CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 febbraio 2018, n. 4435

Mobilità volontaria tra pubbliche amministrazioni – Posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza – Inquadramento nell’ambito della disciplina legale e contrattuale propria del Comparto dell’Amministrazione cessionaria

Rilevato

che, con sentenza in data 4 settembre 2012, la Corte d’appello di Bologna respinge l’appello dell’Agenzia delle Dogane avverso la sentenza del Tribunale di Piacenza n. 34/2010, di accoglimento della domanda di G.R. – già dipendente dell’ACI passata, per effetto di mobilità volontaria, nei ruoli dell’Agenzia delle Dogane – diretta ad ottenere l’inquadramento nella posizione economica F5 – al posto della p.e. F4 attribuitale – dell’Area 3 del CCNL delle Agenzie fiscali, con decorrenza dal 29 dicembre 2006, con la condanna dell’Agenzia suddetta alla corrispondente ricostruzione della carriera, con ogni conseguenza giuridica ed economica;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) sulla base dell’interpretazione letterale dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, il passaggio diretto di personale tra Amministrazioni diverse – quale si è avuto nella specie – deve avvenire assicurando agli interessati anche “la posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le Amministrazioni di provenienza”;

b) ai suddetti fini, si deve tenere conto delle progressioni in carriera non solo verticali (cioè qualifiche in senso stretto), ma anche orizzontali (cioè solo economiche), infatti la locuzione “posizione economica” sarebbe priva di senso se fosse riferita alla sola “posizione funzionale concretante la qualifica”;

c) anche a voler considerare riproposta in modo specifico – ma ciò non pare – la censura relativa all’acquisizione da parte della Rossi nell’Ente di provenienza, della posizione C5 – corrispondente alla rivendicata posizione F5 del CCNL delle Agenzie fiscali – in un momento successivo a quello di presentazione della domanda, deve essere sottolineato che la posizione di inquadramento va valutata “al momento di perfezionamento della cessione del contratto e non a quello della domanda”;

d) inoltre la predetta posizione di inquadramento è rappresentata dalla retribuzione fissa (pacificamente superiore nell’Ente a quo, nella specie) e non con riferimento agli elementi variabili in rapporto ai quali, ove superiori nella posizione di provenienza, verrebbe in considerazione il principio della temporanea e riassorbibile conservazione;

che avverso tale sentenza l’Agenzia delle Dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso affidato ad un unico motivo, al quale oppone difese G.R. con controricorso, illustrato da memoria;

Considerato

che con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Dogane denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sostenendo che, in base alla suddetta disposizione, il “passaggio diretto” comporta soltanto l’esigenza di garantire l’esatta corrispondenza della qualifica funzionale già acquisita presso l’Amministrazione di provenienza, con applicazione del principio della tendenziale invarianza della spesa, non l’obbligo dell’Amministrazione di arrivo di mantenere l’eventuale progressione economica orizzontale acquisita dal dipendente nell’Amministrazione di provenienza;

che, sottolinea la ricorrente, nell’atto di costituzione in giudizio l’Agenzia ha rilevato, in primo luogo, la non opponibilità dell’acquisizione della posizione C5 – conseguente ad un provvedimento dell’ACI, adottato dopo la domanda, ma con effetti retroattivi e mai comunicato all’Agenzia – appunto perché intervenuta dopo la presentazione della domanda di mobilità;

che l’Agenzia, in tale atto ha rilevato e qui ribadisce, che comunque detta acquisizione era ininfluente, perché consistente in una progressione esclusivamente economica, come tale, senza effetti sulla qualifica, che era C4 al momento della domanda e che è stata presa come riferimento per l’attribuzione della contestata p.e. F4;

che, comunque, la retribuzione della posizione F4 era maggiore rispetto a quella percepibile come C5 presso l’ACI;

che il ricorso deve essere respinto, per le ragioni di seguito esposte;

che, come risulta dalla sentenza impugnata, la censura relativa all’acquisizione, nell’Ente di provenienza da parte della R., della posizione C5 – corrispondente alla rivendicata posizione F5 del CCNL delle Agenzie fiscali – in un momento successivo a quello di presentazione della domanda, non era specifica;

che, sul punto, l’Agenzia si limita ad affermare di aver proposto la censura fin dal primo atto di costituzione in giudizio, ma non lo dimostra né dimostra che la censura era circostanziata, diversamente da quanto si afferma nella sentenza qui impugnata, in conformità di quanto richiesto dal rispetto del principio di specificità dei motivi di cassazione (c.d. autosufficienza);

che, per “diritto vivente”, in base al suindicato principio – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – qualora il ricorrente denunci il difetto o l’erroneità nella valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha il duplice onere di: 1) indicare nel ricorso specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale); 2) di fornire al contempo alla Corte elementi sicuri e puntuali per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569);

che ne consegue che tale profilo di censura deve considerarsi inammissibile, pur dovendosi precisare che l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui: la posizione di inquadramento va valutata “al momento di perfezionamento della cessione del contratto e non a quello della domanda”, non è conforme al condiviso orientamento di questa Corte, in base al quale in caso di “passaggio diretto” ad altra Amministrazione la qualifica da prendere in considerazione da parte dell’Amministrazione di destinazione è quella indicata dal lavoratore pubblico nella domanda di mobilità, non sussistendo il diritto del dipendente di ottenere la qualifica superiore eventualmente acquisita, nelle more del passaggio stesso, nell’Amministrazione di provenienza, atteso che il trasferimento è chiesto ed avviene in ragione di una disponibilità creatasi nell’organico dell’Amministrazione di destinazione e nella qualifica prevista, e non è coerente con le esigenze di imparzialità e buon andamento che un Ente terzo incida sul rapporto di lavoro di un’altra P.A. (Cass. 5 ottobre 2016, n. 19925);

che, per il resto, il ricorso non è fondato;

che, non viene specificamente contestato il metodo adoperato dalla Corte d’appello, per stabilire l’inquadramento da attribuire alla R., ma soltanto la spettanza o meno della “posizione economica” F5 del CCNL delle Agenzie fiscali – pacificamente corrispondente alla posizione C5 acquisita nell’Ente di provenienza – sull’assunto secondo cui la posizione C5 non poteva essere presa in considerazione, ai fini del passaggio, perché consistente in una progressione esclusivamente economica, come tale, senza effetti sulla qualifica della dipendente, che era la p.e. C4, corrispondente alla contestata p.e. F4, attribuita dalla PA;

che, secondo il costante e condiviso orientamento di questa Corte, le posizioni economiche differenziate costituiscono altrettante qualifiche all’interno della stessa area di inquadramento, sicché se si passa da C4 a C5 comunque si ha una progressione di carriera ricompresa nel testo dell’art. 30 d.lgs. n. 165 successivo alle modifiche introdotte dall’art. 5 del d.l. n. 7 del 2005, convertito dalla legge n. 43 del 2005 e qui applicabile ratione temporis (vedi, tra le tante: Cass. SU 8 maggio 2006, n. 10419 e, di recente, Cass. 28 ottobre 2016, n. 21889, in fattispecie analoga alla presente);

che è stato anche precisato che l’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, che riconduce il passaggio diretto di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie della “cessione del contratto”, comporta che l’individuazione del trattamento giuridico ed economico da applicare ai dipendenti trasferiti vada effettuata, sulla base dell’inquadramento presso l’Ente di provenienza, nell’ambito della previsto della disciplina legale e contrattuale propria del Comparto dell’Amministrazione cessionaria (Cass. 16 aprile 2012, n. 5959);

che ne risulta confermata la correttezza sia del metodo utilizzato dalla Corte territoriale per effettuare la suddetta verifica sia del risultato della relativa applicazione;

che, infine, è privo di pregio anche il profilo di censura secondo cui la Corte territoriale, riconoscendo il diritto della dipendente all’inquadramento nella posizione economica F5 del CCNL delle Agenzie fiscali, anziché nella p.e. F4 attribuitagli dalla PA, avrebbe anche violato l’art. 17 del CCNL Comparto Agenzie Fiscali 2002-2005, facendo confusione tra l’inquadramento nella qualifica o categoria giuridica e l’attribuzione del trattamento (profilo) economico;

che, anche tale deduzione poggia sull’erroneo presupposto per il quale le posizioni economiche differenziate non potrebbero essere configurate come altrettante qualifiche all’interno della stessa area di inquadramento ai fini del “passaggio diretto” de quo;

che, in sintesi, l’attribuzione del contestato inquadramento, da parte della Corte d’appello, risulta del tutto conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, incentrati sull’assunto secondo cui l’espressione di carattere atecnico “passaggio diretto”, contenuta nell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, non qualifica un particolare tipo contrattuale civilistico, ma solamente, nel campo pubblicistico, un particolare strumento attuativo del trasferimento del personale, da una Amministrazione ad un’altra, trasferimento caratterizzato da una modificazione meramente soggettiva del rapporto e condizionato da vincoli precisi concernenti la conservazione dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico, che è inquadrabile nella fattispecie della cessione di contratto disciplinata dagli artt. 1406 cod. civ. e segg., visto che comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali (vedi, tra le tante: Cass. 9 agosto 2016, n. 16846; Cass. S.U. 12 dicembre 2006, n. 26420 e Cass. 5 novembre 2003 n. 16635)

che, per le anzidette ragioni, il ricorso deve essere rigettato, non meritando la sentenza impugnata alcuna delle censure formulate dall’Agenzia ricorrente;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.