CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2017, n. 15700
Accertamento – Ici – Valutazione terreno – Edificabilità – Valutazioni – Valenza del PRG del Comune
Ritenuto
che la R. H. s.r.l. aveva appellato, nei confronti del Comune di Monteciccardo, la sentenza della CTP di Pesaro con cui era stato respinto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), per l’anno 2009, relativamente ad un terreno ritenuto edificabile, in quanto inserito nel PRG, in zona C2, e la CTR delle Marche, con sentenza n. 158/1/14, depositata il 12/5/2014, riformava la decisione di primo grado, rilevando che “il valore venale di mercato del terreno deve corrispondere alla <effettiva> edificabilità dello stesso” e che quello determinato dal Comune, trasfuso nell’atto impositivo, non è conforme ai principi dettati nella sentenza n. 25506/2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in quanto “detto valore non è supportato da elementi giustificativi tranquillanti ed anzi risulta carente di obiettivi criteri valutativi tendenti a verificare la ridotta capacità edificatoria stante l’esistenza dei vincoli di frana e di crinale”, mentre il possibile trasferimento di cubatura su altro terreno del comparto (zona C2), costituendo una ipotesi del tutto aleatoria, non può avere alcun rilievo giuridico ai fini della decisione;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune con un motivo, illustrato con memoria, cui resiste l’intimata società con controricorso e memoria;
Considerato
che con il motivo di doglianza il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5, D.Lgs. n. 504 del 1992, giacché la CTR non ha considerato che l’atto regolamentare adottato dall’ente impositore è assimilabile agli studi di settore, nel senso che i valori ivi determinati ai fini dell’ICI rappresentano presunzioni desunte da dati di comune esperienza, cosicché il contribuente, ove intenda contrastarne la congruità, ha l’onere di fornire la prova di quanto dedotto, cosa che la società contribuente non ha fatto, e che è erroneo escludere la rilevanza economica dell’utilizzabilità a scopo edificatorio dell’area inserita all’interno del comparto perequativo C2 sol perché il trasferimento di cubatura su altro terreno del medesimo comparto richiede l’accordo con altri soggetti, costituendo presupposto impositivo la mera potenzialità edificatoria derivante dall’inclusione dell’area all’interno del predetto comparto;
che la censura va accolta in quanto il giudizio sulla idoneità degli elementi indicati dall’Ente impositore per rilevare il valore di mercato dell’area (alla data del 1° gennaio 2009), in ragione dei “vincoli di frana e di crinale gravanti sui beni di proprietà della contribuente” ed incidenti “fortemente” in senso limitativo sulla capacità edificatoria, non è stato operato correttamente dal Giudice di appello, il quale ha basato il proprio convincimento sul fatto che l’Ente impositore avrebbe ignorato l’esistenza dei vincoli di crinale e di frana, pacificamente interessanti solo una parte dell’area, escludendone la edificabilità, e dunque considerando tout coutr decisiva la edificabilità dello specifico terreno della contribuente senza alcun riferimento all’adozione del piano di comparto perequativo;
che dalle deduzioni del ricorrente, non resistite da controparte, si ricava che il terreno in questione era inserito in “zona residenziale di espansione semintensiva (C2)”, zona in cui “sono ammessi tutti gli interventi realizzati con strumento attuativo preventivo secondo le modalità previste dal piano e nel rispetto degli indici urbanistici”, e “soggetta alla prescrizione della Provincia di predisporre un progetto unitario delle opere di urbanizzazione con proposta di convenzione unica di attivazione di tutta la zona di espansione C2 e solo successivamente alla presentazione di lotti funzionali che possono riguardare i terreni dei singoli proprietari”; che, invero, lo strumento attuativo comunale del piano di comparto, con indice di fabbricabilità omogeneo, consente al proprietario di una specifica porzione di suolo, compreso nel perimetro del medesimo comparto, di concorrere alla formazione di volume edificabile, indipendentemente dalla destinazione d’uso prevista sull’area specifica, così come dei vincoli su quest’ultima esistenti, e da ciò deriva l’esattezza della affermazione del Comune secondo cui “la presenza di vincoli di P.P.A.R. (crinali) o di successivi vincoli (di frana), introdotti recentemente con il P.A.I., non ha ridotto la capacità edificatoria dell’intera area C2, le cui cubature possono essere comunque realizzate nelle rimanenti aree non gravate da vincoli”;
che quanto sopra esposto appare del tutto coerente con l’istituto del comparto che, nell’ambito della c.d. urbanistica perequativa (cfr. L. n. 662 del 1996), mira a soddisfare l’insopprimibile esigenza di “legare” tra loro i singoli proprietari entro un ambito spaziale più ampio di quello dei singoli lotti, al fine di consentire la realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, permettendo così ai proprietari di territori di accordarsi tra di loro riguardo alla concentrazione di volumetrie all’interno di una determinata area, in modo tale da non creare svantaggi per alcuno;
che la decisione della CTR appare censurabile perché ha escluso qualsivoglia rilievo alla possibilità di sfruttare economicamente l’edificazione potenziale attraverso il trasferimento del diritto in area suscettibile di trasformazione, sicché la valutazione del cespite operata dal giudicante si fonda essenzialmente su una genericamente affermata non congruità dei valori individuati dall’Ente impositore, essendo il valore trasfuso nell’avviso di accertamento non “supportato da elementi giustificativi tranquillanti”, cosicché la relativa motivazione presenta profili di palese illogicità atteso che la ritenuta aleatorietà della cessione di cubatura risente del mancato inquadramento dell’istituto esaminato, dell’inesatta conoscenza del complessivo sistema delineato dalla normativa urbanistica, applicabile alla fattispecie, e della erronea convinzione che, in detto ambito, l’eventuale necessità di accordi di natura più o meno complessa sia di per sé idonea ad escludere la vocazione edificatoria del suolo;
che la considerazione, da parte del Giudice di appello, limitata alla “destinazione” del singolo fondo evidenzia un’ulteriore violazione della definizione legale di “area fabbricabile” qui rilevante, in quanto, ai fini della determinazione della base imponibile sulla quale calcolare l’imposta comunale, deve essere considerata fabbricabile “l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi”; che, quindi, l’utizzabilità “effettiva” a scopo edificatorio deve essere riguardata come qualità derivata al fondo dagli “strumenti urbanistici generali o attuativi”, ovverosia dalla sua inclusione in una determinata “zona urbanistica”, con conseguente irrilevanza, come pure precisato da questa Corte con la sentenza n. 25676/2008, << delle dimensioni e/o della conformazione dello stesso (se non espressamente considerate da detti “strumenti” attributive della qualità) essendo sempre possibile (come, ad esempio, per normali vicende negoziali traslative della proprietà) il suo accorpamento con fondi vicini della medesima “zona” ovvero (cfr. Consiglio Stato, 5^, 1 aprile 1998 n. 440; 11 aprile 1991 n. 530) l’asservimento “urbanistico” dello stesso a fondo continguo avente identica destinazione >>;
che trova applicazione il più generale principio, più volte affermato, secondo cui, se è vero che l’edificabilità di un’area, ai fini della determinazione della base imponibile ICI, dev’essere desunta dalla qualificazione attribuitale nel PRG del Comune anche indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, e che nella determinazione di tale base imponibile debba valutarsi “la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie dell’immobile, nonché la possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione, in ragione delle concrete condizioni esistenti al momento dell’imposizione” (ex multis, Cass. n. 12377/2016; n. 5161/2014); che si tratta, del resto, di orientamento che trova radice in quanto stabilito dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n.25506/2006, in sede di applicazione dell’articolo 36, comma 2, D.L. n. 223 del 2006 (conv. in L. n. 248 del 2006, di interpretazione autentica dell’articolo 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 504 del 1992, secondo cui la natura edificabile del terreno (desumibile dalla suddetta normativa) e la conseguente inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone “di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”; che la sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con rinvio della causa alla medesima CTR, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, la quale, alla luce di tutti gli aspetti, sopra riportati e sulla base dei suddetti parametri di incidenza dell’edificabilitàdel terreno, dovrà nuovamente valutare la congruità del valore venale ad esso attribuito dall’avviso di accertamento opposto, accertamento questo tipicamente fattuale;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2013), dà atto della non sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
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