CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2017, n. 17927
Pubblico impiego – Dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali – Contrarietà al principio di parità di trattamento – Processo di riorganizzazione – Momentaneo mantenimento di posizioni retributive differenziate
Rilevato
che il Tribunale di Latina, con la sentenza n. 1494 del 17.4.2007, in accoglimento delle domande proposte con separati ricorsi da G. B. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, dichiarava la nullità parziale dell’art. 33 del C.C.N.L. per il comparto ministeri 2000-2001 e dell’art. 22 del C.C.N.L. per il medesimo comparto relativo al biennio 2002-2003, condannando il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale a corrispondere ai ricorrenti la indennità di amministrazione di importo pari a quello riconosciuto in favore dei dipendenti dello stesso Ministero provenienti dall’ex Dipartimento degli Affari Sociali; che la Corte di appello di Roma, adita dal Ministero, con sentenza n. 4839 del 4 giugno 2009, depositata il 17 maggio 2012, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della decisione impugnata, respingeva la domanda di condanna del resistente al pagamento delle differenze di indennità di amministrazione maturate con decorrenza dal 26 marzo 2001, confermando la pronuncia di prime cure quanto alla dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali sopra citate per violazione dell’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 e compensava integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio; che avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla base di un unico articolato motivo, al quale hanno opposto difese i controricorrenti indicati in epigrafe, i quali hanno notificato controricorso dopo la rinnovazione della notifica effettuata dal ricorrente in esecuzione della ordinanza pronunciata dalla Sezione Sesta il 30.1.2014; che sono rimasti intimati G. B. e A. O.; che il ricorso è stato fissato in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice dopo la ordinanza del 15.1.2015 pronunciata ex art. 380 bis, comma 4, cod. proc. civ., sull’assunto del carattere non ostativo della anzidetta rimessione; che è stata depositata memoria da entrambe le parti costituite.
Considerato
1. che con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 300 del 1999, artt. 2 e 4, del d.lgs. n. 303 del 1999, art. 10 comma 4 e art. 11, comma 6, del d.p.r. n. 176 del 2001, art. 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 45, del d.p.r. n. 3 del 1957, art. 202, dell’art. 22 del CCNL comparto Ministeri quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, dell’art. 1419 cod. civ.;
1.1. che ad avviso del ricorrente il processo di graduale riallineamento retributivo, previsto dall’art. 7 del d.p.r. n. 176 del 2001, era stato iniziato con il primo contratto collettivo sottoscritto nella vigenza del richiamato D.P.R. (CCNL comparto Ministero per il quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003), che aveva previsto l’incremento dell’indennità di amministrazione spettante ai personale dell’ex Ministero del Lavoro in misura notevolmente superiore rispetto a quello previsto per il personale proveniente dall’ex Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
1.2. che inoltre la Corte territoriale, nel ritenere la nullità parziale delle clausole della contrattazione collettiva, avrebbe errato nell’interpretare l’art. 45 del d.lgs n. 165 del 2001 perché il principio di parità di trattamento mira solo ad escludere trattamenti differenziati in maniera ingiustificata e non trova applicazione nei casi, quali quello in esame, in cui il momentaneo mantenimento di posizioni retributive differenziate trova la sua giustificazione in un processo di riorganizzazione;
2. che è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché il principio di non contestazione attiene alla prova dei fatti e non può essere invocato allorquando vengano in rilievo l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche rilevanti ai fini dello scrutinio sulla fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio;
3. che sussiste l’interesse del Ministero a impugnare il capo della decisione relativo alla ritenuta nullità delle clausole contrattuali, poiché la Corte territoriale, nel riformare solo parzialmente la sentenza di primo grado, ha ritenuto l’azione di nullità autonoma rispetto a quella di natura retributiva e l’ha considerata fondata, sicché rispetto a detta statuizione si configura soccombenza del ricorrente;
4. che la questione che qui viene in rilievo è già stata risolta da questa Corte con plurime pronunce (Cass. 25.8.2016 n. 17336; Cass. 13.7.2017 n. 14318; Cass. 13.3.2014 n. 5835; Cass. 24.2.2014 n. 4335; Cass. 25.7.2013 n. 18107; Cass. 24.5.2013 n. 13048) con le quali sono state ritenute infondate analoghe domande proposte dai dipendenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
4.1 che le richiamate pronunce, uniformandosi all’orientamento già espresso in relazione alle pretese non dissimili fatte valere nei confronti di altri Ministeri (Cass. 28/3/2012 n. 4962 e negli stessi termini fra le tante Cass. ord. nn. 9207/2014; 14331/2014; 16800/2014; Cass. nn. 14748/2014; 10474/2015; 11065/2015), hanno evidenziato che il principio espresso dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45, secondo il quale le Amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, restando quindi vietato, non ogni trattamento differenziato per singole categorie di lavoratori, ma solo quello contrastante con specifiche previsioni normative;
4.2. che, infatti, nella suindicata ipotesi, la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, in quanto tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e istituzionalizzato, di regola sufficiente a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete (vedi, tra le altre: Cass. n. 1037/14; Cass. n. 6842/14; Cass. n. 14331/14 e, in precedenza, Cass. n. 16504/08; Cass. n. 5726/09; Cass. n. 6027/09; Cass. n. 12336/09; Cass. n. 4962/12; Cass. n. 4971/12);
4.3. che pertanto è da escludere che sia contrario al suddetto principio di parità di trattamento il prolungato mantenimento, per effetto della contrattazione collettiva del Comparto Ministeri di differenze nell’indennità di amministrazione corrisposta ai dipendenti provenienti dai Ministeri soppressi, perché, in relazione alla confluenza di dipendenti provenienti da altri Ministeri, la previsione di misure differenziate dell’indennità di amministrazione non può considerarsi discriminatoria, in particolare in relazione al principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, il quale non esclude che la contrattazione collettiva possa attribuire rilievo anche alle pregresse vicende dei rapporti di lavoro;
5. che a detto orientamento il Collegio intende dare continuità, perché il controricorso non prospetta argomenti idonei a contrastare le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ;
6. che, in via conclusiva, la sentenza impugnata deve essere cassata perché non conforme ai principi di diritto sopra richiamati e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere decisa nel merito con il rigetto delle domande proposte dagli originari ricorrenti;
7. che le spese dell’intero processo devono essere integralmente compensate fra le parti in considerazione dell’esito alterno dei gradi del giudizio di merito nonché della complessità della questione giuridica, risolta da questa Corte in epoca successiva alla proposizione dei ricorsi;
7.1. che non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta tutte le domande proposte dagli originari ricorrenti.
Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero processo.
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