CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 febbraio 2018, n. 4164
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso in cassazione – Denuncia della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito – Aspetti interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti spettanti al giudice – Inammissibilità del ricorso
Rilevato che
1. con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Bari, a seguito di mancato riscontro a istanza di accertamento per adesione presentata il 25/11/2002, la C. s.r.l. a socio unico ha impugnato avviso di rettifica parziale di dichiarazione I.V.A. ex art. 54 quinto comma d.p.r. n. 633 del 1972 con cui l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di un p.v.c. redatto in data 30/9/99 dalla polizia tributaria di Bari, ha escluso credito I.V.A. per l’anno di imposta 1997 a seguito del rinvenimento presso un centro di intermediazione di uve in Barletta di documentazione extracontabile relativa a cessioni, apparentemente destinate ad altro soggetto (C.P. s.r.I.) ma in effetti volte a favore della ditta individuale C.M., di uva da tavola di cui è vietata la vinificazione, nonché a seguito dell’acclaramento della successiva lavorazione e rivendita come mosto alla C. s.r.I.;
2. rigettato il ricorso da parte della commissione tributaria provinciale, adita dalla contribuente con sentenza depositata il 10/5/2011 la commissione tributaria regionale di Bari ha respinto l’appello;
3. per la cassazione della predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione la parte contribuente, su tre motivi articolati a loro volta in più censure, rispetto al quale l’Agenzia ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. il ricorso – avverso sentenza depositata il 10/5/2011 – è tempestivo in quanto la scadenza del termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ., come anche indicata dalla controricorrente, si è avuta il 25/6/2011; in tale data, però, a differenza di quanto considerato dalla controricorrente, risulta avere tempestivamente la ricorrente richiesto la notifica (cfr. attestazione pagamento Unep Bari), effettuata a mezzo posta il dì seguente;
2. il ricorso, benché di difficile lettura per le modalità di redazione che lo connotano, è ammissibile, in quanto – diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente – non manca del tutto di una esposizione sommaria dei fatti; nel caso di specie, infatti, va data continuità all’indirizzo (cfr. Cass. n. 18363 del 18/09/2015) per cui la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti (nel caso di specie utilizzata) si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, non possa essere separato ed espunto (come avviene pure nel caso di specie) dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, può essere valutata favorevolmente, in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi;
3. con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, richiamando gli artt. 41 e 21 settimo comma del t.u. I.V.A., 1, primo comma lett. a) del d. Igs. n. 74 del 2000, le norme in tema di ermeneutica contrattuale, quelle unionali e nazionali di divieto e limitazione dell’uso di talune uve per la vinificazione, nonché ancora 19 primo comma e 21 settimo comma t.u. I.V.A.; ad avviso del ricorrente, non potrebbe parlarsi di operazioni inesistenti, essendosi verificata l’operazione ed essendo essa tra soggetti esistenti, al limite interposizione essendosi avuta tra L.M., la ditta C.A. e la C.P. s.r.I., essendo estranea la C. s.r.I.; neppure vi sarebbe danno per l’erario trattandosi di detrazioni dei costi di mosto o di vino sia pure provenienti da uve da pasto; vi sarebbe poi una inammissibile trasfusione del divieto di uso di uve in inesistenza dell’acquisto di mosti e vini pur eventualmente illecitamente elaborati (all’uopo sono trascritte fatture e forniti dati relativi alle operazioni); non potrebbe quindi parlarsi di operazioni illegittime;
2. con il secondo motivo la C. s.r.I., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, richiamando gli artt. 2797 (rectius 2697), 2727, 2728 e 2729, 2700 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., lamenta che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non sarebbe emerso alcun risultato irregolare dalle analisi dei prelievi effettuati, per cui non vi era prova dell’asserita sofisticazione mediante introduzione per il 15% del prodotto di uva da pasto o da tavola; gli indizi comunque non avrebbero i necessari requisiti; vi sarebbe stata erronea lettura dei certificati sui campioni;
3. con il terzo motivo, infine, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 56 del t.u. I.V.A., in quanto sia l’avviso di rettifica parziale sia la sentenza di esso confermativa violerebbero i requisiti di motivazione;
4. i tre motivi, strettamente connessi già nella loro formulazione, vanno trattati congiuntamente e dichiarati inammissibili;
5. va al riguardo richiamato che:
– il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;
– il vizio motivazionale rilevante, secondo l’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis prima della riformulazione della norma disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, è quello di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, per cui il motivo di ricorso deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo;
– i vizi di cui innanzi non sussistono quando, in luogo delle carenze tassativamente previste (che, nel caso di specie, non vengono concretamente indicate, essendo i motivi carenti sia delle necessarie specificazioni di concrete regulae iuris violate, sia di fatti storici pretermessi), la sentenza impugnata faccia emergere mere difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati dal giudicante di merito, risolvendosi i motivi di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, ad es., Cass. sez. U n. 24148 del 2013);
– al giudice di merito soltanto, infatti, spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge, applicando poi ai fatti le norme giuridiche confacenti;
6. su tali premesse, va notato che con i motivi in esame, lungi dal denunciare violazioni di legge o vizi di motivazione relativi a fatti storici nei sensi anzidetti, la ricorrente si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti; tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non al vizio di motivazione rilevante ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., né tanto meno ai possibili vizi di violazione di norme di diritto ex n. 3 della medesima disposizione; sicché i tre motivi in esame si traducono nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità;
7. segue da quanto innanzi il complessivo rigetto del ricorso avverso la sentenza impugnata; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500 per compensi, oltre spese eventualmente prenotate a debito.
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