CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 gennaio 2018, n. 1327
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Import/export – Autofatturazione – Sanzioni amministrative
Rilevato
– che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a seguito ad accertamento dell’indebito utilizzo del deposito fiscale gestito dalla F. V. s.p.a., per omessa materiale introduzione nello stesso delle merci importate da altre società ed assolvimento del pagamento dell’IVA all’importazione mediante il meccanismo dell’autofatturazione, emetteva nei confronti della predetta società quarantacinque atti di contestazione di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997;
– che il ricorso proposto dalla predetta società contribuente avverso tutti gli atti sopra indicati veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale della Spezia, che riduceva le sanzioni irrogate ritenendo nella specie applicabile quella prevista dall’art. 6 d.lgs. n. 471 del 1997 e l’appello proposto avverso tale statuizione dall’amministrazione doganale veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con la sentenza qui impugnata, n. 503 del 27 aprile 2015, che condivideva la tesi sostenuta dai giudici di primo grado;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle dogane dei monopoli propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui replica l’intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato a cinque motivi;
Considerato
– che con il motivo di ricorso principale viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 1, e 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, sostenendosi che la disposizione da ultimo citata disciplinava l’irregolare assolvimento dell’IVA nelle operazioni “interne” soggette ad autofatturazione, e non era quindi applicabile al caso di specie riguardante l’IVA all’importazione, il cui irregolare assolvimento era sanzionato dal citato art. 13;
– che con il primo motivo di ricorso incidentale la società controricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione, ex art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che i giudici di appello erano incorsi nel dedotto vizio laddove avevano ritenuto tardivo l’assolvimento dell’IVA all’importazione, benché l’amministrazione finanziaria avesse contestato l’omesso pagamento;
– che con il secondo motivo di ricorso incidentale la società controricorrente deduce la violazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000, per non avere i giudici di appello fatto applicazione di tale disposizione, che esclude qualsiasi sanzione nell’ipotesi, qui ricorrente, di violazione solo formale;
– che con il terzo motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione dell’art. 20 d.lgs. n. 471 del 1997 per non avere i giudici di appello rilevato la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere accertativo;
– che con il quarto motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione del principio di proporzionalità della sanzione come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia del 17/07/2014, in causa C-272/13, Equoland;
– che con il quinto motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia dei giudici di appello sul conflitto dei provvedimenti impositivi impugnati con la sentenza penale emessa nei confronti del responsabile del deposito che aveva riconosciuto e dichiarato l’insussistenza della violazione sanzionata;
– che ragioni di ordine logico- giuridico impongono di esaminare preliminarmente i motivi di ricorso incidentale;
– che pare opportuno premettere che in materia di depositi fiscali questa Corte ha affermato il principio secondo il quale «l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50- bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla I. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito» (cfr., ex multis, Cass. n. 12231 del 2017; v. anche Cass. n. 15988 e n. 17814 del 2015);
– che è quindi evidente l’assoluta diversità ed autonomia dell’atto irrogativo della sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 rispetto ad un avviso di accertamento emesso a seguito della riscontrata violazione dell’obbligo di introduzione fisica della merce nel deposito fiscale, posto che, in ossequio ai principi giurisprudenziali sopra ricordati, anche di matrice unionale, quella violazione, seppur non consentendo il recupero dell’imposta assolta con il meccanismo del revese charge, legittima l’applicazione della sanzione ex art. 13 citato, seppur nei sensi precisati dalla CGUE;
– che, alla stregua di tali principi, cui il Collegio intende dare continuità, va rigettato il secondo motivo di ricorso incidentale, con cui la controricorrente lamenta la mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 10 della legge n. 212 del 2000, posto peraltro che questa Corte, ancorché in relazione a fattispecie di ritardata fatturazione, ha enunciato il principio, sicuramente estensibile all’ipotesi di omessa fatturazione, che la violazione meramente formale non punibile deve rispondere a due concorrenti requisiti, ovvero di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. n. 27211 del 2014; conf. n. 27621 del 2008, n. 5897 del 2013, n. 2605 e n. 25700 del 2016, nonché n. 4960 del 2017); requisito, quest’ultimo, nella specie non ricorrente;
– che il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la controricorrente omesso di riprodurre il contenuto integrale degli atti irrogativi della sanzione, nella specie assolutamente necessaria in quanto la riproduzione effettuata dalla controricorrente, solo parziale e frammentaria di alcuni passi di quegli atti, in particolare ove si fa riferimento all’«omesso pagamento dell’IVA all’importazione», è assolutamente insufficiente, ai fini della verifica richiesta a questa Corte, in quanto le ragioni dell’applicazione della sanzione vanno desunte dal contenuto anche motivazionale dell’atto irrogativo; a ciò aggiungasi che l’autofattura emessa a fronte della mancata introduzione fisica dei beni nel deposito IVA è modalità diversa di assolvimento dell’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione (da effettuarsi al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana – sul punto v. Cass. n. 15988 del 2015), che, quindi, è adempimento omesso, seppure poi “sanato” dalla successiva autofatturazione, non potendosi far trarre in inganno dallo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione che lascia supporre la sussistenza di un mero ritardo nell’adempimento; il che rende ragione anche dell’infondatezza del motivo in esame;
– che il terzo motivo di ricorso incidentale è assorbito, oltre che inammissibile per novità delle questioni dedotte e per contraddizione con il principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che non risulta, anche dal contenuto della parte dedicata allo svolgimento del processo, che la questione della decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere accertativo sia stata dedotta in sede di ricorso introduttivo e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009);
– che il quarto motivo di ricorso incidentale è infondato;
– che al riguardo deve, infatti, rilevarsi che la statuizione impugnata non si pone affatto in contrasto con il principio, ricavabile dalla nota sentenza “Equoland”, del necessario adeguamento della sanzione al caso concreto secondo principi di proporzionalità e gradualità della stessa (affinché non ecceda quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione), avendo la CTR ritenuto, con accertamento in fatto non censurato, che «sanzione appropriata» al caso di specie è quella del 3 per cento di cui all’art. 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997;
– che quanto appena detto rende ragione dell’inammissibilità, oltre che dell’infondatezza, del motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, posto che, diversamente da quanto da questa sostenuto, la CTR non ha applicato al caso di specie il disposto di cui all’art. 6, comma 9 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, avendo invece fatto rinvio a quella previsione ai fini del necessario adeguamento della sanzione al caso concreto, nella prospettiva indicata dalla Corte di giustizia dalla più volte citata sentenza “Equoland”; ne consegue che nella specie non vi è stata alcuna violazione della disposizione censurata dalla difesa erariale da parte dei giudici di appello, la cui valutazione di “appropriatezza” della sanzione amministrativa pecuniaria applicabile al caso di specie al gestore del deposito fiscale avrebbe dovuto essere censurata con il corrispondente vizio motivazionale;
– che, infine, infondato è anche il quinto motivo di ricorso incidentale in quanto ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. da 21424 a 21428 del 2017, conf. n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011);
– che conclusivamente vanno rigettati il motivo di ricorso principale e quelli di ricorso incidentale, con integrale compensazione delle spese processuali, stante la reciproca soccombenza;
– che il rigetto del ricorso incidentale costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della controricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228), al medesimo pagamento non essendo invece tenuta la ricorrente Agenzia delle dogane e dei monopoli, nonostante il rigetto del ricorso dalla medesima proposto, in quanto parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato per la quale opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. n. 9338 del 2014; n. 1778 del 2016 e n. 18893 del 2016).
P.Q.M.
Rigetta il motivo di ricorso principale e quelli di ricorso incidentale, compensando le spese processuali.
Dà atto che ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, la controricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 novembre 2019, n. 29046 - Il meccanismo del c.d.reverse charge non ha valore formale o fittizio, ma costituisce reale assolvimento dell'IVA con conseguentemente il sistema dell'autofatturazione è in grado di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 maggio 2019, n. 12507 - L'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione dal soggetto passivo che si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 settembre 2019, n. 22650 - Non può essere chiesto il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile,…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 25318 depositata il 28 agosto 2023 - In materia di IVA all'importazione, in caso di indebito utilizzo del "plafond" è ammissibile il ravvedimento operoso di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 13 ma devono essere…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 luglio 2019, n. 18156 - L'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 11739 depositata il 12 aprile 2022 - In materia di Iva, nel caso in cui l'agenzia di viaggi e turismo abbia ricevuto fatture per prestazioni di servizi per le quali sussiste l'obbligo dell'autofatturazione, ai sensi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024: regime premiale (compensazioni fino a 70
Con il provvedimento n. 205127 del 22 aprile 2024 dell’Agenzia delle Entra…
- Legittima la sanzione disciplinare del dirigente p
La Corte di Cassazione. sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8642 depositata…
- Valido l’accordo collettivo aziendale che li
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10213 depositat…
- Non è configurabile l’aggravante del reato d
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17140 depositata il 2…
- Il giudice non può integrare il decreto di sequest
Il giudice non può integrare il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla…