CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 gennaio 2017, n. 1084
Studi di settore – Lo scostamento va indicato nell’avviso – La mancata indicazione nell’avviso di accertamento dello scostamento del reddito dichiarato rispetto alle risultanze dello studio di settore, essendo circostanza potenzialmente lesiva del diritto di difesa del contribuente, deve essere sempre oggetto di attento esame da parte del giudicante, a pena di nullità della sentenza
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c., valutate le deduzioni difensive svolte nella memoria difensiva di parte ricorrente, osserva quanto segue.
1. In fattispecie relativa ad avvisi di accertamento per Ires, Iva e Irap anno di imposta 2004 notificati sulla base dei cd. “studi di settore”, con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce la “nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 10 L. 146/98, come modificato dall’art. 1, co. 409, lett. a), L. 311/04”.
1.1. La censura risulta fondata poiché, come meglio esplicitato nella memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., la CTR si è pronunciata solo sulla “eccepita mancata allegazione all’avviso di accertamento dello studio di settore utilizzato” non anche sulla ulteriore doglianza concernente la mancata indicazione nell’avviso dello scostamento del reddito dichiarato dalla società rispetto alle risultanze dello studio di settore, per due o più periodi di imposta, ex art. 10, L. n. 146/98, non reputandosi sufficiente, a tal fine, l’ellittica considerazione per cui “l’ufficio si è avvalso del medesimo studio utilizzato dal contribuente nella compilazione della propria dichiarazione e deve quindi essere ritenuto a piena conoscenza di tutti gli elementi di cui questo si compone e delle inferente ricavabili”.
2. Il secondo motivo – “violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 38 DPR 600/73 in relazione all’art. 10 L. 146/98 ed all’art. 62 sexies d.l.- 331/93” – è invece inammissibile per difetto di autosufficienza in ordine alla “documentazione inerente la sua posizione” che la contribuente, non appena rientratane in possesso (dopo la denuncia e condanna del tenutario delle scritture contabili per illecita ritenzione) avrebbe “immediatamente prodotta in giudizio” (v. pag. 5 ricorso).
3. Anche il terzo mezzo – “violazione e falsa applicazione dell’art. 10 L. 146/98 dell’art. 62 sexies DL 331/93 e dell’art. 38 D.LGS. 546/92” – é inammissibile, poiché parte ricorrente assume che la CTR avrebbe “ritenuto che dalla mancata partecipazione della contribuente al contraddittorio discendesse la legittimità e fondatezza dell’accertamento .. a nulla valendo anche le successive, e necessarie, produzioni documentali in sede processuale”, senza però indicare dette produzioni né cogliere l’opposta ratio decidendi per cui “nella specie il contribuente non ha partecipato alla fase di contraddittorio cui era stato ritualmente invitato né ha fatto in quella sede conoscere circostanze impeditive che peraltro avrebbero potuto essere prese in considerazione nella fase istruttoria”.
4. Peraltro, i principi e gli orientamenti giurisprudenziali invocati in ricorso corrispondono a quelli richiamati nella sentenza impugnata, la quale é in linea con il consolidato orientamento di questa Corte in base al quale: I) “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in se considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”; II) “In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”; III) “l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributano liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte”; IV) “in tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. SU 26635/09; Cass. 12558/10, 23070/12, 27822/13, 3415/15, 21336/15, 17486/16, 11436/16).
5. La sentenza quindi va cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rinvio della causa per nuovo esame al giudice d’appello.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impiumata e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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