CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2018, n. 4294
Iva – Accertamento fiscale – Fatture inesistenti – Frode
Rilevato che
Con sentenza in data 22 aprile 2016 la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dalla Conceria N.I. srl avverso la sentenza n. 421/2/15 della Commissione tributaria provinciale di Pisa che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IVA ed altro 2005. La CTR osservava in particolare che, essendovi stata in una controversia parallela pronuncia di appello favorevole alla S. srl, società fornitrice delle merci di cui alle fatture contestate quali soggettivamente inesistenti, non potevasi pertanto ritenere la partecipazione della società contribuente alla frode IVA de qua; che comunque le prove indiziarie allegate dall’Ente impositore non erano tali da ammetterne una presunzione (semplice) di consapevolezza della frode in questione da parte della contribuente medesima, essendo state peraltro le operazioni in oggetto regolarmente pagate e fatturate nonché corrispondenti a valori correnti di mercato.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’ Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Considerato che
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente).
Con il terzo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 2727, 2729, cod. civ., 19, primo comma, 21, 54, d.P.R. 633/1972 nonché dei principi rivenienti dalla giurisprudenza della CGUE, poiché la CTR ha affermato l’inadeguatezza della prova indiziaria basante l’avviso di accertamento impugnato particolarmente in ordine alla consapevolezza della società contribuente dell’inesistenza delle fatture de quibus e quindi della sussistenza di una frode IVA.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate.
Va ribadito che:
–«La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
-«La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
-«Nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 107 del 08/01/2015, Rv. 633996 – 01);
–«In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5374 del 02/03/2017, Rv. 643327 – 01).
Per un verso, relativamente alla prima censura, la motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali e si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
La CIR toscana infatti ha affermato, apoditticamente e peraltro sulla base di un presupposto giuridicamente erroneo, che non essendo la società fatturante S. srl una “cartiera” sulla base di una sentenza del medesimo giudice tributario di appello emessa in diverso processo, quindi dovendosi escludere la sua partecipazione alla frode fiscale in oggetto, non potevasi affermare che ne fosse partecipe o almeno consapevole la società contribuente.
Così la CTR non ha risposto alle diverse questioni di fatto poste con l’appello agenziale, trascritte per autosufficienza nel ricorso per cassazione, ed in particolare se la S. fosse una società “filtro” ossia fittiziamente interposta tra le società “cartiere” e la Conceria N.I. srl nonché che di ciò quest’ultima fosse consapevole ovvero potesse esserlo.
Per altro verso e relativamente ad entrambe le censure, con altrettanta apoditticità ha affermato l’inadeguatezza delle correlative prove indiziarie addotte dall’Ente impositore su tale decisiva circostanza, così non solo concretizzando il contestato vizio motivazionale, ma anche la violazione di legge di cui al terzo motivo, in totale difformità applicativa dei criteri valutativi enunciati nell’ultimo principio di diritto citato.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al primo ed al terzo motivo, assorbito il secondo, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.