CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 settembre 2017, n. 22011
Tributi – Accertamento definitivo nei confronti di società in accomandita semplice per omessa impugnazione – Imputazione ai soci in proporzione alla quota – Socio accomandante – Disapplicazione sanzioni – Esclusione – Obbligo di controllo
Con ricorso in Cassazione affidato a un motivo, nei cui confronti la contribuente non ha spiegato difese scritte, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Toscana, relativa ad un avviso d’accertamento Irpef per l’anno 2009 e 2010, effettuato nei confronti di una società in accomandita semplice, di cui la contribuente era socia accomandante, avviso che era divenuto definitivo nei confronti della società per omessa impugnazione, e imputato “per trasparenza”, ex art. 5 TUIR, nei confronti della contribuente in proporzione alla quota societaria dalla stessa detenuta, ed annullato in riferimento all’irrogazione delle sanzioni, dalla CTP con sentenza confermata dalla CTR, denunciando la violazione dell’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 471/97, degli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 472/97, dell’art. 5 DPR n. 917/86, degli artt. 2320 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto erroneamente i giudici d’appello, avevano ritenuto che alla contribuente non fosse imputabile alcun coefficiente di dolo o colpa per il maggior reddito accertato in capo alla società, e quindi, non le dovessero essere addebitate le sanzioni previste, poiché l’omesso controllo non sarebbe dipeso da negligenza o complicità ma nella comprensibile fiducia nell’agire dei suoi familiari, anch’essi soci nei quali era concentrato il potere gestionale, al quale era estranea, anche per formazione professionale.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.
Il ricorso è fondato.
Infatti, “(…) Va ribadito il principio, reiteratamente affermato da questa Corte (Cass. 22122/2010; Cass. 3011/2007; Cass. 11997/2006), secondo cui “il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone – reddito che, a norma del D.P.R. 29 settembre 1913, n. 519, art. 5, va imputato al socio (come proprio di questo) ai fini dell’IRPEF (non essendo la società di persona soggetto passivo dell’imposta sul reddito), in proporzione della relativa quota di partecipazione – comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 600, art. 46”. Ciò vale anche per il socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tali soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti: la sanzione, quindi, non viene irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5 in quanto, nel suo caso, la colpa consiste nell’omesso od insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 cod. civ., u.c. (Cass., 19456/2009: “ove il socio di società di persone non abbia dichiarato, per la parte di sua spettanza, il reddito societario risultante dalla rettifica operata dall’Amministrazione a carico della società risponde delle sanzioni per l’infedele dichiarazione, atteso che la loro applicazione trova causa nella dichiarazione di un reddito inferiore a quello imponibile e che il socio non può farsi scudo della società, attribuendo esclusivamente ad essa la violazione fiscale, atteso che la sua posizione nell’ambito della compagine sociale, tanto nel caso in cui non rivesta la carica di amministratore, quanto, a maggior ragione, qualora come la rivesta, gli consente il controllo dell’attività della società e della sua contabilità e quindi di verificare l’effettivo ammontare del suo reddito e, pertanto, degli utili conseguiti in proporzione alla propria quota di partecipazione”; cfr. Cass. n. 2699 del 2002; Cass. n. 2554 del 1997; Cass. S. U. n. 125 del 1993) (…)” (Cass. n. 10501/14, Cass. n. 22122/10).
Nel caso di specie, in assenza di cause di non punibilità, ex art. 6 del d.lgs. n. 472/97, oppure di disapplicazione, ex art. 8 del d.lgs. n. 546/92, la decisione dei giudici d’appello è stata adottata in violazione dell’art. 5 TUIR e dell’art. 2320 c.c., poiché, in virtù di tali disposizioni, il socio non solo è in grado di conoscere i rilievi e gli accertamenti fiscali effettuati nei confronti della società ma il reddito di partecipazione è considerato suo reddito personale, indipendentemente dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dei metodi utilizzati dalla società per realizzarli, fermo restando il diritto del socio di agire nei confronti della società in sede civile ordinaria per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonché l’esclusione della sua responsabilità qualora sia dimostrata la sua buona fede (Cass. n. 11989/15). Nella vicenda, pertanto, la qualità di socio accomandante della contribuente non ha fatto venir meno l’imputabilità alla stessa, quantomeno per colpa, del maggior reddito accertato, di cui ha beneficiato per l’incremento di ricchezza della società. Il fatto che la contribuente avesse una formazione professionale estranea alla materia societaria non rileva, in quanto avrebbe potuto esercitare i suoi diritti amministrativi con l’ausilio di soggetti reputati competenti ed accettando la veste giuridica di socia accomandante, ne ha inevitabilmente assunto i diritti gli obblighi e le responsabilità connesse alla posizione societaria ricoperta.
Va, conseguentemente accolto il ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito, ponendosi a carico della intimata le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 25 settembre 2019, n. 23879 - Si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice il principio secondo cui il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 19117 del 14 giugno 2022 - L'accertamento nei confronti del socio, di una società di capitale a ristretta base, è indipendente da quello svolto nei confronti della società, costituendo quest'ultimo unicamente il…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 dicembre 2021, n. 39285 - In tema di imposte sui redditi, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l'accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37611 depositata il 22 dicembre 2022 - In tema di legittimazione ad agire degli ex soci di società di capitali estinta, per i rapporti facenti capo a questa ed ancora pendenti dopo la cancellazione dal registro delle…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21644 depositata il 7 luglio 2022 - Il socio raggiunto dall'accertamento tributario a titolo personale, in conseguenza della ritenuta distribuzione dei proventi conseguiti e non dichiarati da società di capitali con…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 marzo 2021, n. 8730 - Data la pregiudizialità dell'accertamento del reddito conseguito dalla società a ristretta base partecipativa rispetto a quello nascente dalla successiva presunzione di distribuzione dell'utile…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…