CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 novembre 2017, n. 27467
Fondo di garanzia TFR ex L. n. 297/1982 – Requisito dell’insolvenza del datore di lavoro – Apertura di una procedura concorsuale – Cessazione dell’attività di impresa da oltre un anno – Eccezione – Diritto al conseguimento delle prestazioni del Fondo – Sufficiente aver esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione
Rilevato in fatto
che, il ricorrente istituto previdenziale impugna la sentenza n. 561 depositata il 23/5/2012, con la quale la Corte d’appello di Genova aveva riformato la pronuncia del giudice di primo grado, che, a sua volta, aveva rigettato la domanda presentata da C. M., domanda, tendente ad ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia ex lege n. 297/1982, il TFR maturato dal proprio datore di lavoro;
che, la Corte territoriale, per quanto qui rileva, ha fondato la pronuncia di riforma della decisione di prime cure sul presupposto che, il requisito dell’insolvenza del datore di lavoro, soggetto alla legge fallimentare, debba essere dimostrato, di regola mediante l’apertura di una procedura concorsuale, fatta salva l’ipotesi in cui, però, il datore abbia cessato l’attività di impresa da oltre un anno, nel qual caso, il lavoratore potrà ottenere dal Fondo di garanzia il pagamento del proprio credito senza dover previamente chiedere il fallimento del datore di lavoro;
che, avverso tale pronuncia ricorre per cassazione l’INPS affidandosi tre motivi;
che, C. M. difende con controricorso; ed entrambe le parti hanno presentato memoria.
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, articolato su un duplice profilo di censure, il ricorrente istituto denuncia in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2, I. n. 297/1982, per avere il giudice di secondo grado ritenuto che la cessazione dell’attività di impresa e la morte dell’imprenditore intervenuta ad un anno dalla stessa, costituissero condizioni ostative all’espletamento, della procedura concorsuale necessaria per l’ammissione alle prestazioni del Fondo di garanzia, e la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per vizio di motivazione circa l’omessa valutazione, da parte della Corte di merito, di un fatto decisivo e controverso per il giudizio;
che) il primo profilo di censura s’appalesa infondato;
che, sul tema oggetto della presente impugnazione, concernente la sussistenza dei presupposti necessari per conseguire l’accesso al Fondo di garanzia, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (sent. n. 17227 del 2010) affermando che “ai fini della tutela prevista dalla I. n.297/1982, in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo se é assoggettabile a fallimento ma in concreto non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va considerato “non soggetto al fallimento”, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare che abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione”;
che; nella specie, come risulta dalla pronuncia della Corte territoriale, ricorrono le condizioni (cessazione da un anno dell’attività di impresa ed esperimento infruttuoso di una procedura di esecuzione) richiamate “ut supra” dalla citata sentenza n. 17227 del 2010 di questa Corte;
che, pertanto, il Collegio ritiene di dover confermare l’orientamento di questa Corte formatosi sulle condizioni richieste dall’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, per ottenere l’intervento del Fondo di garanzia nel caso di insolvenza del datore di lavoro, avuto conto che, tale orientamento risulta coerente con la finalità perseguita dal legislatore del 1982, che mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r., nella quale il sistema degli accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro, con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta a limitazioni e difficoltà procedurali;
che, parimenti, deve essere rigettato l’altro profilo di censura concernente la dedotta violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.;
che, infatti, il suddetto motivo, al di là della rispettiva intestazione formale, nella sostanza esprime un dissenso valutativo dalle risultanze di causa ed invoca, quindi, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;
che, secondo giurisprudenza unanime di questa Corte, il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, non può essere finalizzato a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata in sede di merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare non può essere proposto con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.;
che, diversamente opinando siffatti motivi di ricorso si risolverebbero in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e di conseguenza, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione ( cfr. Cass. 6064/2008);
che, il secondo ed il terzo motivo di ricorso appaiono inammissibili, in quanto investono questioni (riconoscimento dell’accesso al Fondo di garanzia anche in relazione alle ferie non godute ed ai permessi non lavorati, e termine di decorrenza del pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria) che non hanno formato oggetto di gravame con l’atto di appello e non risultano, quindi, comprese nel tema del decidere del giudizio di secondo grado, quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (cfr. Cass.n.13443/2004);
che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto, e le spese del presente giudizio di cassazione liquidate a favore del difensore antistatario del controricorrente, come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2500,00, per compensi professionali,oltre esborsi per euro 200,00 e spese generali al 15%, oltre agli accessori di legge.
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