CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2017, n. 30368
Avviso di accertamento – Cessione di immobile – Plusvalenza patrimoniale – Valutazione – Applicabilità dell’ art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015
Rilevato
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata;
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che, a seguito di rinvio dalla Corte di Cassazione, aveva accolto parzialmente l’appello di F.F. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Ravenna. Quest’ultima aveva respinto l’impugnazione del contribuente contro un avviso di accertamento IRPEF, per l’anno 2005;
Considerato
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 comma 2° c.p.c. e degli artt. 8 D.Lgs n. 546/1992 e 10 I. n. 212/2000, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: la CTR avrebbe ritenuto sussistente l’obiettiva incertezza sull’ambito di applicazione della norma, con una motivazione generica, che non si era conformata al dictum della parte rescissoria, tanto più che il procedimento di interpretazione normativa sarebbe stato del tutto semplice;
che l’intimato ha resistito, deducendo l’improcedibilità del ricorso, nonché l’inapplicabilità della sanzione; che, in particolare, quest’ultima eccezione è fondata, e dirimente, considerato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Sez. 6 – 5, n. 11543 del 06/06/2016), sicché dovrebbe spiegare effetti anche ai fini sanzionatori, in applicazione del principio del favor rei, posto che, proprio in ragione della più favorevole disposizione sopravvenuta, la condotta che prima integrava una violazione fiscale non costituisce più il presupposto per l’irrogazione della sanzione (Sez. 5, n. 9492 del 12/04/2017; Sez. 5, n. 2889 del 03/02/2017); che, in ogni caso, il ricorso dell’Agenzia è infondato; che la parte rescissoria della decisione di questa Corte n. 102/2015 afferma testualmente “Ciò posto, il ricorso va accolto, in quanto la sentenza in nessun modo esplica gli elementi d’incertezza che, pure, deduce a fondamento dell’inapplicabilità delle sanzioni non si tratta, dunque, dell’affermazione di un principio di diritto, quanto piuttosto dell’accertamento di una lacuna motivazionale, che il giudice del rinvio ha colmato, offrendo una motivazione in ordine all’obiettiva incertezza sull’ambito di applicazione della norma che regge alle censure della ricorrente giacché s’impernia su un giudizio di fatto, non illogico né contraddittorio; che, in sostanza, si tratta di censure di merito, inammissibilmente dedotte come violazione di legge; che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore del controricorrente, in euro 5.500, oltre spese fofettarie in misura del 15%.
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