CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2018, n. 3900
Tributi – Accertamento – Verifica fiscale a tavolino – Mancata attivazione procedura di contraddittorio endoprocedimentale – Nullità dell’atto – Ai fini delle imposte sui redditi – Esclusione – Ai fini IVA – Subordinata a specifiche deduzioni
Rilevato
– che con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da L.S. avverso l’avviso di accertamento di un maggior reddito di impresa ai fini IVA, IRPEF ed IRAP emesso nei confronti del predetto contribuente ai sensi degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 con riferimento all’anno di imposta 2011;
– che i giudici di appello, sul rilievo che quello operato dall’amministrazione finanziaria era un accertamento di tipo sintetico, effettuato ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 633 del 1972, sostenevano la necessità del contraddittorio endoprocedimentale, peraltro introdotto come obbligatorio dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, applicabile al caso di specie; contraddittorio nel caso in esame non attivato dall’amministrazione finanziaria, con conseguente infondatezza del gravame dell’Agenzia delle Entrate;
– che avverso tale statuizione la ricorrente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimato;
– che regolarmente costituito il contraddittorio sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis cod. proc. civ., il Collegio, con motivazione semplificata,
Osserva
– che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato disposto dagli artt. 24 e 97 Cost. e 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000; sostiene che i giudici di appello avevano errato nel ritenere sussistente nel nostro ordinamento il principio di obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale in relazione ad ogni tipo di accertamento fiscale, peraltro contravvenendo al principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 24823 del 2015;
– che con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,, in quanto disposizione non applicabile al caso di specie, in cui l’accertamento non era di tipo sintetico, ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, ma di tipo analitico, ovvero effettuato ai sensi degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972;
– che i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto involgenti questioni tra loro strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti;
– che, invero, nel caso di specie è indubbio, per come risultante dall’atto impositivo riprodotto in parte qua nel ricorso (pag. 10), in ossequio al principio di autosufficienza del medesimo, che l’Agenzia delle entrate ha proceduto alla rideterminazione del reddito di impresa del contribuente con metodo analitico, ai sensi delle disposizioni da ultimo citate, con la conseguenza che nella specie, da un lato, non è applicabile il disposto di cui all’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha modificato l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di accertamento sintetico introducendo l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, da attivarsi dall’amministrazione finanziaria a pena di nullità dell’atto impositivo, e, dall’altro, che un tale onere a carico dell’Agenzia delle entrate non sussiste con riferimento ai tributi non armonizzati (come l’IRPEF e l’IRAP) quando, come nel caso di specie, la verifica fiscale viene eseguita a tavolino (quindi, in assenza di accessi, ispezioni e verifiche effettuate nei locali dell’impresa, che sono le ipotesi per le quali l’art. 12 della legge n. 212 del 2000 prevede specifici diritti e garanzie a favore del contribuente), mentre in relazione ai tributi armonizzati (come l’IVA), la violazione del contraddittorio è subordinato alla specifica deduzione da parte del contribuente delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo;
– che, invero, le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 24823 del 2015 hanno affermato che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito», precisando che «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”»;
– che non vi sono ragioni che consentono di discostarsi, come invece immotivatamente ed irragionevolmente ha fatto la CTR, da tali principi che vanno, invece, ribaditi;
– che, pertanto, in accoglimento dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR campana che riesaminerà la vicenda alla stregua dei suesposti principi, provvedendo anche a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.
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