CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 febbraio 2018, n. 4165
Tributi – IRAP – Enti creditizi o finanziari – Deducibilità delle svalutazioni dei crediti – Principio di indeducibilità introdotto dall’art. 2, comma 2, D.L. n. 168/2004 – Applicazione retroattiva alle quote delle svalutazioni sui crediti differite relative a esercizi precedenti – Esclusione
Fatti di causa
Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la società L. S.p.a., successivamente incorporata da C. S.p.a,, esercente attività di credito al consumo, impugnava il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’istanza di rimborso della somma di € 846.512,00, aumentata degli interessi di legge, in quanto versata in eccedenza a titolo di Irap per gli anni di imposta 2005 e 2006.
Allegava la società contribuente che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata deducendo dalla base imponibile le quote delle svalutazioni sui crediti risultanti dai bilanci dei precedenti esercizi, in base al criterio di riparto previsto dell’art. 106, comma 3, T.U.I.R. nel testo ratione temporis vigente, secondo cui le svalutazioni iscritte a bilancio erano deducibili nell’esercizio corrente fine ad una determinata percentuale del valore del credito iscritto e, per la parte accedente, in quote costanti nei nove (già sette) esercizi successivi. Ai fini Irap, invero, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 – stabiliva, in correlazione con l’art. 11-bis del medesimo d.lgs. n.446/1997, la deducibilità delle svalutazioni dei crediti operate dagli enti creditizi o finanziari entro gli stessi limiti previsti dalla citata disposizione del T.U.I.R.
In tale prospettiva, le modifiche introdotte dall’art. 2, comma 2, d.l. n. 168/2004 – secondo cui, a partire dal 2005, dette perdite o svalutazioni non sarebbero state più deducibili ai fini Irap – non avrebbero potuto estendersi retroattivamente anche alle quote attinenti alle svalutazioni operate negli esercizi precedenti a tale anno, ostandovi il disposto dell’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
L’Agenzia, per converso, sosteneva che dalla lettura della norma contestata emergeva la chiara intenzione del legislatore di escludere dall’imponibile Irap tanto le svalutazioni di crediti quanta i c.d. “noni pregressi”.
La Commissione Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente. La CTR della Lombardia, adita con ricorso in appello proposto dall’Agenzia, con sentenza n. 115/28/2010 del 29.1/11.6.2010 rigettava il gravame e confermava la decisione di prime cure.
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso l’Agenzia, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso Compass s.p.a., nella predetta qualità di incorporante di Linea s.p.a. E’ stata depositata, nelle more dell’udienza, memoria difensiva da parte della stessa contro ricorrente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 (rectius, 6) d.Igs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dal d.l. 12 luglio 2004, n. 168, conv. dalla legge 30 luglio 2004, n. 191; 106 d. P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e 3 legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.
L’Agenzia rileva, in particolare, che non incorre nel divieto di retroattività, sancito dagli artt. 1 e 3 legge n. 212/00, l’interpretazione dell’art. 7 del d. Igs n. 446/1997, come modificato dall’art. 2 d.l. n. 168/04, convertito con modificazioni dalla legge n. 191/04, secondo la quale diverrebbero indeducibili , a decorrere dall’esercizio 2005, anche le quote (c.d. “noni pregressi”) delle svalutazioni sui crediti già considerate deducibili ai sensi dell’art. 106, comma 3, t.u.i.r., dal momento che il diritto alla deduzione in nove quote costanti di tali “noni” non avrebbe un ambito di operatività pluriennale e, quindi, non potrebbe configurarsi come “già acquisito” al momento dell’entrata in vigore delle predette modifiche normative; di qui la conclusione che le deduzioni consentite nella determinazione del reddito di esercizio potevano essere soltanto quelle; previste dalla normativa in vigore nell’anno di riferimento (dovendosi ritenere che, quando la deduzione di una quota non è più consentita da una normativa sopravvenuta la deduzione stessa non possa più essere operate anche se il suo ammontare è determinato in base a valori capitali contabilizzati in esercizi anteriori).
Secondo la società contribuente, invece, il diritto di imputare al valore della produzione imponibile ai fini Irap i c.d. noni relativi alle svalutazioni operate sui crediti esposti in bilancio si consolida nel periodo di imposta in cui tali rettifiche sono operate ed imputate nel conto economico, ex art 106, comma 3, t.u.i.r., ed il differimento della deduzione assume valenza meramente finanziaria.
2. Il motivo di ricorso è infondato.
Ai fini di un conveniente inquadramento dei termini della questione giuridica controversa, concernente il regime tributario applicabile ai fini Irap, nelle specie con riferimento ad un’impresa esercente attività finanziaria, ed alle rettifiche di valore operate su crediti risultanti dal bilancio di esercizio, va premesso che, sulla base dell’art. 6 del d.lgs. n. 446/97, per le imprese assicurative, bancarie ed esercenti attività finanziarie, la deduzione delle svalutazioni, al fine della determinazione del valore della produzione netta, sino al 2005 veniva frazionata pro quota nell’esercizio in corso e nei nove esercizi successivi. La ratio della introduzione di tali quote era quella di realizzare un miglior adeguamento della normativa fiscale a quella civilistica, riconoscendo le svalutazioni imputate al conto economico al fine di allineare il valore fiscale del credito a quello risultante in bilancio, con un limite massimo di deducibilità per singolo esercizio.
Tale regime tributario è mutato a partire dall’esercizio 2005 per effetto del d.l. n. 168/04, convertito dalla legge n. 191/04, che ha modificato l’art. 6 del d.lgs n. 446/1997, abrogandone le lett. e) ed n) a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso. In attuazione della richiamata modifica legislativa, dunque, dall’anno 2005 e perdite e le svalutazioni relative ai crediti esposti in bilancio non erano più deducibili ai fini Irap.
3. In mancanza di disposizioni transitorie, non ha mancato di proporsi all’attenzione degli interpreti la questione relativa all’applicabilità della predetta disciplina anche alla deduzione pluriennale dei cd. “noni progressi” delle salutazioni e perdite su crediti verso la clientela già realizzate negli esercizi precedenti. In ordine a tale problematica, questa Corte ha adottato un orientamento ormai consolidato, al quale il Collegio intende dare continuità (cfr., fra tutte, Cass. sez. V, 04/04/2012, n. 5403; Cass. sez. V, 21/01/2015, n. 1111; Cass. sez. V, 22/05/2015, n. 10591; Cass., sez. V, 21/12/2016, n. 26597), in virtù del quale appare coerente col quadro normativo di riferimento ritenere che la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, onde l’indeducibilità introdotta dall’art. 2, comma 2, del d.l. n. 168/2004 a partire dall’esercizio 2005 non attinge le quote di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata.
Pertanto, al differimento della deduzione pluriennale dei “noni pregressi” va attribuita valenza esclusivamente finanziaria, costituendo una semplice modalità di deduzione non incidente sulla competenza fiscale, che resta fissata nell’esercizio in cui il fatto che ha dato origine alla agevolazione (perdita o svalutazione di crediti) si è realizzato ed è stato rilevato contabilmente. Da ciò discende che la deducibilità in più annualità costituisce un diritto acquisito, sul quale non può avere effetto la predetta modifica legislativa, posto che, diversamente, si verrebbe ad attribuire alla legge successiva valore retroattivo, in violazione del principio di cui all’art. 11 disp.prel. cod. civ. e, per le leggi tributarie, all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), in mancanza di una chiara previsione di retroattività (cfr. Cass. sez. V, 09/12/2009, n. 25722; Cass, sez, V, 13/04/2012, n. 5353).
La sentenza impugnata, pertanto, nel fare sostanziale applicazione di tali principi, si sottrae alle censure formulate dal ricorrente ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.
4. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere, pertanto, rigettato. Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti in consideratone del fatto che l’orientamento giurisprudenziale di legittimità in materia si è consolidato soltanto in epoca successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
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