CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30871
Riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini – Adibizione a mansioni impiegatizie – Assegno ordinario di invalidità – Non compete
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 19.11.2011, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la statuizione di primo grado che aveva attribuito a M.C. l’assegno ordinario di invalidità sul presupposto che le mansioni impiegatizie cui era stato adibito dopo l’infarto del miocardio occorsogli non potevano considerarsi come una ragionevole evoluzione della professionalità acquisita quale scaricatore portuale, essendogli state attribuite solo con finalità di prevenzione di ulteriori danni alla salute, e avevano per di più comportato una diminuzione della retribuzione di fatto percepita, dovuta alla perdita dell’indennità di turno e del compenso per lavoro straordinario;
che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’INPS,
deducendo un motivo di censura;
che M.C. ha resistito con controricorso;
Considerato in diritto
che, con l’unico motivo di gravame, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, I. n. 222/1984, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che la riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini andasse determinata con riferimento all’attività di operaio, esercitata per anni dall’odierno controricorrente, invece che con riguardo a quella di impiegato, comunque svolta dopo l’evento morboso che lo aveva colpito; che, al riguardo, va ribadito il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall’art. 1, I. n. 222/1984, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata con riferimento non solo ad attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, costituiscano una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute (cfr. in tal senso Cass. n. 5964 del 2011, nonché, da uIt., Cass. n. 6443 del 2017, che in applicazione dell’anzidetta regula iuris ha confermato la sentenza impugnata che aveva respinto la domanda dell’assicurato sul presupposto che questi, pur presentando una riduzione a meno di un terzo della capacità lavorativa con riferimento alla mansioni di operaio addetto alla manutenzione, era ancora in grado di svolgere quelle di addetto alla portineria cui era stato adibito);
che, non essendosi la Corte di merito correttamente attenuta al superiore principio di diritto, la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo di censura, va senz’altro cassata;
che, avendo il CTU già accertato che, qualora dovesse essere riferita «ad un’attività essenzialmente impiegatizia», quale quella che «attualmente svolge» il controricorrente, la valutazione di riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo «non potrebbe essere confermata perché non comportante i rischi sopra descritti» (e cioè «esposizione potenziale a sforzi fisici ed a variazioni climatiche»: cfr. relazione di CTU, per come trascritta a pagg. 8-9 del ricorso per cassazione), la causa non appare bisognosa di ulteriori accertamenti di fatto, di talché può essere decisa con il rigetto nel merito della domanda proposta da M.C.; che, avuto riguardo alle oscillazioni giurisprudenziali circa l’interpretazione dell’art. 1, I. n. 222/1984 (e segnatamente all’equivocità del riferimento alla circostanza che le mansioni di nuova adibizione non debbano presentare una rilevante divaricazione rispetto a quelle precedentemente svolte: cfr. ad es. Cass. n. 3912 del 2004, cit. nella sentenza impugnata, e Cass. n. 15265 del 2007), possono ravvisarsi giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.C.. Compensa le spese dell’intero processo.
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