CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 febbraio 2018, n. 4445
Assegno ordinario d’invalidità – Mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi – Riportare nel ricorso i predetti motivi formulati dalla controparte – Violato del canone di specificità del ricorso
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 16.1.2012, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di E.A. volta a conseguire l’assegno ordinario d’invalidità; che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione E.A., deducendo due motivi di censura; che l’INPS ha resistito con controricorso;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per non avere la Corte territoriale motivato in ordine al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’INPS, siccome fondato su motivi generici;
che, con il secondo motivo, la ricorrente si duole di omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 1, I. n. 222/1984, per avere la Corte di merito ritenuto l’insussistenza di una condizione invalidante senza considerare che «l’attività di contadino richiede soprattutto un importante impegno funzionale a carico dell’apparato osteoarticolare e cardiocircolatorio» (così il ricorso per cassazione, pag. 7), come peraltro riconosciuto dalla «Commissione Medica dell’INPS, nel maggio 2012» (ibid., pag. 8);
che, con riguardo al primo motivo, costituisce orientamento consolidato il principio secondo cui la parte ricorrente, che denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve provvedere a riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi, per come formulati dalla controparte (cfr. Cass. nn. 86 e 12664 del 2012), risultandone altrimenti violato il canone di specificità del ricorso per cassazione, siccome previsto dall’art. 366 n. 4 c.p.c.; che tanto non è dato riscontrare nel caso di specie, avendo l’INPS motivato il proprio appello per relationem ad un parere medico-legale di cui parte ricorrente non ha trascritto né riassunto il contenuto e di cui non è dato sapere in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte si troverebbe;
che, con riguardo al secondo motivo, parte ricorrente non chiarisce quando e come la questione la natura dell’attività lavorativa svolta dall’odierna ricorrente sia stata dedotta nelle precedenti fasi di merito, di talché, non avendo formato oggetto di statuizione alcuna nella sentenza impugnata e involgendo un accertamento di fatto circa la sua effettività e il connesso impegno funzionale a carico degli apparati cardiocircolatorio e osteoarticolare, essa va ritenuta inammissibile in sede di legittimità, siccome nuova (cfr. da ult. Cass. n. 8206 del 2016); che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
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