CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 gennaio 2018, n. 1734
Accertamento – Cessione terreno edificabile – Plusvalenza – art. 67 del d.P.R. n. 917/1986 – Neutralizzazione – Verificabilità – Fattispecie
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate, con due motivi, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 119/30/10, depositata il 20.09.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rappresenta che la controversia ha tratto origine dalla contestazione nei confronti di F.S. e F.E., ai sensi dell’art. 37, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973, del maggior reddito da plusvalenza per l’anno 1999, derivante, ex art. 67 del d.P.R. n. 917/1986 ratione temporis vigente (ora 81), dalla cessione di un terreno a destinazione edificatoria, di cui ognuno dei F. era proprietario per 1/4, attuata con atto di donazione delle rispettive quote in favore della loro madre (proprietaria per 1/2) e da questa alienato dopo due mesi alla società M. s.r.l. verso un corrispettivo pari al valore della donazione. Secondo la prospettazione della Amministrazione Finanziaria tale attività negoziale aveva consentito di neutralizzare la plusvalenza, altrimenti emergente dalla diretta vendita delle quote alla impresa costruttrice e a tal fine aveva notificato ai germani F. gli avvisi di accertamento n. R2D01C100814/2006 e R2D01C100815/2006; instaurata la lite dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 73/10/2008 gli avvisi di accertamento erano annullati; la sentenza trovava conferma nella pronuncia ora impugnata;
con il ricorso l’Agenzia censura la sentenza:
con il primo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 37, co. 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 c.c., 53 della Cost., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per non aver fatto buon governo delle regole di riparto dell’onere della prova in ordine alla sussistenza dell’operazione elusiva posta in essere;
con il secondo motivo per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., contestandosi l’iter logico seguito dal giudice dell’appello;
gli intimati non si sono costituiti, nonostante la tempestiva notifica del ricorso presso il domicilio eletto;
Considerato che
I due motivi possono essere trattati unitariamente, atteso che entrambi sono riconducibili al fondamento probatorio dell’accertamento delle plusvalenze. Essi sono fondati.
Questa Corte ha già affermato che nel sistema tributario esiste un generale principio antielusivo -la cui fonte per i tributi non armonizzati va rinvenuta negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano- secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali; e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva (cfr. Cass., sent. n. 3938 del 2014);
chiariti i limiti della libertà negoziale in rapporto all’abuso del diritto quale strumento di elusione fiscale, nella ripartizione dell’onere della prova, quando l’operazione economica posta in atto abbia per elemento predominante e assorbente lo scopo elusivo del fisco, viene a perfezionarsi una condotta abusiva; a tal fine incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. tra le tante, Cass., sent. n. 4603 del 2014; Cass., sent. n. 3938 cit.);
il bilanciamento tra gli interessi del fisco ad escludere ogni operazione meramente elusiva del tributo e la ripartizione dell’onere probatorio hanno ricevuto attenzione proprio in tema di plusvalenze conseguibili dalla cessione di terreni a vocazione edilizia, di cui agli artt. 67 e 68 del d.P.R. n. 917 del 1986, in occasione di vicende negoziali nelle quali la successione di atti giuridici a titolo di liberalità e atti sinallagmatici di trasferimento verso corrispettivo è stata denunciata quale condotta teleologicamente finalizzata ad abbattere, quando non ad annullare, la differenza tra prezzo di acquisto o di costruzione del bene e prezzo di vendita, così da neutralizzare la plusvalenza con un risparmio d’imposta riconducibile, per le modalità di attuazione, ad una elusione dell’imposta stessa;
in quest’ambito tuttavia la giurisprudenza di legittimità si è mossa senza trascurare che la successione negoziale sospetta non deve essere necessariamente letta in chiave elusiva degli interessi erariali, dovendo invece contemperarsi con una interpretazione della complessa vicenda giuridica; il terreno di maggiore attenzione nella ponderazione degli elementi astrattamente sospetti, di cui l’Amministrazione viene a conoscenza e di cui deve tener conto, si manifesta in particolare nelle ipotesi di donazioni tra genitori e figli, in chiave di pianificazione della successione nel patrimonio dell’ascendente (Cass., sent. n. 21952 del 2014). In tal modo cioè si restituisce dignità e legittimità alla operazione, recuperando l’utilità economica delle operazioni giuridiche poste in atto, il cui disconoscimento ricondurrebbe il tutto in una finalità meramente elusiva e come tale improduttiva di effetti nei confronti della amministrazione finanziaria.
Questi i confini entro cui deve muovere la analisi della vicenda oggetto di causa, la sentenza della CTR di Milano, violando la corretta interpretazione e applicazione degli artt. 37 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c., non ha tenuto conto dei principi appena esposti, né in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio, né in riferimento alla valenza elusiva della successione negoziale posta in atto nel caso concreto.
In essa, pur avendo ben presente i riscontri su cui è stato fondato l’accertamento del maggior reddito a titolo di plusvalenza -1) l’atto di donazione delle quote in comproprietà del fondo dai figli alla di loro madre; 2) l’atto di vendita del medesimo fondo dalla madre donataria all’impresa costruttrice, a distanza di appena due mesi dalla donazione; 3) il corrispettivo della vendita pari al valore dichiarato ai fini della donazione-, i giudici dell’appello hanno ritenuto ancora insufficienti gli elementi, affermando che sarebbe stato ancora onere della Amministrazione dare prova del passaggio del denaro, corrispondente al corrispettivo della vendita, dalla madre ai figli; ma tale assunto mostra di ignorare del tutto la distribuzione dell’onere della prova, perché, a fronte della inconsueta donazione di un bene dal figlio alla madre, della vendita del medesimo bene, ricevuto in donazione, in un lasso di tempo molto breve, della negoziazione di un corrispettivo identico al valore dichiarato della donazione, spettava ai contribuenti evidenziare le ragioni economiche alternative o concorrenti che giustificavano i due passaggi negoziali; invece la CTR ha ritenuto di dover gravare di una ulteriore prova l’Amministrazione, cioè il passaggio ai figli di parte del corrispettivo ricevuto dalla madre, donatariaalienante, così non avvedendosi che si è pretesa l’allegazione di una prova piena della operazione elusiva, non di una prova presuntiva, basata su circostanze gravi precise e concordanti, come richiesto dall’art. 37, co. 3, cit.
Alla luce del complesso dei dati acquisiti, la sentenza impugnata appare pertanto meritoria delle censure elevate dalla ricorrente.
Considerato che:
il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata;
peraltro, la rilevanza probatoria dei dati allegati dalla Amministrazione non è stata contraddetta da elementi idonei a confutare le presunzioni gravi, precise e concordanti a fondamento dell’accertamento delle plusvalenze, sicchè non sono necessari ulteriori approfondimenti processuali;
Ritenuto pertanto che:
la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti; per effetto della soccombenza gli intimati vanno condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla Agenzia, nella misura specificata in dispositivo;
P.Q. M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo di F.S. e F. E.; condanna i contribuenti alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese sostenute nel processo, che liquida nella misura complessiva di € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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