CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2018, n. 3904
Cartella di pagamento – Pagamento di contributi per indennità di maternità – Esonero dal pagamento dell’indennità di malattia – Datore di lavoro tenuto, in base a contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione – Applicazione analogica dell’art. 6 della L. n. 138/1943 – Non sussiste
Rilevato che
– L’I.N.P.S. (anche quale mandatario della S.C.C.I. S.p.A.) propone ricorso con unico motivo avverso la sentenza n. 7901/2014 della Corte d’appello di Roma che ha respinto l’impugnazione avanzata dall’Istituto contro la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato non dovuto il credito di cui alla cartella di pagamento opposta dalla E.P. SPA, E.S. SRL, E.T. SPA (società sorte a seguito del d.lgs. n. 79/1999 di liberalizzazione del settore elettrico), con la quale era stato richiesto il pagamento di contributi per indennità di maternità. La Corte capitolina ha ritenuto, con riferimento all’obbligo della società opponente, appartenente al gruppo E. S.p.A., che l’art. 6 della I. n. 138/1943, che esonera l’I.N.P.S. dal pagamento dell’indennità di malattia quando il datore di lavoro è tenuto, in base a contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione durante la malattia del dipendente, fosse applicabile anche all’indennità di maternità, con la conseguente insussistenza dell’obbligo di versamento della relativa contribuzione all’I.N.P.S.;
– resistono le società con controricorso, illustrato con memoria;
– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che
– Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione degli artt. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008), e 6 I. n. 138/1943, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, che nell’interpretare autenticamente l’art. 6 cit. ha previsto che «i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo», si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, con la conseguenza che, avendo il successivo comma 2, lett. a), dell’art. 20 cit. previsto l’obbligo per «le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto» di versare «la contribuzione per maternità» soltanto «a decorrere dal 1° gennaio 2009», nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS richiedere per il periodo precedente;
– il motivo è fondato;
– questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le società che, come l’odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell’ENEL, sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dall’art. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008), con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017);
– a supporto di tale conclusione si è sottolineato che l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dall’art. 1, d.P.R. n. 145/1965, che deve ritenersi disposizione ormai priva di efficacia diretta, in quanto legata necessariamente all’esistenza dell’ente pubblico economico denominato Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, già venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per effetto del d.l. n. 333/1992, e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico realizzata dalla legge delega n. 128/1999 e dal successivo d.lgs. n. 79/1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE;
– va, quindi, richiamato il principio che informa la materia degli obblighi contributivi delle società partecipate da enti pubblici che questa Corte di cassazione ha più volte recentemente affermato e che si compendia nell’affermazione secondo cui nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dalla origine di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (in tal senso Cass. n. 8591/2017 a proposito dei contributi per cassa integrazione guadagni; Cass. n. 4274/2016; Cass. 27213/2013);
– va, altresì, ribadito – sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008 – che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà e che il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale, con la conseguenza che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nell’art. 15, I. n. 1204/1971, in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sé di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia;
– va rilevato che dalle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte cost. n. 47 del 2008, è dato ricavare un principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di logiche di stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese;
– per altro verso, l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione dell’indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell’efficacia precettiva del disposto dell’art. 1, d.P.R. n. 145/1965: trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato dall’odierna controricorrente al fine di garantirsi l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità;
– manifestamente infondato, poi, è il dubbio di legittimità costituzionale argomentato da parte controricorrente sul presupposto di una disparità di trattamento tra le società derivate dalla trasformazione dall’ente pubblico e quelle generatesi dello scorporo delle prime: tale dubbio, infatti, trae origine dal presupposto che l’art. 1, d.P.R. n. 145/1965 continuasse a trovare applicazione anche alle società derivanti dalla c.d. prima privatizzazione, laddove si è visto che la sua efficacia precettiva deve ritenersi venuta meno a seguito della trasformazione dell’ENEL in società per azioni;
– di conseguenza non può in alcun modo trarsi dall’art. 20, comma 2, d.l. n. 112/2008, cit., alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell’ENEL al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal 1°.1.2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al sistema in ragione dei rilievi di ordine sistematico dianzi enunciati, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un’apposita disposizione di legge a carattere meramente ricognitivo (cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007);
– neppure possono desumersi argomenti contrari dall’art. 3, comma 2, I. n. 218/1990, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi «gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza», giacché tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell’E. in virtù del d.l. n. 198/1993 (conv. con I. 292/1993), si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro;
– il ricorso, pertanto, va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto enunciati, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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