CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 novembre 2017, n. 27457
Intermediazione fittizia di manodopera – Configurabilità di un rapporto di lavoro dipendente fra i soci della cooperativa e la società committente – Capi reparto della società committente – Esercizio di un potere di direzione del personale – Compatibilità con il contratto di appalto di servizi intercorrente – Effettiva consistenza della cooperativa quale soggetto imprenditore
Rilevato che
la cooperativa a r.l. Iniziativa Lavoro ed A.M.P. proponevano opposizione, ex art. 22 l. 689/1981 innanzi al Tribunale di Novara, alla ordinanza della Direzione Provinciale del lavoro con la quale era stato loro ingiunto il pagamento di una sanzione pecuniaria per omessa comunicazione dell’impiego di quattordici soci della cooperativa – di cui tredici in esecuzione del contratto di appalto presso la C.C.E. s.r.l. – quali lavoratori subordinati, e per ulteriori inadempienze di natura amministrativa attinenti a dette assunzioni; il giudice adito, ravvisata l’intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato non già con l’appaltante C.C.E. s.r.l., bensì con la società cooperativa opponente, condannava i ricorrenti al pagamento delle sanzioni pecuniarie comminate relative ai tredici soci;
detta pronuncia veniva confermata, con sentenza resa pubblica in data 23/12/2011, dalla Corte d’Appello di Torino, sul rilievo essenziale della insussistenza dei presupposti per la ravvisabilità degli estremi di una intermediazione vietata di manodopera e della configurabilità di un rapporto di lavoro dipendente fra i soci della cooperativa e la società committente;
avverso tale decisione interpongono ricorso per cassazione la società Cooperativa a r.l. in liquidazione Iniziativa Lavoro ed A.M.P., affidato ad otto motivi;
resiste con controricorso la Direzione Provinciale del lavoro;
Considerato che
1. con sette motivi parte ricorrente denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al comma primo n. 5 art. 360 c.p.c.;
si duole che la Corte distrettuale abbia omesso di adeguatamente valutare la posizione del sig. C. il quale aveva solo il formale incarico di responsabile dell’appalto, essendo di fatto un dipendente della società C. (primo e secondo motivo); non abbia sufficientemente motivato in ordine alla ricorrenza degli elementi propri della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato con la committente, avuto riguardo; al dato relativo alla fornitura di radioline per impartire disposizioni (terzo motivo), alla selezione del personale che la cooperativa doveva utilizzare nell’esecuzione dell’appalto (quarto motivo) ed alla timbratura del cartellino presenze della C. (quinto motivo); critica infine, la sentenza impugnata, per il malgoverno del materiale istruttorio acquisito, in ragione dell’omesso o non corretto scrutinio delle deposizioni testimoniali raccolte (sesto, settimo ed ottavo motivo);
2. i motivi, che possono congiuntamente essere esaminati, siccome connessi, vanno disattesi;
le critiche formulate muovono tutte dalla prospettazione di un difetto di motivazione; come è noto, tale vizio concerne esclusivamente la motivazione in fatto, in quanto la norma che lo regola, il punto n. 5) dell’art. 360, Co. 1, c.p.c., nella versione di testo applicabile al presente giudizio, consente il ricorso per cassazione solo per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;
per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. 25/10/2013 n. 24148, Cass. 4/4/2014 n.8008 e da ultimo, Cass. 7/4/2017 n.9097);
invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. 2/7/2008 n. 18119, Cass. 7/1/2014 n. 91); in ogni caso, per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (fra le tante: Cass. 2/2/2007 n. 2272, Cass. 14/2/2013 n. 3668); inoltre con la riforma del giudizio di cassazione operata con la legge n. 40 del 2006, che ha sostituito il concetto di “punto decisivo della controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo” il legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di legittimità, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito (così Cass. 31/7/2013 n. 18368);
3. alla stregua dei consolidati e condivisi principi esposti i motivi di doglianza devono essere respinti; il ricorrente si limita infatti ad esporre un’interpretazione della documentazione acquisita a sé favorevole al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimità che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato l’accoglimento della domanda;
diversamente il giudice del gravame, con motivazione congrua sotto il profilo logico, e corretta sul versante giuridico, ha reso una motivazione comprensibile e coerente con le risultanze processuali esaminate; ha rimarcato come dal quadro istruttorio delineato, fosse emerso che i lavoratori della Cooperativa avevano ricevuto istruzioni dal caposquadra sulla base delle direttive impartite dai capi reparto della C.C.E. s.r.l.; che si erano riferiti sempre al caposquadra, per comunicare assenze da lavoro; che la dotazione di radioline era stata disposta per consentire di ricevere a quest’ultimo le direttive della C.; che, in definitiva, il contesto probatorio scrutinato comprovava l’esercizio di un potere di direzione del personale, tramite il caposquadra C., da parte della cooperativa appaltatrice, nell’ambito di direttive impartite dai capi reparto della società committente, assolutamente compatibili con il contratto di appalto di servizi intercorrente con la committente, essendo emersa “l’effettiva consistenza della cooperativa quale soggetto imprenditore, in quanto dotato di un’organizzazione aziendale …gestita autonomamente, con assunzione del relativo rischio: elementi che depongono per l’effettività del contratto di appalto di servizi stipulato fra le parti e che pertanto escludono la mera interposizione vietata dall’art. 1 l. 1369/60”;
tenuto conto del ricordato ambito della facoltà di controllo consentita al riguardo in sede di legittimità, la decisione impugnata non resta, pertanto, scalfita dalle censure che le sono state mosse;
4. in definitiva, il ricorso non merita accoglimento; il governo delle spese del presente giudizio segue, infine, il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
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