Assegno di invalidità – Riconoscimento – Pagamento ratei e accessori
Fatti di causa e ragioni della decisione
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5 giugno 2014, confermava la decisione del primo giudice che aveva riconosciuto il diritto di P. L. all’assegno di invalidità ex art. 13 legge 30.3.1971 n. 118 a decorrere dal 1°.7.2008 e condannava l’INPS al pagamento dei relativi ratei oltre accessori come per legge.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPS affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso la P..
E’ stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c in cui viene proposto il rigetto del ricorso.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
La P. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui si dissente dal contenuto della relazione evidenziando come l’impugnata sentenza, rigettando l’appello, in effetti non avesse operato alcun accertamento in merito alla sussistenza del requisito socio-economico per il periodo successivo alla sentenza di primo grado.
Orbene, preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché notificato alla parte personalmente solo m data 6 luglio 2015, ben oltre il termine annuale di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile al caso de quo) essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata il 5 giugno 2016. L’eccezione è infondata.
E’ il caso di precisare: che la notifica del ricorso effettuata dall’INPS in data 3 giugno 2015 presso l’avv. G. T. al domicilio eletto, via Albenga n. 33 — Roma, non andava a buon fine essendo risultato l’avv. T. trasferito alla via Leonardo Bufalini n. 10 — Roma; che neppure a tale nuovo indirizzo la notifica del ricorso effettuata sempre il 3 giugno 2015 riusciva in quanto l’avv. T. risultava essere deceduto; che in data 18 giugno 2015 l’INPS depositava il ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c.; che in data 6 luglio 2015 l’istituto notificava il ricorso alla parte personalmente.
Ciò chiarito, vale ricordare che questa Corte ha affermato il principio secondo cui “nel caso in cui la notificatone di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostante non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha ¡a facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatori, e la conseguente notificatone, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. Cass. SU 24 luglio 2009, n. 17352). Quindi, se la mancata notifica non è imputabile alla parte che l’ha richiesta, il processo notificatorio continua a ritenersi iniziato nel momento in cui è stata richiesta la notifica. E’ stato precisato che questa continuità, però, sussiste solo in presenza di alcune condizioni e precisamente:
– la prima riguarda l’iniziativa, dovendo la parte istante, in piena autonomia, attivarsi per individuare il nuovo domicilio e completare il processo notificatorio una volta preso atto della non riuscita della notifica a causa della modifica del domicilio ( cfr. anche Cass., 11 settembre 2013, n.20830 e Cass., 25 settembre 2015, n. 19060);
– la seconda è che l’attività della parte interessata a completare la notificazione deve essere attivata con “immediatezza” appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione e deve svolgersi con “tempestività” (ancora, sez. un., 17352/2009, cit.).
E’ stato, altresì, specificato che ” lui parte che ha richiesto la notifica, nell’ipotesi in cui non sia andata a buon fine per ragioni e lei non imputabili, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Questi requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325, c.p.c., salvo circostante eccezionali di cui sia data rigorosa prova”. (Sez. U, Sentenza n. 14594 del 15/07/2016).
Orbene, l’applicazione di tali principi al caso in esame porta a ritenere che la notifica del ricorso effettuata alla parte personalmente in data 6 luglio 2015 non sia stata tardiva in quanto: la notifica all’avv. T. al nuovo indirizzo è stata effettuata il 3 giugno 2015, quindi, entro il termine annuale di decadenza; una volta appreso del decesso dell’avv. T. l’istituto si è attivato tempestivamente provvedendo ad inoltrare la notifica a mezzo posta alla parte personalmente in data 10 luglio 2015 entro trenta giorni dalla notizia dell’esito negativo anche della seconda notifica (il 3 giugno 2016) così conservando gli effetti collegati alla richiesta originaria.
Né può sostenersi che il deposito presso la cancelleria della Corte del ricorso effettuato in data 18 giugno 2015 abbia interrotto il processo notificatorio intrapreso.
Passando all’esame del ricorso con l’unico motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 13 legge n. 118/1971 cit. e degli artt. 2697 c.c., 414, 416, 345 e 437 c.p.c. per avere la Corte di merito riconosciuto il diritto all’assegno di invalidità anche in relazione agli anni dal 2010 al 2013 successivi alla pronuncia di primo grado (16 febbraio 2010) omettendo di verificare la sussistenza del requisito reddituale per tale periodo benché a ciò fosse tenuto d’ufficio e stante la contestazione circa la ricorrenza del requisito da parte dell’istituto. Si evidenzia, inoltre, che il possesso del detto requisito, integrando un elemento costitutivo del diritto, deve essere verificato d’ufficio dal giudice e l’onere della prova è a carico di colui che invoca la prestazione assistenziale.
11 Collegio ritiene il motivo infondato, contrariamente alla proposta di cui alla menzionata relazione.
Nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale – al pari dei requisiti sanitario e socio-economico, cosiddetto della incollocazione al lavoro – costituisce elemento costitutivo del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonché dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (vedi, per tutte: Cass. 17 giugno 2008, n. 16395; Cass. 1 marzo 2011, n. 4995).
Ciò detto, nel caso in esame, la Corte di appello si è limitata a rigettare il gravame proposto dall’INPS avverso la decisione del primo giudice che aveva riconosciuto il diritto della P. all’assegno di invalidità a decorrere dal 10 luglio 2008 e fino alla pronuncia e non è attributiva della prestazione per il periodo successivo in relazione al quale non era tenuta ad operare alcun accertamento sulla ricorrenza del requisito socio-economico. In siffatta situazione le argomentazioni di cui al ricorso risultano infondate.
Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore della P. nella misura di cui al dispositivo con attribuzione all’avv. P. F. per dichiarato anticipo fattone.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso sé perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’INPS alle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali , oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.