CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2017, n. 20377
Tributi – Imposte sui redditi – Crediti esposti in dichiarazione – Diritto al rimborso – Necessità di prova
Fatti di causa
Nella controversia concernente l’impugnazione da parte della B. s.p.a. del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione a fronte della richiesta di rimborso, costituita dall’esposizione di credito IRPEG nella dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1986 da società incorporata, la C.T.R. del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello proposto dalla contribuente avverso la prima decisone sfavorevole, condannando l’Agenzia delle Entrate al rimborso della somma richiesta sulla quale riconosceva la debenza di interessi anatocistici sino al 3 luglio 2006 (data di entrata in vigore del d.l. n. 223/2006).
In particolare, il Giudice di appello, richiamando giurisprudenza di questa Corte, riteneva che l’indicazione di un credito in dichiarazione costituisse istanza di rimborso per cui il corrispondente diritto alla restituzione potesse essere esercitato a partire dall’inutile decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza contenuta sulla dichiarazione, su cui si forma il silenzio rifiuto impugnabile ex art. 19 d.lgs. n. 546/1992 senza che sia necessario attendere la scadenza dei termini entro cui l’amministrazione deve esercitare i propri poteri di liquidazione. Ha, altresì, ritenuto dovuti gli interessi anatocistici sulle somme dovute al contribuente per il ritardato rimborso dei crediti fiscali.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso su due motivi.
La Società resiste con controricorso.
A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente, premesso di avere da subito contestato, con eccezione accolta dal giudice di primo grado, la sussistenza del dedotto credito per assoluta mancanza di prova, non essendo sufficiente la mera esposizione in dichiarazione deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 bis, 38 e 43 d.p.r. 600/73 e 2697 cod. civ. laddove la Commissione regionale aveva ritenuto che l’esposizione del credito di imposta in dichiarazione, spirati i termini di controllo di cui all’art. 43 dpr 600/73 da parte dell’Ufficio avesse cristallizzato il diritto al rimborso che, quindi, era dovuto.
2. Con il secondo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art.1283 c.c. e dell’art. 37 comma 50 d.l. 223/2006 convertito in legge n. 248/2006 – si deduce l’errore in diritto nel quale sarebbe incorso il Giudice di appello, nel riconoscere gli interessi anatocistici sino all’entrata in vigore del d.l. n. 223 del 4 luglio 2006.
3. Il primo motivo è manifestamente fondato alla luce del principio applicabile alla fattispecie statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 5069/2016 seguita da Cass.n.12557/2016 secondo cui <<in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio ” quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”.>>.
4. E’ fondata anche la seconda censura. Questa Corte (sentenza n.17993/2012) ha, infatti, statuito che in tema di rimborsi d’imposta (nella specie relativi ad IRPEG), gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso di imposta al contribuente non sono dovuti a decorrere dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore dell’art. 37, comma 50, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, mentre il principio dettato dall’art. 1283 cod. civ. continua ad applicarsi per il periodo anteriore, attesa la portata innovativa e non interpretativa dell’art. 37, comma 50, citato.
Ne consegue che in applicazione del disposto dell’art. 1283 c.c. gli eventuali interessi inizieranno a decorrere solo dal giorno della domanda giudiziale ovvero per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi; presupposti questi tutti non vagliati dal Giudizio di appello.
5.Conclusivamente, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice del merito per il riesame e il regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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