziché in tre rate, il pagamento della medesima imposta; c) la complessità della materia giustificava la compensazione delle spese di giudizio.
6.— Avverso la suddetta sentenza di appello, il C. (dichiarando un valore di € 144.659,70, comprensivo di sanzioni e interessi) ha proposto ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi e notificato a mezzo posta il 12-15 novembre 2012 (R.G. n. 8031/2011).
7.— In tale giudizio, l’Agenzia delle entrate non ha resistito con controricorso, ma si è limitata a depositare un atto in cui si è riservata di partecipare all’udienza di discussione della causa.
8.— Con atto del 5 ottobre 2012, depositato il 9 ottobre 2012, l’Agenzia delle entrate ha prodotto nel predetto giudizio R.G. n. 8031/2011 copia del provvedimento della Direzione provinciale II di Torino dell’Agenzia delle entrate di «diniego della definizione della lite pendente», datato 21 agosto 2012, protocollo n. 2012/144617, con riferimento al «ricorso per cassazione n. 7001118 notificato in data 21/3/2011, R.G. n. 8031/2011», riguardante la sentenza impugnata n. 11/33/2010, concernente «provv. di autotutela». Tale diniego della definizione della lite – che richiamava la domanda di definizione trasmessa in via telematica il 19 marzo 2012 n. T7G 000481/2012 ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011 – era motivato con la natura dell’«oggetto di causa», cioè un provvedimento di autotutela non autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.
9.- Con ricorso spedito a mezzo posta il 12 novembre 2012, M. C. (R.G. n. 26359/2012), dichiarando un valore di € 4.083,00, ha impugnato (in relazione agli artt. 16 della legge n. 289 del 2002 e 39 del decreto-legge n. 98 del 2011) i seguenti due provvedimenti dell’Agenzia delle entrate di diniego di definizione della lite, datati 21 agosto 2012, cos í identificati dal ricorrente: 1) «prot. n. 2012/144615 […] avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. R2101A100168, riguardante anno 2000»; 2) «prot. n. 2012/144617 […] avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. R2101A100291, riguardante anno 2001». Il ricorrente premette che: a) con atto prot. n. 2894/2007 del 14 febbraio 2007, notificatogli il 19 febbraio 2007, l’Agenzia delle entrate – in riferimento alla sopraindicata cessione da parte del C. nel 2000 di un terreno edificabile il cui pagamento era stato pattuito in diverse rate, scadenti negli anni 2000, 2001 e 2002 – aveva annullato in autotutela i seguenti tre precedenti avvisi di accertamento IVA per gli anni dal 2000 al 2002: a.1.) l’avviso di accertamento n. R2101A100168/05, riguardante l’anno 2000, di € 12.858,74, oltre sanzioni per ulteriori € 16.073,43; a.2.) l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06, riguardante l’anno 2001, di € 12.858,74 oltre sanzioni per ulteriori € 8.036,71; a.3.) l’avviso di accertamento n. R2101A100293/06, riguardante l’anno 2002, di € 38.575,00; b) lo stesso atto aveva disposto «altresí la sostituzione di detti avvisi di accertamento con un unico avviso di accertamento, accertando la maggiore imposta dovuta nel rispetto dell’art. 6 del DPR 633/72»; c) l’Agenzia delle entrate aveva poi emesso, in sostituzione dei precedenti tre avvisi annullati, l’avviso di accertamento n. R2101A100031, notificatogli il 6 marzo 2007, con cui gli aveva chiesto il pagamento di complessivi € 144.659,80 per IVA, interessi e sanzioni per l’anno 2000; d) il ricorso che aveva proposto avverso l’atto di annullamento in autotutela prot. n. 2894/2007 era stato rigettato dalla CTP di Torino, con sentenza n. 154/04/2007, confermata dalla sentenza della CTR del Piemonte n. 11/33/2010, impugnata per cassazione con giudizio pendente, registrato al RG n. 8031/2011; e) con sentenza n. 39/16/2007, la CTP di Torino, nel liquidare le spese di lite in favore del ricorrente, aveva dichiarato cessata la materia del contendere relativa alla controversia instaurata dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06, riguardante l’anno 2001, riscontrando l’avvenuto annullamento in autotutela dell’atto impugnato; f) con sentenza n. 40/16/2007, la CTP di Torino, nel liquidare le spese di lite in favore del ricorrente, aveva dichiarato cessata la materia del contendere relativa alla controversia instaurata dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. R2101A100293/06, riguardante l’anno 2002, riscontrando l’avvenuto annullamento in autotutela dell’atto impugnato; g) le sentenze n. 39/16/2007 e n. 40/16/2007 della CTP di Torino erano state appellate in punto spese dall’Agenzia delle entrate e la CTR del Piemonte, in accoglimento degli appelli riuniti, con sentenza n. 24/01/2008, aveva rideterminato in complessivi € 5.548,05 le spese dei due gradi giudizio, poste a carico dell’Agenzia delle entrate; h) tale decisione era stata adempiuta dall’amministrazione finanziaria; i) in data 19 marzo 2012 aveva presentato in via telematica domanda di definizione della lite fiscale pendente riguardante: i.1) «l’avviso di accertamento n. R2101A100168/05», relativo all’anno 2000, di € 12.858,74, oltre sanzioni ed interessi («ricevuta prot. n. 12031912351429528-0000001»); 1.2) «l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06», riguardante l’anno 2001, di € 12.858,74 («ricevuta prot. n. 12031912352529549-0000001»); I) con atti entrambi notificati in data 21 agosto 2012 l’Agenzia delle entrate aveva negato (ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011) la definizione delle liti fiscali pendenti affermando che: 1.1.) la causa avente ad oggetto (a dire del ricorrente) l’avviso di accertamento n. R2101A100168, riguardante l’anno 2000, non era definibile, perché aveva un valore superiore a € 20.000,00 (diniego di definizione «prot. n. 2012/144615 […] avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. R2101A100168, riguardante anno 2000», secondo il ricorrente); 1.2.) la causa avente ad oggetto (a dire del ricorrente) l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06, riguardante l’anno 2001, non era definibile, perché concerneva un provvedimento di autotutela, non autonomamente impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (diniego di definizione «prot. n. 2012/144617 […] avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. R2101A100291, riguardante anno 2001», secondo il ricorrente).
Su queste premesse in fatto, il ricorrente prospetta cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 16, comma 3, lettera a), della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, perché: 1) sotto un primo profilo, la domanda di definizione, contrariamente a quanto affermato nel diniego di definizione prot. n. 2012/144617, ha ad oggetto non un provvedimento di autotutela, ma un avviso di accertamento sotteso ad un successivo provvedimento di revoca in autotutela, in ordine al quale al 10 maggio 2011 gli «atti continuavano ad essere pendenti proprio grazie all’atto di autotutela che li ha revocati ed al contenzioso successivamente incardinato nel quale si è contestata l’assenza delle condizioni per l’esercizio dell’autotutela, che ha cosí “trascinato” gli atti originariamente formati»; 2) sotto un secondo profilo, l’atto sarebbe impugnabile in quanto formato dallo stesso ente impositore;
Con il secondo motivo denuncia, parimenti, la violazione dell’art. 16, comma 3, lettera a), della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, perché la domanda di definizione, contrariamente a quanto affermato nel diniego di definizione prot. n. 2012/144615, ha ad oggetto non una controversia di valore superiore a €. 20.000,00, ma solo la parte dell’avviso di accertamento n. R2101A100031 (sostitutivo e cumulativo dei precedenti tre avvisi di accertamento) relativa al l’anno 2000 e, quindi, solo la parte relativa alla sostituzione dell’originario avviso di accertamento n. R2101A100168, riguardante l’anno 2000, di valore inferiore a € 20.000,00.
Con il terzo complesso motivo denuncia la violazione e la mancata o falsa applicazione sia degli artt. 67, primo comma, lettera a), e 68 del d.lgs. n. 300 del 1999; sia dell’art. 66 del d.lgs. n. 300 del 1999; sia della delibera 13 dicembre 2000, n. 6 (Statuto dell’Agenzia delle entrate); sia degli artt. 1, lettera b) , e 4, comma primo, del r.d. n. 262 del 1942; sia degli artt. 71, comma 3, del d.lgs. n. 300 del 1999 e 4, comma 1, della delibera 30 novembre 2000, n. 4 (Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate). Il ricorrente deduce, in particolare, che: a) l’«atto» è stato formato senza che il Direttore della Direzione provinciale II di Torino Ufficio legale avesse il potere di sottoscriverlo, essendo tale potere riservato al Direttore dell’Agenzia centrale dal citato art. 67, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999, non derogabile da norme regolamentari, in ogni caso non autorizzate ad operare retroattivamente neppure dall’art. 6, comma 1, dello Statuto dell’Agenzia delle entrate; b) la tesi di Cass. n. 16122 del 2002, circa il potere residuale di rappresentanza dei direttori periferici delle agenzie fiscali, non poteva essere condivisa, stante il disposto degli artt. 10 ed 11 del d.lgs. n. 546 del 1992 (come osservato da CTR Piemonte sentenza n. 10/28/2003); c) in subordine, tale potere di sottoscrizione potrebbe spettare solo ai titolari degli uffici locali e non anche delle Direzioni provinciali.
Con il quarto complesso motivo denuncia sia la violazione e la mancata applicazione dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 nonché degli artt. 19 e 53 del d.lgs. n. 300 del 1999 ed inoltre dell’art. 2697 cod.civ.; sia l’eccesso di potere per violazione di norma interna della Direzione regionale delle entrate del Piemonte 1° giugno 2001, prot. n. 43065; sia l’eccesso di potere per contraddittorietà. Il ricorrente deduce, in particolare, che: a) la sottoscrizione degli atti proviene da soggetto privo della qualifica dirigenziale, laddove, in forza del sopra indicato art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 (applicabile alle Agenzie fiscali, in quanto enti pubblici non economici nazionali ai sensi del comma 2 dell’art. 1 di detto d.lgs. e per effetto dell’abrogazione, ad opera dell’art. 72, comma 1, lettera t, dello stesso d.lgs., del d.lgs. n. 29 del 1993, in precedenza richiamato, per tali Agenzie, dall’art. 71 del d.lgs. n. 300 del 1999), spetta ai dirigenti l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno; b) anche la sopra citata comunicazione del 1° giugno 2001, prot. n. 43065,della Direzione regionale delle entrate del Piemonte afferma che tutti gli atti del contenzioso tributario vengono regolarmente sottoscritti da personale che riveste la qualifica dirigenziale.
Con il quinto motivo denuncia sia la violazione e la mancata applicazione dell’art. 14, comma 2, della legge n. 890 del 1982, nonché degli artt. 156, terzo comma, e 160 cod. proc. civ., inoltre dell’art. 60, comma 1, 1° periodo, del d.p.r. n. 600 del 1973 ed anche dell’art. 39, comma 12, lettera d), del decreto-legge n. 98 del 2011; sia l’eccesso di potere per contraddittorietà. Il ricorrente deduce, in particolare, che: a) la notificazione degli atti al contribuente era illegittima, perché non effettuata nella specie attraverso messi speciali autorizzati dall’amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla legge n. 890 del 1982 (art. 14); b) detta illegittimità non era sanabile, non essendo l’atto tributario un atto processuale (viene citata a sostegno Cass. n. 10477 del 2008); c) in ogni caso, l’invalidità della notifica non è stata sanata dalla proposizione del ricorso per cassazione, perché questo è successivo al 30 settembre 2012 (termine entro il quale doveva essere notificato il diniego di definizione ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decretolegge n. 98 del 2011), con la conseguenza che la sanatoria, pur operando ex tunc, non ha determinato il venir meno della decadenza maturatasi medio tempore (viene citata a sostegno Cass., Sezioni Unite, n. 19854 del 2004).
Chiede la riunione con i giudizi di cui ai ricorsi RG n. 6291 e n. 8031 del 2011 e conclude per l’annullamento dei provvedimenti di diniego della definizione della lite pendente, con vittoria delle spese di lite.
10.— Nel medesimo giudizio R.G. n. 26359/2012 l’Agenzia delle entrate non ha resistito con controricorso, ma si è limitata a depositare un atto in cui si riservava di partecipare all’udienza di discussione della causa.
Ragioni della decisione
1.— Occorre, innanzitutto, riunire al giudizio R.G. n. 6291/2011 quelli R.G. n. 8031/2011 e R.G. n. 26359/2012, data la stretta connessione oggettiva e soggettiva dei processi. Appare infatti opportuno che le cause vengano congiuntamente trattate e decise.
2.— Secondo un ordine di pregiudizialità logica, deve essere esaminato per primo il ricorso R.G. n. 26359/2012 riguardante l’impugnazione (ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011) di due dinieghi di definizione di liti pendenti (apparentemente) presso questa Corte di cassazione. In particolare, tali impugnazioni (secondo il formale contenuto dei dinieghi impugnati) sarebbero in astratto idonee ad incidere sui giudizi di cui agli altri ricorsi qui riuniti.
Il ricorso, articolato in cinque censure (come visto nella parte narrativa di questa ordinanza, al punto 9), è inammissibile.
2.1.— In proposito va ricordato che, ai sensi del citato comma 12 dell’art. 39 del decreto-legge n. 98 del 2011, quale convertito dalla legge n. 111 del 2011, le liti fiscali di valore non superiore a 20.000,00 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’art. 16 della legge n. 289 del 2002. La stessa disposizione stabilisce che, al suddetto fine, si applica il menzionato art. 16, secondo cui per lite pendente si intende quella in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali alla data di entrata in vigore della legge, è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio, nonché quella per la quale l’atto introduttivo sia stato dichiarato inammissibile con pronuncia non passata in giudicato. L’art. 16 suddetto stabilisce anche che il diniego della definizione viene notificato, con le modalità di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, all’interessato, il quale può impugnarlo entro sessanta giorni dalla notificazione «dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite» (comma 8 del citato art. 16).
Da tale quadro normativo discende che, poiché le liti che il contribuente intende definire non pendono presso questa Corte, il ricorso R.G. n. 26359/2012 non può essere proposto davanti alla Corte di cassazione ed è, perciò, inammissibile.
2.2.— Nella specie il ricorrente (nella causa R.G. n. 26359/2012) afferma che in data 19 marzo 2012 aveva presentato in via telematica domanda di definizione delle liti fiscali pendenti riguardanti: 1.) «l’avviso di accertamento n. R2101A100168/05», relativo all’anno 2000, di € 12.858,74, oltre sanzioni ed interessi («ricevuta prot. n. 12031912351429528- 0000001»); 2.) «l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06», riguardante l’anno 2001, di € 12.858,74 («ricevuta prot. n. 12031912352529549-0000001»). Lo stesso ricorrente afferma altresì che, con atti entrambi notificati in data 21 agosto 2012, l’Agenzia delle entrate aveva negato la definizione delle suddette liti fiscali pendenti, relative cioè: 1.) all’avviso di accertamento n. R2101A100168, riguardante l’anno 2000 (la lite non era definibile, secondo l’Agenzia, perché aveva un valore superiore a € 20.000,00: diniego di definizione «prot. n. 2012/144615»); 2.) all’avviso di accertamento n. R2101A100291/06, riguardante l’anno 2001 (la lite non era definibile, secondo l’Agenzia, perché concerneva un provvedimento di autotutela, non autonomamente impugnabile: diniego di definizione «prot. n. 2012/144617»).
Da queste affermazioni della parte privata risulta che i due impugnati dinieghi di definizione impugnazione, in quanto riguardanti (ripetesi, secondo l’asserzione del ricorrente) «l’avviso di accertamento n. R2101A100168/05» relativo al 2000 e «l’avviso di accertamento n. R2101A100291/06» relativo al 2001, in realtà non attengono alla controversia fiscale né del giudizio di cassazione R.G. n. 6291/2011, concernente l’avviso di accertamento n. R2101A100031 relativo al 2000 (sostitutivo degli avvisi di accertamento n. R2101A100168/05, n. R2101A100291/06 e n. R2101A100293/06), né del giudizio di cassazione R.G. n. 8031/2011, concernente l’atto prot. n. 2894/2007 del 14 febbraio 2007 (di annullamento in autotutela dei suddetti tre precedenti avvisi di accertamento IVA per gli anni dal 2000 al 2002, cioè degli avvisi di accertamento n. R2101A100168/05, relativo al 2000, n. R2101A100291/06, relativo al 2001, e n. R2101A100293/06, relativo al 2002, tutti e tre successivamente sostituiti dall’indicato unico avviso di accertamento n. R2101A100031, relativo al 2000).
Inoltre, le controversie fiscali riguardanti i predetti avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05, relativo al 2000, e n. R2101A100291/06, relativo al 2001, entrambe oggetto, secondo il ricorrente, della richiesta di definizione delle liti pendenti, risultano non solo non pendenti davanti alla Corte di cassazione, ma — per ulteriore espressa dichiarazione dello stesso ricorrente, contenuta nelle sue difese — da tempo non più pendenti in assoluto, perché riguardanti atti annullati in autotutela e sostituiti (l’avviso n. R2101A100168/05, relativo al 2000, è stato annullato dall’atto prot. n. 2894/2007 e successivamente è stato sostituito, insieme agli altri due atti relativi al 2001 e 2002, con l’avviso n. R2101A100031 relativo al 2000) o definiti con la sentenza della CTR del Piemonte n. 24/01/2008, alla quale l’Agenzia delle entrate ha da tempo dato piena ottemperanza (vedi il ricorso, riassunto nella parte narrativa della presente ordinanza).
In altri termini, il ricorrente intende, attraverso il proposto ricorso R.G. n. 26359/2012, definire liti fiscali che non sono pendenti, tantomeno davanti a questa Corte.
Si deve precisare che appare frutto di un errore di trascrizione l’indicazione contenuta nell’intestazione della sentenza della CTR del Piemonte n. 11/33/2010 (impugnata con ricorso per cassazione R.G. n. 8031/2011) secondo cui oggetto della controversia sarebbero gli avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05, relativo al 2000, n. R2101A100291/06, relativo al 2001, e n. R2101A100293/06, relativo al 2002. In realtà, tali avvisi erano stati già annullati in autotutela con l’atto prot. n. 2894/2007 e la lite fiscale di cui alla sentenza n. 11/33/2010 ha ad oggetto esclusivamente tale atto di annullamento in autotutela, come risulta chiaramente dal contenuto della motivazione della medesima sentenza (a partire dall’incipit della motivazione: «C. M.,imprenditore agricolo, impugnava, relativamente alla sola annualità 2000, l’atto, prot. n. 2894 notificato il 19.4.2007» e come poi espressamente ribadito più oltre), dovendosi ritenere una ulteriore mera ininfluente imprecisione l’accenno, nell’ultima parte di detta motivazione, al «nuovo avviso di accertamento» definito come «quello qui in discussione».
Va infine sottolineato che la singolarità della sopra riportata linea difensiva tenuta dal C. (evidentemente contra se) nel giudizio in esame R.G. n. 26359/2012 non può ritenersi frutto di un mero emendabile errore materiale (nel senso che la parte, forse fuorviata dall’inesatta intestazione della sentenza della CTR n. 11/33/2010, avrebbe indicato, di fatto, le controversie riguardanti gli avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05 e n. R2101A100291/06, pur avendo inteso indicare le controversie riguardanti le cause pendenti davanti a questa Corte, registrate al R.G. n. 8031/2011 ed al R.G. n. 26359/2012). Il ricorrente, infatti, ha affermato di aver inteso definire proprio le liti fiscali riguardanti gli avvisi di accertamento n. R2101A100168/05 e n. R2101A100291/06, tanto da aver non solo reiteratamente dichiarato tale obiettivo, ma addirittura anche censurato gli atti di diniego nella parte in cui in questi ultimi viene esposto che le domande di definizione (ed il relativo diniego) concernevano non le liti fiscali vertenti sugli avvisi per ultimi citati, ma quelle (attualmente pendenti davanti a questa Corte di cassazione) vertenti sull’avviso di accertamento n. R2101A100031 e su un atto di mero annullamento in autotutela.
È appena il caso di aggiungere, incidentalmente, che il ricorso non adduce elementi idonei a dimostrare che le domande di definizione rigettate con gli atti prot. n. 2012/144615 e prot. n. 2012/144617 avevano il contenuto indicato dal contribuente nel suo ricorso per cassazione e non quello esplicitato negli atti di diniego medesimi. Del resto ove, per assurdo, tale dimostrazione fosse stata raggiunta, l’impugnazione dei dinieghi di definizione non si sarebbe potuta proporre davanti alla Corte di cassazione, non essendo questo «l’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite» (come richiesto dal comma 8 dell’art. 16 della legge n. 289 del 2002). Al riguardo, il ricorso sembra adombrare l’insostenibile (ed incomprensibile) tesi di una sorta di automatica ed implicita reviviscenza (per “trascinamento”, come si esprime la parte) della controversia vertente sugli avvisi annullati in autotutela, che si sarebbe in qualche modo trasposta nella controversia vertente sull’atto di (mero) annullamento in autotutela e sul successivo atto sostitutivo di quelli (vedi il passo del ricorso secondo cui gli «atti continuano ad essere pendenti proprio grazie all’atto di autotutela che li ha revocati ed al contenzioso successivamente incardinato nel quale si è contestata l’assenza delle condizioni per l’esercizio dell’autotutela, che ha così “trascinato” gli atti originariamente formati»).
Ne deriva che il C. non ha interesse al ricorso R.G. n. 26359/2012, proposto nonostante la confessata e palese insussistenza delle liti pendenti che intende definire, con conseguente inammissibilità del ricorso stesso, anche sotto tale profilo.
Le rilevate ragioni di inammissibilità rendono inutile l’esame dettagliato delle censure dedotte.
2.3.— Per mera completezza di motivazione e per evidenziare la palese inconsistenza del ricorso sotto ogni profilo può ulteriormente e sommariamente qui soggiungersi che le censure sarebbero palesemente infondate anche ove le liti da definire fossero quelle indicate negli atti di diniego (cioè si identificassero in quelle relative all’atto di mero annullamento in autotutela e all’atto sostitutivo degli avvisi annullati in autotutela).
In breve può qui accennarsi (prescindendo da ogni altra pur importante considerazione possibile) che, contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente: a) gli atti impugnati vennero regolarmente notificati con le modalità di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, perché risultano spediti a mezzo posta da «messi speciali» (che il ricorrente non ha dimostrato essere privi di legittima autorizzazione dell’Agenzia delle entrate); b) i dinieghi impugnati appaiono sottoscritti dal Direttore provinciale dell’Agenzia e provengono inequivocabilmente dalla Direzione provinciale II di Torino dell’Agenzia delle entrate; c) non sussiste alcun elemento (non specificamente addotto e dimostrato dal contribuente) tale da indurre a dubitare dell’esistenza e legittimità della qualifica dirigenziale del sottoscrittore degli atti suddetti; d) in ordine al potere del direttore provinciale di sottoscrivere dinieghi di definizione di lite, sono inconferenti (indipendentemente dalla loro condivisibilità) le argomentazioni e la giurisprudenza invocate dal ricorrente, riguardanti il diverso problema della capacità dei funzionari di stare in giudizio; e) il direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate, quale titolare dell’articolazione corrispondente agli uffici locali anteriori all’istituzione dell’Agenzia, ha il potere di emettere atti impositivi e, in particolare, anche atti di diniego di definizione delle liti fiscali (vedi le attribuzioni del Direttore dell’Agenzia delle entrate, disciplinate in base sia al d.lgs. n. 300 del 1999, artt. da 66 a 68; sia allo Statuto dell’Agenzia delle entrate, art. 5, comma 1, art. 6, comma 1; sia al Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, artt. 5 e 7); f) in particolare, l’art. 67, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999 (evocato dal ricorrente) non riserva al Direttore centrale il potere di emettere i provvedimenti di diniego di definizione della lite fiscale; g) la lite fiscale concernente l’«avv. acc. uni. PF n. R2101A100031-2007 (2000)», esaminato nella sentenza della CTR del Piemonte n. «12/33/2010» (come precisato nel diniego di definizione protocollo n. 2012/144615, che invece il C. afferma – come sopra visto – riguardare l’avviso di accertamento IVA 2000 n. R2101A100168), cioè l’avviso di accertamento IVA n. R2101A100031 (sostitutivo dei tre precedenti accertamenti IVA 2000, 2001 e 2002, già annullati in autotutela) ed oggetto sia del giudizio presso la Corte di cassazione R.G. n. 6291/2011, sia del suddetto diniego di definizione protocollo n. 2012/144615, non è definibile ai sensi del comma 12 dell’art. 39 del decreto-legge n. 98 del 2011, quale convertito dalla legge n. 111 del 2011, perché il suo valore supera ampiamente il limite di € 20.000,00 fissato da detto comma 12 (valore calcolato secondo i criteri di cui alla lettera c del comma 3 dell’art. 16 della legge n. 289 del 2002); h) non è possibile giungere a calcolare un minor valore di tale lite considerando solo la somma richiesta con l’originario avviso e solo l’annualità 2000 (come pretenderebbe il ricorrente), perché il precedente avviso di accertamento IVA 2000 n. R2101A100168 era stato già annullato in autotutela e l’avviso sostitutivo (n. R2101A100031, l’unico da prendere in esame) reca una richiesta di pagamento di imposta, proprio per l’anno 2000, di importo assai maggiore di € 20.000,00; i) la lite fiscale concernente il «provv. di autotutela» esaminato nella sentenza della CTR del Piemonte n. «11/33/2010» (come precisato nel diniego di definizione protocollo n. 2012/144617, che invece il C. afferma – come sopra visto – riguardare l’avviso di accertamento IVA 2001 n. R2101A100291), cioè l’atto prot. n. 2894/2007 del 14 febbraio 2007 (di mero annullamento in autotutela dei tre precedenti avvisi di accertamento IVA per gli anni dal 2000 al 2002) ed oggetto sia del giudizio presso la Corte di cassazione R.G. n. 8031/2011, sia del suddetto diniego di definizione protocollo n. 2012/144617, non è definibile ai sensi del comma 12 dell’art. 39 del decreto-legge n. 98 del 2011, quale convertito dalla legge n. 111 del 2011, perché, in quanto mero annullamento di pretese tributarie, non ha «ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione», come richiesto dalla lettera a) del comma 3 dell’art. 16 della legge n. 289 del 2002 (in questo senso va interpretata e precisata la motivazione del diniego, ancorché questa faccia riferimento ad una troppo generica – e, pertanto, imprecisa – non impugnabilità dei provvedimenti di autotutela).
3.- Non va emessa pronuncia sulle spese di lite del giudizio di cui al ricorso R.G. n. 26359/2012, perché la resistente Agenzia, non avendo presentato controricorso, non si è validamente costituita e, comunque, non si è difesa in giudizio.
4.- Va ora esaminato il ricorso R.G. n. 6291/2011 concernente l’avviso di accertamento IVA n. R2101A100031 relativo al 2000 (avviso sostitutivo, cumulandone gli importi, dei già annullati avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05, relativo al 2000, n. R2101A100291/06, relativo al 2001, n. R2101A100293/06, relativo al 2002).
L’Agenzia delle entrate, con il ricorso principale propone due motivi che censurano la pronuncia di disapplicazione delle sanzioni e degli interessi.
Con ricorso incidentale il C. propone quattro motivi.
4.1.—In base ad un ordine logico, occorre valutare prioritariamente (anche rispetto al ricorso principale) il quarto motivo del ricorso incidentale (pag. 14, punto 7, del controricorso e ricorso incidentale).
Con tale quarto motivo, il ricorrente (sempre nel giudizio R.G. n. 6291/2011) denuncia l’errore della sentenza di appello nella parte in cui esclude che il terreno, divenendo edificabile, viene a perdere la natura di bene strumentale d’impresa e la sua cessione va perciò assoggettata ad imposta di registro e non IVA.
Il motivo (corredato di un, peraltro non dovuto, quesito di diritto) deve interpretarsi come denuncia di violazione di legge ed è fondato. La giurisprudenza di questa Corte (alla quale qui si intende dare continuità) si è infatti consolidata nel senso che un terreno edificabile, di proprietà e coltivato da un imprenditore agricolo, non può esser compreso tra i beni strumentali da assoggettarsi a IVA in caso di cessione ad altro imprenditore, perché il terreno che da agricolo diviene edificabile perde la qualità di bene strumentale o di bene relativo all’impresa, come desumibile dal combinato disposto degli artt. 54 e 40 del d.P.R. n. 917 del 1986, e, pertanto, la sua cessione non costituisce operazione imponibile ai sensi degli artt. 1 e 2 dello stesso d.P.R. e va assoggettata all’imposta di registro (Cass. n. 11600 del 2016; n. 15007 e n. 3436 del 2015; n. 9148 e n. 8327 del 2014; n. 27576 del 2008; n. 5366 del 1999; un analogo orientamento è stato seguito anche dalla sentenza della CGUE del 15 settembre 2011 nelle cause riunite C-180/10 e C- 181/10, Siaby, Kué ed altri, nella quale si precisa che «una persona fisica che ha esercitato un’attività agricola su un fondo rustico riconvertito, in séguito ad una modifica dei piani regolatori locali sopravvenuta per cause indipendenti dalla volontà di questa persona, in terreno destinato alla costruzione non può essere ritenuta soggetta all’IVA ai sensi degli artt. 9, n. 1, e 12, n. 1, della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, quando essa intraprende la vendita del suddetto fondo rustico, se tali vendite si iscrivono nell’ambito della gestione del patrimonio privato della persona stessa»).
Deve perciò ritenersi definitivamente superata l’opposta precedente impostazione di questa Corte (espressa nelle pronunce n. 3987 del 2000 e n. 10943 del 1999) e seguita dalla impugnata sentenza della CTR Piemonte n. 12/33/2010, secondo cui la cessione di un terreno edificabile, appartenente ad un’impresa agricola, deve essere assoggettato ad IVA se il terreno è stato precedentemente destinato alla produzione agricola.
4.2.— Gli altri motivi del ricorso incidentale (nel giudizio R.G. n. 6291/2011) restano assorbiti dall’accoglimento del quarto.
4.2.1.— Con il primo motivo di ricorso incidentale, si denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. (pagg. 8, 9 e 10 del ricorso incidentale) — l’«omessa pronuncia» in ordine alla deduzione di mancanza di danno erariale nell’applicazione dell’imposta di registro in luogo dell’IVA. Il motivo è corredato di quesito di diritto (anche se non dovuto), nel quale si afferma che tale mancanza di danno erariale comporta la non sanzionabilità del contribuente.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il C. (nel giudizio R.G. n. 6291/2011) denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. — la violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 2-quater del decreto-legge n. 564 del 1994 e del d. m. 11 febbraio 1997, n. 37, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, l’emissione dell’avviso di accertamento n. R2101A100031 si configurava come un caso di autotutela integrativa (o modificativa) illegittima, perché si risolveva in una modifica degli avvisi sostituiti non solo formale, ma anche sostanziale (richiesta di pagamento immediato dell’intero, in luogo di un pagamento scaglionato in tre anni), disposta senza che fosse sopravvenuta, nell’ufficio tributario, la conoscenza di nuovi elementi richiesta, invece, dall’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972. In particolare, il ricorrente afferma che non è condivisibile la tesi della CTR dell’inapplicabilità di detto comma 4 dell’art. 57 ai casi, come quello di specie, di autotutela eliminativa della nullità (nullità derivante dalla violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale individua il momento impositivo dell’IVA nella stipula dell’atto di cessione del bene strumentale all’attività d’impresa).
Con il terzo motivo di ricorso incidentale (sempre nel giudizio R.G. n. 6291/2011), il ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – la violazione e mancata o falsa applicazione degli artt. 57, comma 4, e 2, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto la sentenza di appello, incorrendo in «omessa pronuncia», non affronta la censura sollevata dal contribuente di contraddittorietà della motivazione dell’avviso nella parte in cui questo, da un lato, ai fini delle imposte dirette, riconducendo la fattispecie alla “sfera privata”, qualifica la cessione del terreno edificabile come effettuata da soggetto privato (ancorché imprenditore agricolo) cosí da produrre plusvalenza da redditi diversi e, dall’altro, riconducendo invece la stessa fattispecie alla “sfera imprenditoriale” ai fini IVA la qualifica come operazione IVA tra soggetti IVA.
4.2.2.- I suddetti motivi di ricorso incidentale (primo, secondo e terzo) sono diretti tutti contro parti della sentenza che presuppongono l’applicabilità dell’IVA alla fattispecie. La ritenuta applicabilità, invece, dell’imposta di registro (a seguito dell’accoglimento del quarto motivo) rende superfluo l’esame dei primi tre motivi.
4.3.- Restano assorbiti anche i due motivi di ricorso principale del giudizio R.G. n. 6291/2011.
4.3.1.- Il controricorrente genericamente eccepisce, nelle conclusioni, l’inammissibilità del ricorso principale. Tuttavia tale eccezione preliminare non può essere esaminata perché il controricorrente non indica alcun motivo di inammissibilità.
4.3.2.- L’Agenzia delle entrate, con il primo motivo del ricorso principale (sempre nel giudizio R.G. n. 6291/2011), denuncia – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000. Per la ricorrente, il giudice di appello – nell’escludere sanzioni e interessi per la ritenuta presenza di una incertezza interpretativa sull’applicabilità dell’IVA o dell’imposta di registro all’ipotesi di cessione, da parte di un imprenditore agricolo, di un terreno edificabile – ha erroneamente affermato che la risoluzione n. 137/E del 7 maggio 2002 dell’Agenzia delle entrate ha innovato ad una precedente prassi amministrativa con la quale si applicava l’imposta di registro (e non l’IVA) ai casi analoghi a quello di specie. Inoltre (ancora ad avviso dell’Agenzia), il solo fatto che l’amministrazione finanziaria abbia sostenuto, sul punto, opinioni opposte in due cause esaminate dalla Corte di cassazione (Cass. n. 10943 del 1999 e Cass. n. 3987 del 2000, dall’altro) non era sufficiente ad integrare uno stato di obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria: ciò a maggior ragione in quanto il contribuente, che pure aveva invocato la circolare ministeriale n. 25/1979 a sostegno della tesi dell’assoggettabilità ad imposta di registro, non aveva poi prodotto in giudizio tale circolare e non aveva provato (come era suo onere) l’incertezza interpretativa legittimante la disapplicazione di sanzioni ed interessi.
La stessa Agenzia delle entrate, con il secondo motivo del ricorso principale (nello stesso giudizio R.G. n. 6291/2011), denuncia – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. — l’insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’esistenza di un orientamento dell’amministrazione finanziaria precedente alla citata risoluzione n. 137/E del 7 maggio 2002 inteso ad applicare a fattispecie simili a quella di causa l’imposta di registro (e non VIVA).
4.3.3.— Detti motivi del ricorso principale, in quanto attengono alle sanzioni ed agli interessi e presuppongono l’assoggettamento della cessione di terreno all’IVA, sono assorbiti dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso incidentale e dal conseguente assoggettamento della cessione all’imposta di registro.
4.4.— In conclusione, in accoglimento del quarto motivo di ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso (principale ed incidentale). La causa va pertanto rinviata alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la pronuncia anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: «La cessione, da parte di un imprenditore agricolo, di un terreno divenuto edificabile non rientra — avendo il suddetto terreno perduto la qualità di bene strumentale all’esercizio dell’impresa — tra le operazioni imponibili ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, sicché deve assoggettarsi all’imposta proporzionale di registro e non all’IVA».
5.— Occorre, infine, esaminare il ricorso R.G. n. 8031/2011, proposto dal C. avverso la sentenza della CTR del Piemonte n. 11/33/2010 e concernente l’atto prot. n. 2894/2007 del 14 febbraio 2007, con cui l’Agenzia delle entrate (in relazione alla sopra menzionata cessione, da parte di un imprenditore agricolo ad altro soggetto IVA, di un terreno edificabile) aveva annullato in autotutela gli avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05, relativo al 2000, n. R2101A100291/06, relativo al 2001, n. R2101A100293/06, relativo al 2002; il tutto in vista della futura sostituzione con un unico avviso di accertamento IVA per l’anno 2000, comprensivo di tutti gli importi degli avvisi annullati (nuovo avviso poi emesso con il n. R2101A100031 ed oggetto della controversia fiscale di cui al ricorso R.G. n. 6291/2011).
I due motivi di ricorso proposti dal ricorrente sono inammissibili perché non pertinenti all’oggetto della controversia fiscale di cui alla sentenza impugnata.
5.1.— Si è già rilevato supra al punto 5 e, prima ancora, al punto 2.2. di queste “Ragioni della decisione”, che l’impugnata sentenza n. 11/33/2010 ha senza dubbio ad oggetto esclusivamente l’atto di (mero) annullamento in autotutela prot. n. 2894/2007, come risulta chiaramente dal contenuto della motivazione della medesima sentenza (a partire dall’incipit della motivazione: «C. M., imprenditore agricolo, impugnava, relativamente alla sola annualità 2000, l’atto, prot. n. 2894 notificato il 19.4.2007»; oggetto poi espressamente ribadito in altri passi). In particolare, non incidono sulla corretta identificazione dell’effettivo suddetto oggetto della lite fiscale due evidenti errori commessi dalla CTR: a) l’erronea indicazione contenuta nell’intestazione della sentenza, secondo cui l’impugnazione esaminata riguarderebbe gli avvisi di accertamento IVA n. R2101A100168/05, relativo al 2000, n. R2101A100291/06, relativo al 2001, e n. R2101A100293/06, relativo al 2002 (avvisi, in realtà, annullati in autotutela proprio dall’impugnato atto prot. n. 2894/2007); b) l’impreciso accenno, contenuto nell’ultima parte della motivazione, al «nuovo avviso di accertamento», definito come «quello qui in discussione» (avviso n. R2101A100031, in realtà “in discussione” in un separato giudizio).
5.2.- A fronte del suddetto oggetto della lite fiscale (atto prot. n. 2894/2007), i motivi del ricorso R.G. n. 8031/2011 presuppongono invece che l’atto impugnato contenga non un mero annullamento di avvisi, ma una positiva pretesa tributaria che il C. assume essere “nuova” (cioè modificativa od integrativa) rispetto a quella contenuta nei precedenti avvisi (pagamento in unica soluzione anziché in tre annualità).
In particolare, con il primo motivo di ricorso, corredato di un (peraltro non dovuto) quesito di diritto, il ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 con riguardo all’art. 2-quater del decreto-legge n. 564 del 1994 e del d. m. 11 febbraio 1997, n. 37, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, l’emissione dell’avviso di accertamento n. R2101A100031 si configura come un caso di autotutela integrativa (o modificativa) illegittima, perché adottata senza la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, non essendo sufficiente una diversa valutazione o interpretazione di elementi già noti. Il ricorrente aggiunge che non sono condivisibili le tesi della CTR: a) circa l’inapplicabilità dell’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 ai casi, come quello di specie, di autotutela eliminativa della nullità; b) circa la natura solo formale della modifica dei precedenti avvisi (trattandosi, invece, di modifica sostanziale, inerente alle modalità di pagamento).
Con il secondo motivo di ricorso, poi, corredato anch’esso di un (non dovuto) quesito di diritto, il ricorrente denuncia l’erronea applicazione dell’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto non ricorrevano le ipotesi legittimanti l’autotutela: non l’ipotesi dell’errore materiale (errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto d’imposta; doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione, successivamente e tempestivamente sanata; sussistenza dei requisiti per deduzioni, detrazioni agevolazioni precedentemente negati; errore materiale riconoscibile commesso dal contribuente); e neppure l’ipotesi dell’assenza del presupposto d’imposta.
5.3.— Come appare evidente, il ricorrente sembra aver confuso la portata dell’atto di mero annullamento impugnato nel giudizio sfociato nella sentenza n. 11/33/2010 con quella dell’atto sostitutivo successivamente emesso (n. R2101A100031), separatamente impugnato ed oggetto del diverso giudizio sfociato nella sentenza della stessa CTR n. 12/33/2010. Ne deriva che le censure proposte con il ricorso R.G. n. 8031/2011 (basate sull’assunto di una maggiore onerosità della richiesta di pagamento IVA in una unica soluzione) sono pertinenti al diverso giudizio riguardante l’atto sostitutivo (R.G. n. 6291/2011); giudizio trattato supra, al punto 4. di queste “Ragioni della decisione”.
Non rileva in contrario l’osservazione contenuta nella sentenza n. 11/33/2010 che l’atto di (mero) annullamento in autotutela prot. n. 2894/2007 è dichiaratamente «propedeutico» ad un successivo unico atto, sostitutivo dei tre annullati, nell’ambito di un unitario procedimento di autotutela. Tale osservazione non toglie che l’atto di mero annullamento sia, nella specie, del tutto diverso (per forma, struttura, contenuto, cronologia) dal successivo atto impositivo sostitutivo (poi emesso con il n. R2101A100031) e che pertanto i due atti siano separatamente impugnabili (di fatto, anzi, sono stati separatamente impugnati) per motivi non necessariamente identici. Da ciò consegue che gli specifici vizi che si assume inficino il contenuto della pretesa impositiva (l’atto sostitutivo) non possono automaticamente ritenersi pertinenti ad un atto (l’atto di mero annullamento) che non reca alcuna pretesa impositiva.
È appena il caso di sottolineare che tale accertata inammissibilità dei motivi del ricorso R.G. n. 8031/2011 prescinde da ogni esame delle non impugnate asserzioni contenute nella predetta sentenza n. 11/33/2010, secondo cui sussiste: a) la giurisdizione tributaria per la cognizione dell’impugnazione di un atto di mero annullamento «propedeutico ad altro successivo che si vuole evitare»; b) l’interesse ad una tale impugnazione, ove il contribuente lamenti che da detto mero annullamento gli derivi un «danno ingiusto».
Infine, è opportuno accennare che la sopra ritenuta inammissibilità dei motivi di ricorso non si pone in totale contrasto con la motivazione della impugnata sentenza n. 11/33/2010. Questa, infatti, nel respingere l’appello del contribuente, ha fatto leva su due ragioni: 1. la legittimità di un (mero) annullamento di avvisi IVA nulli in quanto emessi in violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 (dal momento che essi non avrebbero tenuto conto del momento considerato, ai fini IVA, da tale disposizione in ordine all’effettuazione di cessioni immobiliari); 2. l’emesso atto sostitutivo si era limitato a fissare una modalità di adempimento dell’obbligazione tributaria (prescrivendola in un’unica soluzione) e pertanto, non avendo sostanzialmente modificato l’oggetto ed il contenuto del rapporto tributario, non era sottoposto alle condizioni legittimanti di cui all’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972. Ora, se la seconda ragione è irrilevante nell’ambito dell’impugnazione del solo atto di annullamento, rimane pur sempre valida la prima ragione, che esclude l’applicabilità dell’indicato art. 57, comma 4, indipendentemente dalla considerazione del contenuto di un atto sostitutivo successivo rispetto a quello impugnato ed estraneo all’oggetto della controversia.
5.4.— Il ricorso R.G. n. 8031/2011, dunque, è inammissibile, perché i suoi motivi non sono pertinenti alla controversia.
5.5.— Nella causa R.G. n. 8031/2011 non va emessa pronuncia sulle spese di lite, perché la resistente Agenzia, non avendo presentato controricorso, non si è validamente costituita e, comunque, non si è difesa in giudizio.
6.— In conclusione, riuniti i giudizi, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi R.G. n. 26359/2012 e n. 8031/2011; nel giudizio di cui al ricorso R.G. n. 6291/2011 va accolto il quarto motivo del ricorso incidentale, assorbiti i motivi del ricorso principale e gli altri del ricorso incidentale, con cassazione — in relazione al motivo accolto — della sentenza della CTR del Piemonte n. 12/33/2010 e con rinvio per una nuova decisione (anche sulle spese del presente giudizio di legittimità) alla medesima CTR che, in diversa composizione, si conformerà al principio fissato supra, al punto 4.4. di queste “Ragioni della decisione”.
P.Q.M.
Riunisce al giudizio di cui al ricorso R.G. n. 6291/2011 i giudizi di cui ai ricorsi R.G. n. 8031/2011 e R.G. n. 26359/2012; dichiara inammissibili i ricorsi R.G. n. 26359/2012 e R.G. n. 8031/2011; pronunciando nel giudizio di cui al ricorso R.G. n. 6291/2011, accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale e quelli del ricorso principale; per l’effetto, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata n. 12/33/2010 della Commissione tributaria regionale del Piemonte e rinvia per una nuova decisione, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, alla medesima Commissione, in diversa composizione.
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