CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2017, n. 15439
Tributi – IRPEF – Determinazione del reddito di lavoro autonomo – Principio di cassa – Compensi – Incasso mendiate assegno bancario – Momento rilevante – Effettiva disponibilità della somma – Esclusione – Momento della percezione del titolo di credito
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del dl. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 229/18/2015, depositata il 22 gennaio 2015, non notificata, la CTR della Sicilia – sezione staccata di Catania – ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’ing. I.D. per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Ragusa, che aveva accolto in toto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento per Iva ed IRPEF.
La CTR, ritenuta legittima la ripresa a tassazione per l’anno 2004 con riferimento a compensi percepiti dal professionista il 30 dicembre 2004, ma fatturati l’anno successivo, ritenne tuttavia di non dover applicare le sanzioni, in quanto il professionista, in perfetta buona fede, aveva regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute.
Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione in forza di un solo motivo.
Il contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale, affidato a sua volta ad un motivo.
Va esaminato prioritariamente in ordine logico il motivo con il quale, a sostegno del ricorso incidentale proposto, avente natura di ricorso autonomo, il contribuente denuncia violazione e/o falsa applicazione ed errata interpretazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR) in combinato disposto al r.d. 21.12.1933 n. 1736 ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il contribuente insiste nell’affermazione della legittimità del proprio comportamento circa l’imputazione dell’anzidetto compenso all’anno 2005, in ragione del fatto che il compenso, corrisposto a mezzo di assegno bancario, versato sul c/c di pertinenza del contribuente, è stato reso disponibile come valuta in data 10 gennaio 2005.
Il motivo è manifestamente infondato.
Premesso che lo stesso contribuente non contesta l’imputazione dei redditi da lavoro autonomo, giusta il disposto dell’art. 54 del TUIR, secondo il principio di cassa, egli insiste nel prospettare, nella fattispecie in esame, l’effettiva disponibilità della somma oggetto di contestazione solo nel 2005, essendo stato l’assegno, ricevuto pacificamente nel 2004 e versato entro lo stesso anno solare sul conto corrente bancario del contribuente, reso disponibile con valuta 10 gennaio 2005.
Sennonché è corretto il rilievo dell’Amministrazione finanziaria secondo cui detto momento individua solo quello della decorrenza degli interessi e non già la disponibilità della somma che, in caso di pagamento a mezzo di assegno bancario, va fissata al momento della percezione del titolo di credito da parte del prenditore dell’assegno, ciò che è avvenuto pacificamente il 30 dicembre 2004, in tal senso essendo del tutto ragionevole il richiamo all’analoga indicazione di cui alla circolare n. 38 del 23 giugno 2010 dell’Agenzia delle Entrate.
Il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia “salvo buon fine” non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove, come nella fattispecie in esame, non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo.
È appena il caso poi di rilevare come l’insistito riferimento del contribuente alla pronuncia di questa Corte Cass. sez. 5, 15 aprile 2011, n. 8626 non sia affatto idoneo a supportare le conclusioni rese sul punto dal contribuente, atteso che detta pronuncia (così come la giurisprudenza costante della Corte in materia: cfr. tra le altre Cass. sez. 5, 30 luglio 2014, n. 17306), si limita a riaffermare il criterio dell’applicabilità del principio di cassa ai compensi percepiti, laddove il professionista aveva invece erroneamente applicato il principio di competenza.
Il ricorso incidentale va pertanto rigettato.
Deve invece ritenersi fondato il ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria, con il quale l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del d. lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., osservando come l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni nella fattispecie in esame da parte del giudice tributario d’appello si ponga in contrasto col fondamento del regime sanzionatorio, basato sulla colpa.
La statuizione della CTR, con la quale si è riconosciuta la “perfetta buona fede” del professionista, che «ha regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute», è contraddetta dalla violazione da parte del contribuente del principio di cassa rispetto al disposto dell’art. 6 del d.P.R. n. 633/1972 circa la fatturazione, in relazione al quale non è configurabile alcun margine d’incertezza normativa.
D’altronde è corretta l’argomentazione dell’Amministrazione ricorrente in punto della sussistenza di una presunzione di colpa a carico di chi sia incorso nella violazione contestata, spettando quindi al contribuente l’onere di provare di avere agito senza colpa (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 27 marzo 2009, n. 7502; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2009, n. 4171; Cass. sez. 5, 25 ottobre 2006, n. 22890), onere che, alla stregua delle sopra esposte considerazioni, non può ritenersi adempiuto dal contribuente.
Il ricorso principale va dunque accolto.
La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del ricorso principale.
Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può dunque essere decisa nel merito con rigetto integrale dell’originario ricorso del contribuente.
Avuto riguardo all’andamento del giudizio, possono essere compensate interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito, ponendosi, secondo il criterio della soccombenza, a carico del controricorrente, nonché ricorrente incidentale, le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto e, decidendo nel merito, rigetta integralmente il ricorso originario del contribuente.
Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna il controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.
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