CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 settembre 2017, n. 21800
IVA, IRPEF ed IRAP Accertamento fiscale – Recupero a tassazione di maggiori ricavi non dichiarati
Premesso
– che sulla scorta delle risultanze di due processi verbali di constatazione redatti dalla G.d.F. a conclusione della verifica fiscale condotta nei confronti del contribuente e della sua impresa individuale, esercente attività di intermediazione nella compravendita di autovetture nuove ed usate, nel corso della quale veniva rinvenuta documentazione extracontabile afferente contratti preliminari di vendita di 189 autovetture non risultanti dalla contabilità ufficiale, che induceva i verificatori ad effettuare anche il controllo delle operazioni bancarie risultanti dai conti correnti intestati al contribuente ed alla moglie, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento con cui recuperava a tassazione maggiori ricavi non dichiarati ai fini IVA, IRPEF ed IRAP relativamente all’anno di imposta 1998 risultanti sia dalla predetta documentazione extracontabile che dai movimenti bancari non giustificati dal contribuente;
– che la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Udine, che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente, su appello del medesimo veniva parzialmente riformata con la sentenza in epigrafe indicata, dalla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, la quale, rigettate le «eccezioni preliminari» sollevate dalla società appellante in ordine al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e all’insussistenza dei presupposti per procedere ad accertamento parziale ex art. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973, riteneva fondato soltanto il recupero a tassazione dei ricavi risultanti dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso da parte dei funzionari della G.d.F., annullando l’avviso di accertamento con riferimento ai maggiori ricavi desunti dalle operazioni bancarie verificate;
– che sosteneva, sul punto, che «il mero riscontro di movimentazioni finanziarie non può assumere in ogni caso dignità di prova presuntiva», che alcune circostanze di fatto risultanti dagli atti (quali, il fatto che la ditta individuale svolgeva attività di mera intermediazione nella compravendita di autovetture, quindi di beni che «non possono materialmente esser oggetto di trasferimenti non fiscalmente documentati», generalmente di veicoli usati, di valore commerciale ridotto e solo occasionalmente nuovi, a clientela con modeste possibilità economiche, e che l’attività veniva svolta dal solo titolare mediante l’utilizzo di un piccolo locale e modestissima dotazione di mezzi strumentali) facevano ritenere «del tutto irragionevole ed inverosimile» l’attribuzione al contribuente dei maggiori ricavi indicati dall’ufficio finanziario; che le giustificazioni fornite dal contribuente apparivano credibili anche perché i movimenti bancari in entrata ed in uscita con la ditta R.L. & C. finivano per compensarsi tra loro, così da risultare sostanzialmente neutri, che con riferimento alle movimentazioni riconducibili, a detta del contribuente, a prestiti personali per spese di ristrutturazione vi erano «riscontri dalle persone fisiche» che consentivano di superare il valore di prova presuntiva attribuito dall’ufficio finanziario a quelle operazioni bancarie;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimato;
Considerato
– che con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 51 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2769 cod. civ., chiedendo a questa Corte
– nel quesito di diritto formulato a conclusione del motivo di ricorso, in ossequio al disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, trattandosi di sentenza pubblicata in data 20/05/2009 – se, sulla base della presunzione legale prevista dalle citate disposizioni in materia di movimentazioni bancarie, con conseguente onere del contribuente «di fornire adeguata prova circa la non riferibilità di quelle movimentazioni a proprio reddito non dichiarato», abbia errato la CTR per avere ritenuto «che il mero riscontro di movimentazioni finanziarie in capo al contribuente non può assumere in ogni caso dignità di prova presuntiva»;
– che con il secondo motivo viene dedotta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non avere la CTR dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali fossero idonee a superare la presunzione di maggiori ricavi emersi dalla verifica delle movimentazioni bancarie, le circostanze che il contribuente aveva dedotto, ma non dimostrato, comunque contestate dalla ricorrente, quali la tipologia e le modalità organizzative dell’attività commerciale svolta, la natura di tale attività avente ad oggetto trasferimenti necessariamente documentati a fini fiscali, le modeste possibilità economiche della clientela, la neutralità delle operazioni effettuate con soggetti operanti nel medesimo settore o in settori analoghi, la riconducibilità di alcune movimentazioni bancarie a rimborso di prestiti per spese di ristrutturazione della casa di abitazione del contribuente;
– che i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti;
– che, invero, l’affermazione dei giudici di appello, secondo cui «il mero riscontro di movimentazioni finanziarie non può assumere in ogni caso dignità di prova presuntiva», si pone in palese contrasto con la disciplina della prova presuntiva legale, suscettibile di prova contraria, prevista ai fini della determinazione del maggiore reddito imponibile in materia di accertamenti bancari, atteso che «tanto la presunzione, stabilita dall’art. 51, secondo comma, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di accertamento dell’IVA (secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 54 e 55 del medesimo decreto presidenziale, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili), quanto la presunzione di cui alla analoga norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, Dpr n. 600/1973, dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), presentano un contenuto complesso, consentendo di riferire a redditi/ricavi imponibili tutti i movimenti bancari rilevati dal conto all’attività economica svolta dal contribuente, qualificando gli “accrediti” come ricavi, e gli “addebiti” egualmente come manifestazione di ricchezza in quanto considerati spese per corrispettivi versati per acquisti di beni e servizi reimpiegati nella produzione di maggiori ricavi di ammontare non inferiore agli importi prelevati: la presunzione legale “juris tantum”, può essere vinta dal contribuente soltanto se offre la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che vengano indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi> (così in Cass. 26111 del 2015 e nella copiosa giurisprudenza ivi richiamata);
– che, in buona sostanza, per superare la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell’Erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici – il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto – come correttamente osservato dalla ricorrente – «il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore» con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale;
– che, in ogni caso, i giudici di appello non hanno fornito adeguata spiegazione delle ragioni che li avrebbero indotto a ritenere irragionevoli ed inverosimili il conseguimento da parte del contribuente dei ricavi accertati, omettendo di indicare da quali elementi hanno desunto che le transazioni commerciali effettuate dal contribuente, pur avendo ad oggetto beni mobili registrati, dovessero trovare necessario riscontro documentale ai fini fiscali (ad esempio, in ordine al prezzo effettivamente pagato dall’acquirente) e che la clientela del medesimo avesse modeste possibilità economiche, e per quale ragione il modesto impiego di risorse e mezzi nell’organizzazione aziendale, lo svolgimento della sola attività di intermediazione nella compravendita di autovetture e la sostanziale neutralità delle movimentazioni finanziarie intervenute con soggetti operanti nel medesimo settore, escludesse la realizzazione dei ricavi accertati; né la CTR specifica quali «persone fisiche» e quali «riscontri», solo genericamente indicati in motivazione, rendessero credibili le operazioni bancarie che il contribuente aveva ricondotto a prestiti personali per la ristrutturazione della casa di abitazione;
– che, in estrema sintesi, i motivi di ricorso vanno accolti e la sentenza cassata con rinvio alla CTR friulana che, in diversa composizione, provvederà a rivalutare la vicenda processuale alla stregua dei principi enunciati anche regolando le spese processuali del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, alla CTR del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.
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