CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4087
Personale delle Forze armate – Indennità di buonuscita – Carenza della emissione di un provvedimento di congedo
Rilevato
che con sentenza in data 13.3.2012, la Corte di Appello di Bologna, riformando la sentenza del Tribunale di Forlì, ha condannato V.D.N., ufficiale dell’esercito italiano con il grado di tenente colonnello, alla restituzione in favore dell’INPDAP della somma di euro 69.246,16 ricevuta a titolo di indennità di buonuscita, ritenendo tale indennità non dovuta in carenza della emissione di un provvedimento di congedo del D.N. per riforma e sul presupposto che il D.N. non avesse lasciato il servizio attivo;
che avverso tale sentenza il D.N. ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale ha opposto difese l’INPS, quale successore ex lege dell’ INPDAP con controricorso;
che il D.N. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, essendo stata erroneamente esclusa dalla Corte territoriale la esistenza di un provvedimento di congedo anche alla luce delle risultanze del libro matricola (modello 127) del suo Stato di servizio;
2. con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, posto che nel pubblico impiego il collocamento in congedo può risultare anche da fatti concludenti;
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’Appello ha, infatti, con ampia e corretta motivazione, ritenuto la inidoneità della documentazione prodotta dal D.N. al fine di dimostrare la propria cessazione dal servizio per congedo in data 25.3.2000. In particolare, la Corte territoriale ha affermato che, in assenza di un formale provvedimento di congedo, non possa trarsi idoneo riscontro di quanto dedotto dal D.N. in ordine alla cessazione del proprio rapporto di servizio quale ufficiale dell’Esercito in data 25 marzo 2000, dalla documentazione dal medesimo prodotta, in quanto non univoca, contenendo indicazioni contraddittorie in ordine agli esiti degli accertamenti della C.M.O del centro di medicina Legale di Bologna, laddove si fa riferimento alle conclusioni “non idoneo in modo permanente al S.M.I. e si idoneo in modo parziale”; la contraddittorietà di tali – indicazioni emerge, peraltro, anche dal libro matricola (modello 127) dello stato di servizio, trascritto sub 1) del motivo di ricorso;
2.1. il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto generico e privo della indicazione delle norme di diritto che si assumono violate; occorre ricordare, in proposito che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata. (In tal senso Cass. n. 19959 del 2014);
3. per le esposte motivazioni il ricorso deve essere rigettato;
4. le spese seguono la soccombenza e vengono regolate come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% sui compensi ed accessori di legge.
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