CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 luglio 2017, n. 17823
Tributi locali – ICI – Cooperativa – Fabbricato strumentale – Istanza di rimborso – Categoria catastale
Rilevato che
1. Il Comune di Collazzone (PG) propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 164/2/12 del 22 agosto 2012 con la quale la commissione tributaria regionale dell’Umbria, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo il diniego da esso opposto all’istanza di rimborso dell’Ici 2002-2007 versata dalla Società Agricola Cooperative Riunite del P. soc.coop. su un fabbricato strumentale in suo possesso, ed iscritto in categoria catastale D/7.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che:
– ai fini della non assoggettabilità ad Ici dei fabbricati rurali rilevasse non già la categoria catastale di appartenenza, bensì l’effettiva strumentalità dei medesimi allo svolgimento dell’attività agricola, nella specie non contestata;
– il diritto al rimborso per le annualità in oggetto non fosse precluso dal divieto di cui all’articolo 2, 4° comma, legge 244/07, in quanto ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 227/09.
Resiste con controricorso la Società Agricola Cooperative Riunite del P..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso il Comune lamenta – ex art.360, 1° co. nn. 3 e 4 cod.proc.civ. – violazione degli articoli 32, 58 e 61 d.lgs. 546/92, nonché 345 cod.proc.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale fondato la propria decisione su un documento (visura storica per immobile, attestante l’iscrizione del fabbricato in oggetto, al momento della decisione, in categoria catastale di ruralità D/10) prodotto dalla cooperativa, nonostante formale opposizione, soltanto nel corso dell’udienza pubblica di discussione innanzi alla stessa commissione tributaria regionale.
2.2 II motivo è fondato.
La commissione tributaria regionale ha attribuito rilevanza dirimente, nell’affermazione del diritto al rimborso, alla circostanza che il fabbricato in questione risultasse iscritto, a far data dal 2011, in categoria catastale D/10. E tale circostanza è stata dalla commissione tributaria regionale desunta dalla produzione della visura storica, ad opera della cooperativa, nel corso dell’udienza pubblica di discussione in appello; e, pertanto, non nel rispetto del termine perentorio di 20 giorni liberi prima di cui al primo comma dell’articolo 32 d.lgs. 546/92, richiamato dall’articolo 61 d.lgs. 546/92 cit..
Così facendo, il giudice di appello ha violato il principio secondo cui: “in tema di contenzioso tributario, la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, prevista dall’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, può essere esercitata anche al di fuori degli stretti limiti fissati dall’art. 345 cod. proc. civ., ma pur sempre, atteso il richiamo operato dall’art. 61 del d.lgs. n. 546 alle norme del giudizio tributario di primo grado, entro il termine perentorio sancito dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto” (Cass. n. 20109/12; così Cass. 3661/15 ed altre).
Di tale risultanza, pertanto, la commissione tributaria regionale non poteva tenere conto.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso il Comune deduce – ex art. 360, 1° co., n. 3 cod.proc.civ. – violazione o falsa applicazione della normativa concernente l’imponibilità Ici dei fabbricati rurali (artt. 5 d.lgs. 504/92; 2 L.244/07; 9, co.3 bis, d.l. 557/93 come mod. art.42 bis d.l. 159/07, conv. in L.222/07). Per avere la commissione tributaria regionale affermato il diritto della cooperativa al rimborso nonostante che tale diritto fosse precluso, pur dopo la citata sentenza della Corte Costituzionale, dall’iscrizione del fabbricato, nelle annualità di riferimento, in categoria catastale (D/7) diversa da quella di ruralità (D/10); a nulla rilevando né il conseguimento di quest’ultima classificazione in epoca successiva, nè l’effettiva strumentalità del fabbricato all’esercizio dell’attività agricola.
Con il terzo motivo di ricorso il Comune deduce – ex art. 360, 1° co. n. 5 cod.proc.civ. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso; per avere la commissione tributaria regionale affermato il diritto al rimborso sul presupposto che la classificazione D/10 fosse stata introdotta solo successivamente all’iscrizione originaria del fabbricato (1975).
3.2 Anche questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la loro intima connessione, sono fondati.
Ferma restando l’avvenuta eliminazione dall’ordinamento del divieto di rimborso Ici di cui all’articolo 2, 4° comma, legge 244/07 – in quanto ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 227/09 – doveva la commissione tributaria regionale valutare se, nel caso specifico, ricorrevano tutti i presupposti di merito di tale rimborso; vale a dire, se il fabbricato della cooperativa fosse effettivamente esente da Ici, nelle annualità di riferimento, in quanto di natura rurale.
Orbene, nell’affermare tale esenzione sulla base del criterio di effettiva strumentalità all’esercizio dell’agricoltura, in luogo di quello dell’iscrizione in categoria catastale di ruralità, il giudice di appello si è posto in contrasto con l’orientamento di legittimità; incorrendo tanto nella lamentata violazione normativa, quanto nella dedotta inadeguatezza motivazionale.
Non vi sono infatti ragioni per discostarsi da quanto stabilito da Cass. SSUU n. 18565/09, secondo cui (in motiv.): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D. L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”. A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (tra cui, Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14), più recentemente confermate – nel senso della ininfluenza dello svolgimento o meno, nel fabbricato, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli, rilevando unicamente il suo classamento – tra le altre, da Cass. n. 16737/15 e da Cass. n. 7930/16.
Va altresì osservato come quanto stabilito dalle SSUU nella sentenza cit. si sia fatto carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del co.3 bis dell’art. 9 d.l. 557/93 conv.i n L. 222/07, come introdotto dall’articolo 42 bis d.l. 159/07 conv.in L. 222/07; sia del co.1 bis dell’art. 23 d.l. 207/08 conv. in L. 14/09.
Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.
La stessa conclusione va, infine, riaffermata (così Cass. 7930/16 cit. ed innumerevoli altre) pur alla luce dell’ulteriore jus superveniens (d.l. n. 70/11, conv. in L n. 106/11; d.l. 201/11 conv.in I. 214/11; dL. 102/13 conv.in I. 124/13) che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente.
Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.
Vale poi osservare come l’assoggettamento ad Ici del fabbricato in questione (in quanto già pacificamente iscritto in categoria D/7: “fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”) non potesse escludersi in ragione dell’avvenuto classamento in D/10 a far data dal 2011; atteso che non risulta né che la cooperativa abbia ottenuto tale classificazione secondo la procedura di cui al citato d.l. 70/11; né, in ogni caso, che essa abbia inteso far valere l’efficacia retroattiva quinquennale derivante dall’adozione di tale procedura (comunque anche cronologicamente esclusa per le annualità dal 2002 al 2005).
In assenza di ciò, non può che rilevare il dato oggettivo di iscrizione catastale in ciascuna annualità di imposta dedotta in giudizio. Nemmeno, ancora, potrebbe attribuirsi rilevanza alla circostanza che la categoria di ruralità D/10 non fosse prevista dall’ordinamento catastale nell’anno di originaria iscrizione a catasto del fabbricato; dal momento che essa – introdotta come categoria speciale dal D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 – era comunque da tempo accessibile, in presenza dei relativi presupposti tipologici, nelle annualità di imposta dedotte in giudizio.
Va ancora considerato come la conclusione qui accolta non sia inficiata dal “riconoscimento” del diritto che il Comune avrebbe operato in altro procedimento e per altra annualità Ici, come affermato in memoria controricorrente. A parte la inammissibilità ex art. 372 cpc delle produzioni documentali ivi effettuate, rileva il carattere cogente e non dispositivo della disciplina applicabile alla fattispecie; in una con l’insistenza nella pretesa, invece qui palesata dal Comune.
Ne segue, in definitiva, l’accoglimento del ricorso e la conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.
Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite in grado di legittimità e di merito, stante la complessa evoluzione normativa della materia nonché il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità richiamato.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo del merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; compensa le spese di legittimità e merito.
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