CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2017, n. 30374
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Elementi presuntivi utilizzati non idonei a dimostrare la sussistenza di maggiori ricavi – Illegittimità dell’atto
Rilevato
– che in controversia relativa ad accertamento di maggiori redditi d’impresa derivanti dall’applicazione degli studi di settore nei confronti di società di persone, con conseguente emissione di avviso di accertamento ai fini IVA ed IRAP nei confronti della BAR RISTORANTE A. N. di R. L. s.n.c. nonché di separati avvisi di accertamento nei confronti dei soci R. B. e L. R., per i redditi di partecipazione ai fini IRPEF, relativamente all’anno di imposta 2007, la CTR del Piemonte, con la sentenza in epigrafe, respinse l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso dei contribuenti, sostenendo «che i risultati dell’applicazione dello studio di settore, adeguati correttamente alla realtà dell’impresa, non appaiono idonei a dimostrare i maggiori ricavi pretesi dell’Ufficio»;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui non replicano gli intimati;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197) risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
– che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata.
Considerato
– che con il motivo di ricorso, incentrato sulla violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 (erroneamente indicato come d.P.R. n. 633 del 1972), 62-bis e 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere respinto l’appello dell’ufficio finanziario ritenendo che le risultanze degli studi di settore costituissero presunzioni semplici inidonee a rappresentare la realtà concreta dell’impresa benché la mancata partecipazione dei contribuenti al contraddittorio endoprocedimentale (circostanza pacifica ammessa dalla stessa CTR) avesse attribuito valore qualificato a dette presunzioni, secondo un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità;
– che il motivo è infondato e va rigettato;
– che, invero, pur dovendosi condividere l’assunto di parte ricorrente, fondato sulla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass., Sez. U., n. 26635 del 2009 e numerose successive conformi pronunce delle sezioni semplici, tra cui Cass. n. 17646 del 2014, n. 20662 del 2014, citata dalla stessa ricorrente, e n. 10047 del 2016), circa il valore presuntivo dei risultati applicativi degli studi di settore, idonei a legittimare l’emissione di un avviso di accertamento fondato esclusivamente su quelle presunzioni, da considerarsi gravi, precisi e concordanti laddove il contribuente ometta di partecipare al contraddittorio, e pur dovendosi riconoscere che la CTR si è discostata da tale principio ove ha qualificato come semplici le presunzioni derivanti dall’applicazione dello studio di settore nonostante l’omessa partecipazione dei contribuenti al contraddittorio endoprocedimentale, osserva il Collegio, in ciò discostandosi dalla proposta del relatore (Cass., Sez. U., n. 8999 del 2009), che la conclusione cui è pervenuta la Commissione di appello, laddove ha ritenuto – con adeguata motivazione, non censurata – che i dati utilizzati dall’amministrazione finanziaria «quali la superficie dei locali ed il numero dei posti a sedere» non erano «significativi» ai fini della rideterminazione in aumento del reddito d’impresa in quanto «tali dati, di per sé, non comprovano la numerosità dei pasti serviti né i pretesi maggiori ricavi possono mettersi in relazione alle spese per il personale in una situazione in cui gli addetti costituiscono il numero minimo essenziale e due di essi sono i soci», concludendo che «i risultati dell’applicazione dello studio di settore, adeguati correttamente alla realtà dell’impresa, non appaiono idonei a dimostrare i maggiori ricavi pretesi dell’Ufficio», non si pone in contrasto con quel principio giurisprudenziale né con il dettato legislativo;
– che, infatti, se è pur vero che l’amministrazione finanziaria può fondare la motivazione dell’atto di accertamento sul mero rilievo dello scostamento, in mancanza di contestazioni sollevate dal contribuente o di mancata partecipazione dello stesso al contraddittorio endoprocedimentale, è anche vero però che il giudice tributario può liberamente valutare – come accaduto nel caso di specie – l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore (cfr., da ultimo, Cass. n. 9484 del 2017);
– che, conclusivamente, il motivo di ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio degli intimati;
– che deve darsi atto che non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, previsto dal d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, poiché a favore della amministrazione ricorrente opera il meccanismo di prenotazione a debito (v. Cass. S.U. n. 9338/14; conf. Cass. n. 1778, n. 18893 e n. 22267 del 2016).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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