CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 agosto 2017, n. 20267
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Imposte sui redditi – Contabilità formalmente regolare – Inattendibilità per comportamento antieconomico del contribuente – Legittimità – Onere della prova del contribuente
Rilevato che
Con sentenza in data 14 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 16100/6/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di M.E. contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che trattavasi di accertamento reddituale di tipo “misto” ossia basato sugli studi di settore, ma anche sulla protratta condotta antieconomica del contribuente; che a fronte delle contestazioni contenute nell’atto impositivo impugnato il contribuente non aveva fornito giustificazioni e contro prove adeguate; che non sussisteva l’eccepito vizio procedimentale eccepito dal M. (mancato invito a presentarsi). Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
L’intimata Agenzia delle entrate non si è difesa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale; con il secondo motivo si duole di vizio motivazionale in ordine alla asserita fondatezza della pretesa erariale.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, ai limiti dell’inammissibilità per a-specificità, sono infondate.
Vi è anzitutto da rilevare che la CTR ha qualificato l’avviso di accertamento impugnato come “analitico-induttivo” ex art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, in quanto basato non tanto sugli studi di settore, quanto sul comportamento imprenditoriale costantemente antieconomico del contribuente, come tale fondante la presunzione di sottrazione di materia imponibile oggetto della ripresa fiscale.
Conseguentemente ha, correttamente, applicato principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali «In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203 – 01); «Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità» (Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013, Rv. 627156 – 01).
In particolare la CTR ha affermato che il M. non ha assolto in modo adeguato il proprio onere di controprovare le circostanze indiziarie fondanti la ripresa fiscale.
Quanto all’eccepita mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, il giudice tributario di appello ha correttamente negato la sussistenza di un obbligo generale derivante dalla legge 212/2000, che peraltro risulta altresì consolidato arresto della giurisprudenza di legittimità («In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01).
Sebbene nel caso di specie si controverta anche in materia di IVA (imposta armonizzata), deve comunque considerarsi corretta la sentenza impugnata sul punto decisionale de quo, posto che la difesa del contribuente si è incentrata meramente sulla non sufficienza dello scostamento dallo studio di settore, ma non ha negativamente riscontrato la vera, diversa, base giuridico fattuale dell’avviso di accertamento oggetto della lite, sicché non ne risulta la c.d. “prova di resistenza”, pur necessaria ai fini della obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale per quest’imposta, come chiarito dalla citata sentenza delle SU di questa Corte.
Il ricorso va dunque rigettato.
Nulla per le spese stante la mancata difesa dell’agenzia fiscale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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