CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2017, n. 9771
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Indebita detrazione IVA – Indebito vantaggio fiscale
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di M.R., in qualità di socio accomandatario della cessata E. di M.R. & C. sas, (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna 943/20/2015, depositata in data 27/04/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, ex art. 54 DPR 633/1972, per IVA sugli acquisti indebitamente detratta dalla società (costituita nel 2003, esercente attività di “lavori generali di costruzione di edifici”, e cancellata nel 2007, a seguito della sola realizzazione di due unità immobiliari, vendute, nel 2006 ai due unici soci della stessa), in relazione all’anno d’imposta 2004, stante il carattere elusivo dell’attività svolta dalla società, priva di una valida ragione economica e posta al solo scopo di conseguire un risparmio d’imposta, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravarne dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto, come già, ribadito dai giudici di primo grado, che, essendo necessaria, al fine di integrare l’abuso del diritto, la coesistenza di un indebito vantaggio fiscale, dell’assenza di valide ragioni economiche e dell’utilizzo distorto di strumenti giuridici, nella specie, non ricorrevano i suddetti elementi strutturali, in quanto “l’indebito vantaggio fiscale, pacificamente pari a circa €. 10.000,00 non può essere considerato tale a fronte di un’operazione durata quattro anni con costi e ricavi superiori ad un milione di Euro” ed erano “perfettamente sussistenti e valide le ragioni economiche poste a base della scelta di fare impresa (chiunque deve poter tentare) e, conseguentemente, lecito l’utilizzo degli strumenti giuridici all’uopo necessari”.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per motivazione apparente, con affermazioni apodittiche, non corrispondenti alla realtà ed ai fatti processuali.
2. La censura è infondata. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007).
Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dovere confermare quante statuito dai giudici di primo grado in ordine alla non ricorrenza dei presupposti fondanti la contestata indebita detrazione dell’IVA, per l’intento esclusivamente elusivo di tutta l’operazione. Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione. I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui all’art. 36 d.lgs. 546/1992 (cfr. Cass. 5315/2015)
3. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 54, 17 e 19 DPR 633/1972 e 2697 c.c., avendo, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’Amministrazione finanziaria fornito elementi sintomatici della condotta abusiva (utilizzare i benefici fiscali derivanti dalla tassazione delle imprese, ai fine di costruire ed acquistare abitazioni personali, avendo la società, nei primi tre anni, sostenuto solo ingenti costi e conseguito, solo nel 2006, ricavi, in misura pressoché pari ai costi, a seguito della cessione degli immobili costruiti ai due soci), mentre il contribuente, sul quale ricadeva l’onere di provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale, si era limitato a dedurre di avere costituito la società al fine di costruire e rivendere immobili, ma che, essendo rimasti gli appartamenti costruiti invenduti, egli era stato costretto ad acquistarli in proprio, con successiva chiusura della società, dopo circa quattro anni stante l’insuccesso imprenditoriale.
4. La censura è fondata.
La Corte di giustizia costantemente ribadisce che, perché si possa parlare di pratica abusiva, occorrono due condizioni:
1) da un lato, le operazioni devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni; 2) dall’altro, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è l’ottenimento di un vantaggio fiscale (Corte giust. in causa Klub OOD, punto 48; Corte giust. 21 febbraio 2006, C- 255/02, Halifax ed altri, punti 74 e 75). Le sezioni unite di questa Corte, anche con riguardo alle imposte dirette, hanno affermato che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto ; pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale (Cass., sez.un., 23 dicembre 2008, n. 30057; vedi, in particolare, in tema di cessione di quote e fusione per incorporazione, Cass. 30 novembre 2012, n. 21390; Cass. 653/2014).
Questa Corte (Cass. 4603/2014) ha altresì affermato, in punto di onere della prova, che “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come il ragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” .
Nella specie la C.I.P. non fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, affermando che l’Agenzia non aveva mai fornito la prova che l’intento economico unico dell’operazione fosse un indebito risparmio fiscale, non avendo dato alcun rilievo ai diversi elementi sintomatici della sussistenza dell’abuso, allegati dalla stessa (l’essere stata costituita la società nel settembre 2003, con due soli soci, i coniugi M.R. e S.D., e l’essere la stessa priva di dipendenti e con una sede, di appena due mq, corrispondente a quella di altre società participate dal M.; l’avere la società svolto attività edile consistente nella sola costruzione di due unità immobiliari; il fatto che gli unici ricavi, a fronte di ingenti costi, avevano riguardato l’anno 2006, a seguito della vendita dei due unici appartamenti costruiti, effettuata nel confronti dei medesimi soci; la cancellazione della società nel gennaio 2007).
La C.T.R. si è limitata, del tutto genericamente, ad affermare che sussistevano “valide ragioni economiche pose a base della scelta di fare impresa (chiunque deve potere tentare)”, con conseguente liceità “dell’utilizzo degli strumenti giuridici all’uopo necessari”.
5. Il terzo motivo, implicante vizio di omesso esame, ex art. 360 n.5 c.p.c., di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’asserito vantaggio fiscale di soli €. 10.000,00, sempre negato dall’Ufficio, il quale ha sostenuto che l’indebito vantaggio era costituito dall’indebita detrazione dell’IVA, non ottenibile da un privato, è assorbito.
6. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dea secondo motivo del ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Emilia-Romagna, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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